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martedì 17 marzo 2015
Leggende del Garda a Mantova
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sabato 15 novembre 2014
Leggende dal Garda a Verona: oggi alla Libreria Minerva
Dal lago di Garda a Verona e
ritorno... attraverso vie misteriose e sconosciute!
Si parlerà di streghe, fate
e personaggi magici sabato 15 novembre alle 17,30 alla Libreria Minerva di Verona (corso Porta
Nuova 86) con l'autrice Simona Cremonini, che presenterà i suoi quattro libri di narrativa e saggistica sulle
leggende del lago di Garda, con i
quali ha ripercorso e narrato in una nuova veste storie ormai perlopiù
dimenticate.
L'evento è inserito nel
calendario del festival Spettacoli di Mistero 2014.
Racconti del fantastico,
storie di un passato dipinto di miti, misteri, aneddoti incredibili e fatati, sono il filo conduttore che lega, a doppia corsia,
le leggende narrate dalla tradizione popolare dei paesi e delle colline attorno
al lago di Garda e la narrativa di Simona Cremonini, giornalista e scrittrice
che, sull’antico “Benaco”, ha una seconda casa sia personale sia letteraria.
Nel 2012 l'autrice ha
pubblicato il saggio "Leggende, curiosità e misteri del lago di
Garda" e l'antologia "I racconti fantastici del Garda"; nel 2013
il saggio "Misteri morenici"; nel 2014 "Garda Doble",
quattro storie sul tema del doppio ispirate a leggende e storie del lago di
Garda.
Per info: www.leggendedelgarda.com -
info@libreriaminerva.org - Tel. 045/8003089.
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lunedì 4 agosto 2014
Minerva, dea di Manerba festeggiata il 4 agosto
LIBRI. In Garda Doble di Simona Cremonini
Minerva, dea di Manerba
festeggiata il 4 agosto
Piera Maculotti
Mitologia, leggende, magia. È la dimensione del «Fantastico Garda» che appassiona da tempo la giornalista Simona Cremonini, cultrice di tutto ciò che di visibile e invisibile riguarda il Lago, come attesta il nuovo «Garda Doble» (Pre- sentARTsì Bottega di prodotti culturali di Castiglione delle Stiviere) dedicato al tema del doppio.
Quattro storie, un unico scenario: l'amato Benàco. Il dio delle acque dolci, cinto d'alloro, tra putti e agrumi regge due argentei carpioni: è l'immagine (di un quadro del Comune di Gargnano) che suggella i due-e-due quattro racconti del libro.
IL DIO Benàco chiude una narrazione che si apre con Atena, la romana Minerva, dea di Manerba festeggiata dal calendario pagano proprio il 4 agosto. E' scritto ne «Il Giorno della Dea» dove la giovane Acilia risale il crinale della Rocca di Manerba; porta l'olio sacro per la cerimonia, aspira a divenir vestale di Minerva...
Anche la coetanea Anna, lo stesso 4 agosto, percorre lo stesso pendio. Dal tempo romano ai nostri giorni: due destini distanti, due «feste» di- verse...
«Eguales»: si chiamano invece le due spaventose gemelle del successivo racconto: «Di sangue in sangue».
La strega Virginia, la dea Garda, una ninfa... e l'anguana Dora, a Lazise...
Vicende d'oggi ed echi anti- chi anche «Al di là del lago»: una doppia vita tra la costa bresciana e la veronese, un in- quietante mistero...
Infine ne «Il destino in una profezia» Simona Cremonini rinarra la leggenda di Limone e Grineo, figli del dio Benàco, fino a risalire al «nonno», il dio Nettuno. •
domenica 6 luglio 2014
Garda Doble, il Garda si fa doppio
Storie del “doppio”, rigorosamente gardesane, nel
nuovo libro di Simona Cremonini
Quattro
storie diverse, ambientate sul lago di Garda, ma con un unico filo conduttore:
il “doppio”.
È
uscito in questi giorni il nuovo libro di narrativa della scrittrice e
giornalista Simona Cremonini, dal titolo “Garda Doble”: quattro doppi passi nel Fantastico Garda, ovvero quattro
novelle di genere fantastico che prendono vita attorno al lago e da leggende
locali evidenziando aspetti di
ambientazioni o personaggi “doppi”.
“Il
Giorno della Dea” narra di Acilia,
aspirante vestale della dea Atena, che in epoca romana percorre il crinale
della Rocca di Manerba per prendere parte a una cerimonia di consacrazione; lo
stesso giorno, sempre il 4 agosto, vocato nei calendari antichi alla greca
Atena divenuta Minerva per i romani, in tempi moderni la giovane Anna percorre
lo stesso pendio, incrociando il proprio destino con quello dell’antica ma sua
coetanea sacerdotessa.
In
“Di sangue in sangue” si parla
della strega Virginia, impegnata per l’amicizia che lega la sua genia alla dea
Garda ad assistere una ninfa nel parto; ma stavolta a Lazise il destino
dell’anguana Dora si incrocia con un antico patto stretto tra divinità e con la
fame di sangue di Les Eguales,
due spaventose gemelle di cui aveva narrato C.F. Wolff nelle sue cronache di
leggende italiane.
È
una storia moderna, ma con echi antichi, quella di Maurizio in “Al di là del
lago”: il suo segreto, il fatto di
avere una doppia vita tra la riviera bresciana e la costa veronese, sarà messo
in pericolo dall’incontro con un individuo misterioso sul traghetto che lo
porta da Maderno a Torri.
Infine
in “Il destino in una profezia” a
essere rievocata è la leggenda di Limone e Grineo, figli del dio delle acque
dolci Benàco, rinarrata in un contesto più ampio che coinvolge non solo il lago
e la sua mitologia ma anche la sibilla Manto e il loro nonno, il dio Nettuno.

Il
libro è distribuito presso la libreria Mr Libro di Castiglione delle Stiviere e
nelle altre librerie e punti vendita indicati sul sito www.leggendedelgarda.com, nonché sulla pagina facebook di PresentARTsì.
Editor,
giornalista, autrice di narrativa e di articoli su folklore e leggende, Simona
Cremonini vive e lavora tra Mantova e la seconda casa a Manerba del Garda; ha
presentato racconti su e-book e pubblicazioni cartacee. È autrice di saggi su
leggende e misteri del lago di Garda e delle colline moreniche e del libro di
narrativa “(I) racconti fantastici del Garda” (PresentArtsì 2012). Piazzata in
diversi concorsi letterari di genere, ha vinto l’edizione 2005 del Premio
Akery, sezione horror, e la targa Isabella d’Este 2013 per la letteratura.
Per
acquistare i libri e per
informazioni:
tel.
0376 636839 – associazionepresentartsì@gmail.com
- www.leggendedelgarda.com.
martedì 4 marzo 2014
La fuga della Regina italiana Adelaide attraverso il mantovano
Quale
fu il percorso della Regina italiana Adelaide nel 950 d.C. dopo la sua fuga da
Garda e dal vassallo Berengario che l’aveva imprigionata? Attraversò a cavallo
i monti tra Solferino e Castiglione? Scese in barca lungo il Mincio e si
rifugiò nelle foreste dei laghi di Mantova? Oppure queste sono solo alcune
delle tante leggende che ammantano la figura di questa sovrana, divenuta anche
imperatrice e santa?
A
riproporre questi e altri quesiti è il libro “Adelaide, una leggenda
svelata”, fresco di stampa, della giornalista mantovana
Simona Cremonini che, scoperto un
manoscritto inedito e di autore anonimo del 1895, ha voluto riaccendere i
riflettori su una delle figure femminili più profonde e intriganti del periodo
alto medievale: Adelaide di Borgogna, sposa di Lotario II e regina d'Italia,
poi moglie di Ottone e imperatrice di Germania, e infine Santa della Chiesa
Cattolica.
Dopo
la morte del re e primo marito per opera del vassallo Berengario II, Adelaide
fu imprigionata a Garda, nella fortezza che un tempo sorgeva sulla Rocca
veronese, proprio da Berengario: egli voleva così convincerla a sposare il
figlio, Adalberto, per dare legittimità alla corona di cui si era impossessato.
Il
libro perduto e recuperato, ora edito in una nuova versione da Delmiglio
Editore di Verona, racconta in forma narrativa le vicende di quei giorni
misteriosi in cui Adelaide fu portata in salvo, attraverso il territorio della
Lugana e il Mincio, dal suo
confessore Padre Martino e da due pescatori, complice la Provvidenza divina.
Anche
Mantova, secondo gli storici, ebbe un ruolo in questa vicenda avventurosa: pare infatti che fu il Vescovo di Mantova a
favorire la protezione di Adelaide da parte del Vescovo di Reggio e del
feudatario della Rocca di Canossa, Alberto Azzone, antenato di Matilde di
Canossa, il quale mandò un drappello dei propri bravi per prelevare Adelaide
dal basso lago di Garda e portarla fino a Canossa, attraversando anche i monti
di Solferino e di Castiglione delle Stiviere.
Altra
ipotesi suggestiva è che Adelaide sia giunta a rifugiarsi in una delle
foreste accanto ai laghi di Mantova, da cui fu prelevata sempre da Azzone e dai suoi uomini: forse si
trattava della antica Sylva Arimannorum, oggi Romanore, o, come aveva già
suggerito il breve romanzo “L’anello della Regina Adelaide” di Lilia Isoldi
Neroni, di un luogo vicino all’antica Isola Muricola, situata tra le acque del
Po e del Lirone, oggi il Polirone, l’abbazia preferita dalla discendente di
Azzone Matilde di Canossa.
Il
libro “Adelaide, una leggenda svelata” sarà al Mantova Comics 2014 il 7, 8, 9 marzo con l’autrice Simona Cremonini presso lo stand
“Autori Fantasy”, dove saranno in vendita anche “Misteri Morenici” (viaggio tra i misteri e le leggende delle colline
dell’alto mantovano), “La paura danza in collina”, “(I) racconti fantastici del Garda”, “Leggende
curiosità e misteri del lago di Garda”.
Simona
Cremonini parteciperà inoltre all’interno della manifestazione alla tavola
rotonda "Fantasy e dintorni, con gli Autori fantasy", sabato 8 marzo dalle 14,00.
Info
per acquisto libro: www.leggendedelgarda.com
- info@leggendedelgarda.com.
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venerdì 23 agosto 2013
martedì 20 agosto 2013
venerdì 19 luglio 2013
Le colline del basso lago di Garda si tingono di mistero
COMUNICATO STAMPA - Tornano i viaggi nel mistero locale della giornalista Simona
Cremonini, che dopo la guida per viaggiare tra le leggende del lago di Garda
propone per l’estate 2013 il nuovo “Misteri Morenici”: un viaggio nella
fantasia popolare, fra i culti, i simboli, le storie fantastiche e le leggende
che ancora oggi sedimentano lungo le colline moreniche del basso lago di Garda.
“Misteri Morenici” segna un percorso affascinante e inedito
tra le province di Mantova, Brescia e Verona, narrando gli enigmi di quello
che, come ricordato nel libro e in fascetta, il Solitro ha definito “il più
vasto, perfetto ed ammirevole anfiteatro morenico, che vanti l'Italia”.
Medole, Cavriana, Solferino, Castiglione delle Stiviere,
Montichiari, Lonato del Garda, Valtenesi, Desenzano del Garda, Lugana, San
Martino della Battaglia, Pozzolengo, Peschiera del Garda, Ponti sul Mincio,
Monzambano, Volta Mantovana, Guidizzolo, Valeggio sul Mincio, Castelnuovo del
Garda, Sona, Custoza, Lazise: sono le
tappe di questo tragitto mistico, a tratti esoterico, di cui si può andare alla
scoperta con la nuova “guida del mistero”. La copertina è dedicata al Monte
Corno di Desenzano del Garda, santuario naturale teatro di antichi culti di eco
celtica.
Misteri Morenici, come spiega la quarta di copertina, è “Una
passeggiata tra le colline moreniche del basso lago di Garda lungo le storie di
spettri e fantasmi, mostri e animali simbolici, antichi culti mai sopiti tra
religione celtica e cristiana, mitologia, streghe, creature fantastiche, fate,
leggendarie città sommerse, tavolette enigmatiche, presenze infernali e
trabocchi sulfurei”.
Il libro è edito da PresentARTsì, "bottega di prodotti culturali" di
Castiglione delle Stiviere, che della stessa autrice ha pubblicato lo scorso
anno i due fortunati libri precedenti “(I) racconti fantastici del Garda” e il
saggio “Leggende, curiosità e misteri del lago di Garda”, uscito in queste
settimane nella versione inglese, nonché nel 2013 Il breve saggio “La paura
danza in collina”, che attraverso un viaggio nel rapporto tra letteratura
horror e collina completa idealmente Misteri Morenici.
I libri sono distribuiti presso
la libreria Mr Libro di Castiglione delle Stiviere e nelle altre librerie e
punti vendita indicati sul sito www.leggendedelgarda.com,
nonché sulla pagina facebook di PresentARTsì.
Editor, giornalista, autrice
di narrativa e di articoli su folklore e leggende, Simona Cremonini ha
presentato racconti su e-book e pubblicazioni cartacee, tra cui tra i più
recenti "Il gioiello di Crono" e “Storie di gente a pezzi” (Delmiglio
Editore 2012), “La bottega dell’erborista” (Delmiglio Editore 2013). Piazzata
in diversi concorsi letterari di genere, ha vinto l’edizione 2005 del Premio
Akery, sezione horror.
Per acquistare i libri e per informazioni: tel. 0376
636839 – associazionepresentartsì@gmail.com.
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domenica 14 aprile 2013
I misteri del lago di Garda a Pacengo
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Misteri e leggende delle colline moreniche del Garda
Un nuovo libro di Simona Cremonini su misteri e leggende delle colline moreniche del Garda...
Area Blu, 13 aprile 2013
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martedì 19 marzo 2013
Ufo sul Garda tra le armi di Hitler?
L'Arena
martedì 19 marzo 2013
INEDITO. Domani sera l'intervista di Marco Berry allo storico veronese
Pellicola del '38 sugli Ufo va in onda su «Mistero»
L'ha scoperta il regista Quattrina girando un documentario sulle fabbriche d'armi nel Garda
Cerca materiale per fare un documentario storico e trova una bobina con su scritto Ufo. È successo al regista Mauro Vittorio Quattrina, esperto in ricerche sulle guerre mondiali, contattato dalla redazione di «Mistero» che ha fatto le riprese. La trasmissione, con l'intervista del conduttore Marco Berry a Quattrina, andrà in onda domani su Italia 1 in prima serata.
«La redazione di Mistero mi ha contattato per il mio documentario Tunnel Factories dove racconto in video per la prima volta le fabbriche di armi tedesche nelle gallerie del lago di Garda, sponda occidentale, ma ancora di più della Galleria Caproni di Torbole, sulla sponda orientale, dove venivano costruiti pezzi dei devastanti razzi V2 e degli aerei a reazione me262 e me163», racconta il regista veronese. «È una storia nota solo a pochi storici che, grazie al documentario, ha preso una certa notorietà. Non solo, ma il ritrovamento di un filmato particolare, che ho scoperto nell'archivio del museo dell'areonautica Caproni di Trento, con la scritta Ufo 1938, lascia un bel mistero: la sua visione in anteprima sarà unica». Tutte le notizie riguardanti le armi segrete di Hitler costruite sul lago di Garda si possono trovare sul sito: http://mauroquattrina.jimdo.com/doc-tunnel-factories-le-armi-segrete-di-hitler-sul-lago-di-garda-e-in-italia/ .
Si tratta di una bobina in pellicola a 16 millimetri, contenuta in una scatola gialla con su scritto a pennino «Ufo pista Breda» e la data 1938. «Si è cominciato a parlare di Ufo negli anni '40», continua Quattrina, «basti pensare al carteggio raccolto da Mussolini o ai velivoli sperimentali costruiti dai tedeschi in quegli anni, che studiavano oggetti volanti caduti». Sviluppando la pellicola, che secondo il regista è «un originale inedito» si vede «una tipica ripresa dell'epoca, non di ottima qualità, che riporta le condizioni meteo, l'aereo che ha filmato e per 10 secondi, ripreso dall'alto, un disco bianco vicino ad un hangar». Cos'era? Un mezzo sperimentale? Un oggetto volante caduto? Era un'arma segreta di Hitler? Domande senza risposta, appunto un mistero. Mistero senza risposta anche per gli esperti del settore, venuti dal Centro italiano di Ufologia che hanno studiato la pellicola. «Chi ha scritto sulla scatola gialla il termine Ufo», conclude il regista Quattrina, «era in ogni caso una persona che teneva in ordine gli archivi militari. Guardando attentamente la pellicola, c'è una ripresa dentro l'aereo in volo, una carrellata veloce che subito si allontana. Poteva essere un'arma segreta, che non doveva essere ripresa? Forse».G.G.
domenica 17 marzo 2013
Gabriele D'Annunzio, un mistero fin dalla nascita
Bresciaoggi
martedì 12 marzo 2013
IL PERSONAGGIO. Un primo segno quando la famiglia cambiò cognome
Nato «nel mese fecondo
che da Marte si noma»
Introdotto al mistero da una parente badessa
di Attilio Mazza
Gabriele d'Annunzio nacque 150 anni fa, alle ore 8 di giovedì 12 marzo 1863, «con tante grida nel mese fecondo / che da Marte si noma, / entrando il Sole nel segno / dell'Ariete duro cozzante, / mentre passavan sul nostro / tetto col volubile nembo / i pòllini di primavera», scrisse nelle Laudi.
Vide la luce nella casa paterna di Pescara in via Manthoné, terzogenito di Luisa de Benedictis andata in sposa il 3 maggio 1858 in Ortona a don Francesco Paolo d'Annunzio; la madre aveva 25 anni, il padre 26 anni. La casa dei giovani e abbienti coniugi era già stata allietata da due eventi: la nascita di Anna (1859) e di Elvira (1861); a completare la famiglia saranno poi Ernestina (1865) e Antonio (1867).
Alla madre, donna riservata, di tradizioni familiari signorili - e alla quale fu assai legato - Gabriele, barando sul giorno di nascita, attribuì il grido profetico: «Figlio mio, sei nato di marzo e di venerdì; chi sa quante grandi cose tu dovrai fare nel mondo!». Tra i giorni della settimana il venerdì è quello che meglio entra nei calcoli cabalistici e superstiziosi; così il poeta scelse di nascere di venerdì.
Anche il padre, amante della bella vita e delle belle donne, signorotto di provincia dai folti mustacchi e dal pizzetto curato, presentì in qualche modo che quel figlio era destinato a un grande futuro; e per festeggiarne la nascita si racconta abbia aperto la casa agli amici offrendo da bere a tutti, vuotando non poche damigiane di vino.
«Nomina sunt omina», dicevano i latini: i nomi sono presagi. Il primo «segno» si ebbe quando non era ancora nato. «Si sarebbe potuto cognominare Rapagnetta, come suo padre Francesco Paolo, come suo nonno Camillo; se non che il padre, adottato da uno zio per parte di madre, ne eredita i beni e il cognome: d'Annunzio. Il quale avrebbe dovuto, tuttavia appaiarsi con Rapagnetta, facendo il cognome Rapagnetta-d'Annunzio; ma non si conosce un solo documento, né di ufficio privato, in cui Francesco Paolo d'Annunzio figuri a un tempo Rapagnetta», scrisse Donatello d'Orazio. E solo il cognome d'Annunzio compare sul certificato di nascita di Gabriele. Giustamente osservò ancora d'Orazio: «Chi riesce a immaginare Laus vitae, poniamo, firmato anziché d'Annunzio, Rapagnetta?».
RITI SUPERSTIZIOSI. A una «fattura» fattagli dal nonno paterno, o meglio dalla consuetudine abruzzese di mettere nelle fasce del neonato monete d'argento (quattrocento), il poeta fece risalire la propria irrefrenabile prodigalità, scrisse al proprio editore Emilio Treves: «Ma lo sai che ero appena nato e mi corazzarono con quattrocento piastre d'argento? Come puoi dire che io non sappia il valore del danaro, se me lo misero tra le pieghe stesse delle fasce?» E sublimerà la propria travolgente prodigalità col motto «Io ho quel che ho donato» che volle inciso anche sul frontone triangolare della fontana al centro dei due principali portali d'ingresso del Vittoriale.
Una «fattura» di altro genere gli fece la nonna paterna donandogli un paio d'orecchini di brillanti: l'antica e gentile tradizione d'Abruzzo consente, infatti, di regalare ornamenti femminili al primo maschio di una coppia giovane, come auspicio e legame di felicità fino al giorno del matrimonio, quando cioè sceglierà la sposa e a lei offrirà quel dono.
Chi crede nelle «fatture» potrebbe spiegare con questo episodio la componente femminea del carattere di d'Annunzio, da cui discenderebbero l'eterna malinconia, una certa passività, addirittura il suo inesauribile desiderio della donna: «se ne invoglia fino a quando non incontra in essa ciò che egli stesso possiede». Del resto, tra i numerosi pseudonimi, non disdegnò quello di Mimosa; alcuni biografi hanno anche rilevato la sua ambigua amicizia con celebri gay, come lo scrittore conte Robert de Montesquiou-Fezesensac a Parigi e alcuni fedelissimi a Fiume.
SAN GABRIELE. Ferruccio Ulivi ipotizza che sia stata la madre a pensare al nome nel ricordo del santuario di San Gabriele sulle pendici del Gran Sasso. «Ma dové intervenire anche l'assonanza che veniva a sigillare il cognome acquisito appena da una generazione: d'Annunzio». Già dai casati della madre, de Benedictis, e da quello del padre, D'Annunzio, si possono leggere i segni del destino; e al suo nome darà alte interpretazioni, creando giochi di parole: «Se io porto il nome dell'Arcangelo, ho nella mia mente il suggello sovrano dell'Arcangelo. Platone direbbe di me che sono una natura regale». Gli piacque ritenere la madre imparentata con Jacopo de Benedictis (o de' Benedetti), il grande poeta francescano Jacopone da Todi; tra i suoi avi ricordò anche, in una lettera, un antico tipografo: «Ho ritrovato un documento che dimostra come mia madre discenda da uno dei più insigni stampatori del primo rinascimento : Plato de Benedictis».
Tra le prime forti impressioni che gli rimasero impresse vi fu quella della casa materna di Ortona, vastissima «di architettura massiccia, tra il monastero e il fortilizio, tutta atrii anditi vestivoli cortili adornati di logge giardinetti murati corridoi lunghi a spartitura di stanze quasi celle».
A Ortona, badessa del convento era una congiunta della madre, una Onofrii la cui famiglia ebbe in feudo Paganica. Il poeta raccontò l'introduzione ai misteri del destino che si leggono sulla mano avuta a nove anni dalla priora: «Dal parlatorio comune ella mi ammise nell'intimo della vita monastica: in privilegio di nepote. mi accoglieva talvolta nel segreto della cella quando s'adoperava a sapere le cose occulte e le venture con le sue arti divinatorie, se bene la divinazione sia stata sempre condannata dalla Chiesa mi prese le mani, me le voltò; e si mise ad esaminare i segni nell'una e nell'altra palma, mentre su le sue labbra vedevo disegnarsi parole non proferite. aguzzava ed eludeva la mia smania di sapere». Onufria lesse il destino di Gabriele inciso sulle mani e, raccontò in un libro, alla sua incredulità esclamò: «non dubitante ma ignorante sei. l'ignoranza nega il mistero perché non sa discernere i gradi del lume. tu sei mistero a te stesso, o figlio. qui, in questo tuo dittico vivente, son rivelati con brevi segni i segreti del tuo cuore e in bene e in male».
E fu quella l'introduzione al mistero che dì Annunzio indagò nella vita e nell'arte.
lunedì 4 marzo 2013
Tradizioni propizie per la primavera nel bresciano
Bresciaoggi
venerdì 01 marzo 2013
Lettere
In molti paesi bresciani la tradizione di propiziare l´arrivo della primavera ai primi di marzo
In molti paesi bresciani la tradizione di propiziare l´arrivo della primavera ai primi di marzo è ancora viva, soprattutto come memoria di altri tempi. Il "Tratto marzo" si svolgeva non solo nelle località ricordate ieri, ma anche a Leno, Mazzano, Valvestino, Vico di Capovalle. Inoltre le particolari consuetudini sono assai vive in altri paesi e meritano d´essere ricordate.
A Malonno era consuetudine entrare l´ultima sera di febbraio nelle stalle al grido "A´n dà fò fevru e nòm dà diter marsù", esce febbraio ed entra marzo: veniva così dichiarata la fine dell´inverno e augurata una buona primavera.
A Montichiari, all´inizio di marzo, se il cielo era limpido, due gruppi di uomini, appartenenti a due borgate diverse, si recavano all´imbrunire uno sul Colle San Pancrazio e l´altro sul Colle Santa Margherita per annunciare il nome delle ragazze da marito e di chi le voleva sposare. A Piazza di Corteno Golgi cori alternati dialogavano cantando canzoni amorose.
A Polpenazze si tramandano le "Ciocche di marzo", matrimoni impossibili pure annunciati dall´alto della collina. Gruppi di giovani, da due diverse località elevate sopra il borgo, si divertivano a tarda ora a preconizzare i futuri matrimoni burleschi e strampalati, accompagnando le urla con suoni prolungati di corni.
A Prevalle, sino ad alcuni lustri orsono, era in uso "Nà a ciamà sö l´erba", corteo che inscenava matrimoni burleschi tra le donne nubili e gli scapoli. Tale rituale era anche detto "Na´ a marida´ le pöte e i pöcc" oppure "Na´ a cioca´ le tole".
A Saviore dell´Adamello lo "Stratto di marzo" era occasione di giochi e di canzonature.
A Tignale, nelle ore serali dell´ultimo giorno di febbraio, il rito degli accoppiamenti del "Trato marso" veniva annunciato da uno squillo prolungato di corno subito seguito da altri provenienti da diverse direzioni.
A Tremosine due burloni, accompagnati dagli amici, raggiungevano due colli opposti e con grandi imbuti cominciavano a dialogare annunciando sempre accoppiamenti strampalati.
lunedì 25 febbraio 2013
Gli amuleti di D'Annunzio al Vittoriale, torna il Ponte delle corna
Delle superstizioni di D'Annunzio e delle curiosità al riguardo presenti nel Vittoriale parlo anche nel mio libro, "Leggende, curiosità e misteri del lago di Garda"
L'Arena
giovedì 21 febbraio 2013
GARDONE. È stato ripristinato nel parco della villa sul lago un luogo di rituali scaramantici
Al Vittoriale torna il Ponte delle corna
«Io che ne ho messe tante ho in dono tante corna» scherzava il poeta. Faceva passar di lì i menagramo
Il Vittoriale, la villa con parco a Gardone, sulla riva bresciana del Garda, riaprirà ai visitatori dal 12 marzo anche il Ponte degli scongiuri sulla Valletta dell'Acqua pazza (già Valletta del Riotorto): vi si accederà dal Frutteto, risalendo dal Laghetto delle danze sino al Ponte delle teste di ferro; nessun annuncio, invece, sulla Torre San Marco, darsena di d'Annunzio e luogo fra i più suggestivi del Garda.
Il Vittoriale rigurgita di amuleti: corna contro la iettatura (sulla porta del Casseretto) e altri simboli, a cominciare dal diavolesco mostro, cornuto e linguacciuto, chiuso nella nicchia del tabernacolo sulla facciata della Prioria, purtroppo rubato. E come se ciò non bastasse, volle innumerevoli scritte propiziatrici a protezione della dimora. Il Ponte degli scongiuri aveva appunto funzione scaramantica. Gabriele d'Annunzio ne fece cenno nel 1925 al falegname Giacomino Scarpetta di Gardone, uno dei molti artigiani chiamati a lavorare nella «santa fabbrica»: «Mio caro Giacomo, ho in dono – per il mio Ponte degli Scongiuri – tante belle corna, io che ne ho messe tante! O ironia!»
Il ponte finì in cartoline, come qualla che pubblichiamo e così lo descrisse Raffaello Biordi: «Al Vittoriale sopra un piccolo corso d'acqua volle il ponticello degli scongiuri, ornato di corna di cervo, di alce e di speroni di gallo: chi vi passava sopra era tenuto a pagare il pedaggio perché solo così si determinava l'aura magica propizia; ma egli vi faceva passare, a ogni buon conto, tutti quelli che riteneva menagramo e la cui nefasta influenza fosse necessario neutralizzare». Gettando una moneta in una fenditura del terreno il poeta affermava che la fortuna e ogni desiderio, pensati nell'attimo dell'offerta, sarebbero stati realizzati.
Altro manufatto curioso della Valletta dell'Acqua pazza è il Ponte delle teste di ferro, segnalato dalla prima guida del Vittoriale del 1927, costruito in pietra bianca di Verona, con parapetti e sedili; sui pilastri una decina di grandi proiettili d'artiglieria donati al poeta dal Duca della Vittoria della Grande Guerra, il maresciallo Armando Diaz; fu ricostruito negli anni Novanta. Destava curiosità anche il Ponte delle lepri distrutto e non più ripristinato. Era stato costruito in legno, ornato da quattro lepri scolpite, sempre nel legno. La credenza popolare vuole che la lepre, poiché corre veloce, sia figlia del diavolo. Per altri, invece, sia animale guida nel mondo del mistero.A.M.
La leggenda della Lessinia e del Baldo sposi
L'Arena
sabato 09 febbraio 2013
dall'articolo: "La Lessinia e il Baldo oggi sposi"
La Lessinia e il Baldo. Lei, la montagna: femminile, sinuosa, dolce, distesa. Lui, il monte: maschile, imponente, frastagliato, slanciato. Si guardano, di qua e di là della valle dell'Adige. La bella ragazza dei prati distesi e il gagliardo giovane dagli occhi azzurri del Garda sono innamorati, da sempre, ma non si possono toccare. La leggenda dice che fossero stati, un tempo, felici insieme, principe Montebaldo e principessa Lessinia. Felici come nessun altro nel regno delle Alpi, con le loro tre figlie: Valpolicella, Valpantena e Valdillasi. Furono le altre principesse del regno, invidiose di tanta felicità, a dividere i due innamorati, separandoli con una valle profonda. Cosicché Lessinia sporge invano sopra la valle la mano del Corno d'Aquilio, per tentare di accarezzare il suo amore, e Montebaldo, ogni sera, quando il sole si è spento dietro le sue creste, le intona una struggente serenata.
Così racconta Alessandro Anderloni, cantastorie della Lessinia.
sabato 2 febbraio 2013
Dopo 1.650 anni svelato il volto di San Zeno
L'Arena
venerdì 01 febbraio 2013
SCOPERTE. Presentati i risultati dell'analisi eseguita dal laboratorio di medicina legale dell'ateneo scaligero sui resti del patrono. Ricostruita al computer la fisionomia
Dopo 1.650 anni svelato il volto di San Zeno
Il «Vescovo moro» aveva davvero la pelle scura. Le caratteristiche somatiche sono quelle della popolazione nordafricana, e avallano la provenienza dal Maghreb
Il «Vescovo moro» era «moro» per davvero. La scienza conferma la verità della fede, in un incontro emozionante e coraggioso che ha consentito non soltanto di procedere alla ricostruzione storica, ma di scoprire dettagli inediti e perfino, avvalendosi delle più sofisticate tecnologie, di dare un volto al patrono di Verona. Sono stati infatti presentati ieri mattina in Vescovado gli esiti scientifici della ricognizione del corpo di San Zeno, decisa ancora nei mesi estivi per la ricorrenza dei 1.650 anni dall'elevazione a vescovo della nostra città. E tutte le analisi realizzate coincidono nel confermare che quei resti appartengono ad un uomo dalla pelle scura (risolvendo secoli di controversie), vissuto nel IV secolo, cioè all'epoca di San Zeno, offrendo molte indicazioni sulle sue caratteristiche fisiche.
«Quando abbiamo deciso di procedere a questo lavoro non sapevamo quali risultati avremmo raggiunto», ha spiegato il vescovo Giuseppe Zenti, intervenuto alla presentazione dei risultati con l'abate di San Zeno monsignor Gianni Ballarini. A spiegare il lavoro compiuto Franco Alberton, medico legale, il professor Fiorenzo Facchini, professore emerito alla scuola di specializzazione in Archeologia dell'Università di Bologna, il professor Franco Tagliaro, direttore di Medicina legale dell'Università di Verona, con i colleghi Domenico di Leo e Stefania Turrina. «Erano possibili anche esiti non previsti», ha aggiunto monsignor Zenti. «Ma sono convinto che sia giusto approdare alla verità della realtà grazie ai progressi della scienza. Anche se lo scheletro analizzato non fosse stato identificabile con San Zeno, il culto sarebbe rimasto inalterato, potevamo anche imbatterci in un falso storico».
Ma tutto lascia intendere, per lo meno fino all'esito attuale delle analisi, che potranno essere ulteriormente approfondite, che quello è davvero lo scheletro di San Zeno. Lo confermano le analisi medico legali e tossicologico forensi eseguite a Verona: come ha spiegato Tagliaro, «nelle ossa di San Zeno si rileva una presenza molto più alta del normale di piombo e mercurio, dato presente anche nell'analisi dei resti di Cangrande. Il piombo si spiega con il fatto che di tale elementi erano fatti gli utensili da cucina, il mercurio era usato come antibatterico, forse assunto come curativo».
Ma il momento più affascinante è stato sicuramente quello della ricostruzione facciale. «Attraverso un programma particolare, abbiamo ricostruito al computer il volto del santo», ha spiegato ancora Tagliaro. «Si tratta di eseguire una tac del cranio, quindi, mediante modelli informatici, viene realizzato un manufatto che corrisponde alla struttura del cranio e su questo il programma disegna la tipologia facciale che meglio si adatta».
Una tecnica investigativa tipicamente forense, di quelle che in genere si impiagano per una complessa scena del crimine, questa volta usata per scoprire verità lontane.
Altro dato essenziale ricavato, la provenienza geografica. «Il dna estratto dal frammento femorale di San Zeno», ha detto De Leo, «ha fornito un profilo che conferma che si tratta di spoglie di un soggetto di sesso maschile e ne colloca l'origine di provenienza nell'area mediterranea-nord africana, ipotesi che risulta dunque del tutto compatibile con l'origine mauritana di San Zeno, la zona attualmente costituita da Tunisia e Algeria».
«Da rilevare anche che la reliquia mostra uno stato di conservazione davvero eccezionale», ha concluso Alberton. «Questo potrebbe significare una speciale attenzione devozionale nei secoli, che avrebbe permesso questa straordinaria qualità dei resti: dunque, una conferma in più che si trattava di una personalità importante, oggetto di venerazione».
LO STUDIO COMPARATO. L'indagine dell'Università di Bologna coincide con quella scaligera
Il metodo del radiocarbonio conferma: visse nel IV secolo
L'archeologo Facchini: «I resti ci dicono che era alto 165-167 centimetri e morì tra i 50 e i 60 anni»
Oltre all'Istituto di Medicina legale del nostro ateneo, anche il laboratorio di Bioarcheologia e Osteologia forense dell'Università di Bologna ha realizzato una serie di analisi, avvalendosi pure della collaborazione di altri istituti, che coincidono nei risultati.
«Per quanto riguarda la datazione», ha spiegato il professor Facchini, «i reperti sono stati datati dal centro di datazione e diagnostica dell'Univesità del Salento mediante la determinazione del radiocarbonio con il metodo dell'acceleratore: ne è risultato che i reperti sono compatibili con i dati storici relativi a San Zeno, vissuto nel IV secolo e morto dopo il 372».
In merito all'identificazione antropologica, ha proseguito Facchini, «i reperti risultano in ottimo stato di conservazione: si riferiscono ad uno stesso individuo di sesso maschile. La stima dell'età della morte, determinata dal grado di sinostosi delle suture craniche, da alcuni caratteri del bacino, da numerosi segni di artrosi, suggerisce un'età superiore ai 50 anni: diciamo tra 50 e 60 anni. La forma del cranio è ovoide corto, la faccia, le orbite e il naso sono alti. Assai marcate le arcate sopraorbitarie, il che conferma un'origine dall'Africa settentrionale. La statura, stimata dalla lunghezza degli arti con diversi metodi, doveva essere di 165-167 centimetri, che può considerarsi una statura media. Dal punto di vista antropologico, il soggetto può considerarsi di tipo mediterraneo europoide, largamente diffuso in epoca romana nelle regioni che si affacciavano sul Mediterraneo, compresa l'Africa settentrionale».
Altri dati arrivano dall'esame del dna eseguito nel laboratorio di antropologia molecolare di Firenze. «Questi hanno messo in evidenza», spiega ancora Facchini, «l'alleale G ancestrale responsabile della pigmentazione scura della pelle: la presenza di questo alleale in un soggetto che non ha però caratteristiche morfologiche negroidi, ma è riconducibile al tipo mediterraneo, indice a supporre qualche mescolanza nei suoi antenati con il ceppo melanodermo, caratteristico delle popolazioni subsahariane. Questa caratteristica si accorderebbe proprio con quanto la tradizione riferisce circa il colore scuro della pelle di San Zeno». A.G.
LA VITA. È stato l'ottavo presule. Molti sono i miracoli a lui attribuiti
Protettore dei pescatori,
domò le acque dell'Adige
Zeno, o Zenone fu l'ottavo vescovo di Verona. La maggior parte della sua vita è avvolta nella leggenda, ma pare fosse originario della Mauretania, e per questo vi si fa riferimento come a «il Vescovo Moro». Fu vescovo di Verona dal 362 al 371 o 372 o 380, anno della sua morte.
Secondo le fonti agiografiche visse in austerità e semplicità, tanto che pescava egli stesso nell'Adige il pesce per il proprio pasto. Per questo è considerato protettore dei pescatori d'acqua dolce. Era comunque persona colta ed erudita, formatosi alla scuola di retorica africana, i cui maggiori esponenti furono Apuleio di Madaura, Tertulliano, Cipriano e Lattanzio. Sono giunti fino a noi numerosi suoi sermoni, di cui 16 lunghi e 77 brevi, che testimoniano come, nella sua opera di evangelizzazione, si confrontò con il paganesimo ancora diffuso e si applicò per confutare l'arianesimo.
I miracoli che le leggende devozionali raccontano sono parecchi. La leggenda più straordinaria è però riferita da papa Gregorio I (Gregorio Magno) e narra di un improvviso straripamento delle acque dell'Adige che sommerse tutta la città fino ai tetti delle chiese, al tempo del re Longobardo Autari. Le acque arrivarono alla cattedrale dove il re aveva appena sposata la bella principessa Teodolinda, precisa il monaco Coronato, ma si sarebbe arrestata improvvisamente, in sospensione, sulla porta, tanto da poter essere bevuta, ma senza invadere l'interno. Ciò avrebbe determinato la salvezza dei veronesi, che, pur non potendo uscire, poterono resistere finché la piena non calò.
La sua festa è fissata nel martirologio al 12 aprile, ma la diocesi di Verona lo celebra il 21 maggio, giorno della traslazione del corpo fatta dai santi Benigno e Caro dalla temporanea sepoltura nella Cattedrale alla zona dell'attuale Basilica, il 21 maggio 807.
domenica 13 gennaio 2013
La vecchia brucia in Piazza Bra a Verona
L'Arena
lunedì 07 gennaio 2013
FIAMME IN BRA. Le «falive» vanno verso Garda, grande folla in piazza ad ammirare l'antico rito propiziatorio di buone nuove
Il falò in Bra allontana
le negatività del 2012
Migliaia di persone davanti all'Arena. Il rogo accompagnato prima dai tamburi e poi dalle note del compositore Vangelis
Brucia, vecchia, brucia. Bruciano con te le preoccupazioni, le cose non dette, quelle fin troppo dette. Le aspettative disilluse, i dolori provati, le paure patite.
Scalda fuoco, scalda. Gli animi pietrificati dalla sofferenza, dai patimenti. E purifica, purifica dalle cattiverie, dalle malattie, da questa crisi che non lascia il nostro Paese.
Quanti pensieri sono volati in alto ieri pomeriggio alle 18, quando la pira costruita in piazza Bra ha preso fuoco. Prima la luce dei fuochi attorno a illuminare la scena, poi il castello, dato alle fiamme dal cuore, fino a lavare per decine di metri le fiamme. E il tepore delle fiamme a riscaldare le migliaia di persone arrivate in Bra per tradizione, per scaramanzia, perchè sì l'Epifania che «tutte le feste si porta via», si porti via con sè tutto quello che dell'anno appena passato non ci era proprio piaciuto.
Prima i tamburi, a ritmare quei guizzi rapidi, i crepitii, poi, quando le fiamme erano alte imponentissime e quasi spaventose, ecco partire la musica, (grazie ad Eventi) del grande compositore Vangelis con la colonna sonora del film «1492 la conquista del paradiso», che narra del viaggiatore Colombo verso le Americhe. Lui ha conquistato il nuovo mondo. A noi basterebbe migliorare quello in cui viviamo.
Un tempo erano campanacci, latte, trombe, ferri e catene, si faceva un rumore assordante per spaventare gli spiriti maligni che si aggiravano per i paesi e le campagne. Per cacciarli via per sempre, restituendo pace agli uomini. I cacciatori sparavano in aria tanti colpi di fucile, perché colpissero direttamente il cuore delle streghe, sperando di liberarsi una volta per tutte della loro presenza. Quando le fiamme avevano bruciato la cattiva Befana e si spegnevano lentamente, si diceva che, morta la crudele vecchia, da quel rogo rinascesse finalmente la Befana buona, portando un gran regalo per tutti.
Nel Medioevo, periodo ricco di racconti demoniaci e di magie, si dava molta importanza al periodo compreso tra il Natale e il 6 gennaio, un periodo di dodici notti dove la notte dell'Epifania è anche chiamata la «Dodicesima notte». È un periodo molto delicato e critico per il calendario popolare, è il periodo che viene subito dopo la seminagione; è un periodo, quindi, pieno di speranze e di aspettative per il raccolto futuro, da cui dipende la sopravvivenza nel nuovo anno. La festa della Befana ha origine da antichi elementi folclorici pre-cristiani, recepiti ed adattati dalla tradizione cristiana. In particolare questa figura è probabilmente da connettere a tradizioni agrarie pagane relative all'inizio dell'anno. In tal senso l'aspetto da vecchia sarebbe da mettere in relazione con l'anno trascorso, ormai pronto per essere bruciato per "rinascere" come anno nuovo.
Ieri sera le «falive» sono andate verso ovest, verso Garda.
«Se le falive va al garbin, parécia el caro pa 'ndare al mulin. Se le faìve va a matina, tol su el saco e va a farina. Se le faìve va a sera, la poenta impiega la caliera», recita un vecchissimo proverbio. Che sia per tutti un anno migliore.
domenica 30 dicembre 2012
lunedì 17 dicembre 2012
Garda e Baldo, conoscerli anche con leggende e misteri
Aperte le iscrizioni al corso de El Vissinel per conoscere il Baldo Garda (l'incontro sulle leggende e i misteri gardesani è tenuto da Simona Cremonini)
L'Arena
domenica 16 dicembre 2012
VALEGGIO
Garda Baldo
«El Vissinel»
Iscrizioni
al corso Ctg
Vuoi innamorarti del Baldo Garda? Della sua arte, cultura, natura e sapori? Per tutto questo il Ctg ha aperto le iscrizioni al corso «El Vissinèl» che si svolgerà dal 16 al 20 marzo, tra momenti teorici e uscite. Possono partecipare soci, simpatizzanti, amici: «È il 13° ciclo di Conoscere il Baldo- Garda; quest´anno si svolgerà a Valeggio, nell´aula magna delle medie Foroni», dice il presidente e animatore culturale Fabio Salandini. Il costo è di 50 euro per chi ha più di 30 anni, di 30 per chi ha meno di 30 anni e gratis per i residenti a Valeggio; altre informazioni su www.elvissinel.it o al 338.611.00.20.
«Da anni il Ctg El Vissinèl conduce centinaia di persone alla scoperta del Baldo Garda per farne conoscere le caratteristiche e per cercare di coinvolgere tutti nella sua tutela e promozione. Al termine delle lezioni, infatti, i partecipanti potranno anche scegliere di impegnarsi come animatori turistico-cultura! li del Ctg».
Ora è tempo di bilanci: «Chiudiamo soddisfatti il 2012», dice Salandini. «Alle uscite hanno partecipato quasi 2mila persone e i nostri 20 animatori hanno organizzato 150 escursioni gratuite». Sui temi precisa: «Dopo un inizio sulle caratteristiche, geologiche e climatiche, del Baldo Garda, passeremo a serate su Valeggio e sulla sua storia». Incontri sempre il mercoledì, dalle 20.30 alle 22.B.B.
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Il Dukw ritrovato, dal 45 sotto il Garda
L'Arena
venerdì 14 dicembre 2012
LA SCOPERTA. L'anfibio si era inabissato a Torbole il 30 aprile 1945 con i venticinque giovani militari che trasportava
Relitto Usa, l'emozione dei parenti dei soldati
Val Rios, il presidente dei discendenti delle vittime: «Vogliamo riportare a casa i resti dei nostri ragazzi»
«Sono emozionatissimo per il ritrovamento del Dukw e felice che qualcuno si sia preoccupato di continuare le ricerche. Abbiamo avvertito le famiglie e farò tutto il possibile per riuscire a riportare ai loro discendenti i resti dei nostri poveri soldati». È quanto ha comunicato, prima via mail e poi con una toccante telefonata, Val Rios il presidente della decima Mountain Division Descendants (Associazione dei discendenti della Decima divisione di montagna) ai Volontari del Garda.
Il gruppo bresciano degli «angeli azzurri» lunedì, dopo mesi di impegnative ricerche, è riuscito ad individuare nelle acque al largo di Torbole, a oltre 270 metri di profondità, il Dukw, l'autocarro anfibio che il 30 aprile 1945 si inabissò nel lago. Un tragico incidente nel quale persero la vita 25 giovanissimi soldati statunitensi tra i 18 e i 23 anni.
Intanto, annuncia il loro responsabile Mauro Fusato, i Volontari del Garda hanno preparato un video che racconta il ritrovamento del mezzo militare tramite le immagini registrate sul fondo del Garda con l'aiuto di sonar e robot, nonchè con un vecchio filmato dell'epoca della seconda guerra mondiale. Un video che verrà mostrato per la prima volta durante la conferenza stampa convocata per domani alle 10.30 nella sala ex biblioteca di Riva, in via Chiesa 12.
Quanto al Dukw, è un autocarro che pesa 2 tonnellate e mezzo. In quel 30 aprile del 1945 aveva portato gli alleati «alpini americani» sul Garda. Una tempesta li colse alla sprovvista e soprattutto troppo carichi: il mezzo anfibio si rovesciò e fu una strage. Riferiscono i volontari che non ci sono corpi all'interno del relitto. Ma nella zona circostante, così ha rilevato il sonar, appaiono numerose forme di misura compresa tra il metro e 70 e il metro e 80: potrebbero essere i resti di quegli sfortunati soldati. Dal naufragio si salvò soltanto uno dei militari, il caporale Thomas Hough, che si aggrappò ad un pezzo del mezzo e guadagnò la riva. In paese si tramanda ancora che quella sera, nel buio, gli abitanti di Torbole sentirono le urla dei dei giovani naufraghi. Nel 2004 arrivò sul Garda per cercare il mezzo anche una spedizione statunitense, con un'equipe della Texas University, che non ebbe successo.
Gli stessi Volontari del Garda avevano cercato di individuare il Dukw anche tra la fine del 2011 ed il 2012. L'altro giorno la scoperta grazie a un sonar e una telecamera filoguidata.
L'Arena
domenica 16 dicembre 2012
LA SCOPERTA. Furono 24 i soldati che persero la vita sul Dukw, affondato il 30 aprile 1945 e rinvenuto a sud di Riva
Avvistati i corpi dei militari
vicino all'anfibio americano
«Gli echi del sonar segnalano target di 160 e 180 centimetri» dicono i Volontari del Garda di Salò che hanno trovato il relitto
Tasselli di storia emergono dalle acque del Garda. Con il ritrovamento del mezzo anfibio (Dukw) della Decima Mountain Division su cui viaggiavano 25 giovani soldati americani prima di essere travolti dalle onde del lago in tempesta, dopo quasi 70 anni il gruppo Volontari del Garda di Salò ha riportato alla luce la più grande tragedia del secolo scorso nell'area gardesana.
Non solo: i segnali restituiti dal sonar nelle immediate vicinanze del Dukw fanno ipotizzare anche ai ritrovamento dei corpi di qualche membro dell'equipaggio. Il mezzo americano è stato trovato a circa 3,5 chilometri a sud di Riva, all'altezza del Corno di Bò, falesia sovrastante la seconda galleria che da Torbole conduce a Malcesine. Il traguardo, frutto di un anno di ricerche a tappeto sui fondali dell'alto lago, è stato raggiunto grazie alle tecnologie a bordo dell'imbarcazione Volga 2026 dei Volontari di Salò, alle testimonianze di personalità dell'esercito americano e ai racconti di Carlo Bombardelli, testimone oculare di Riva (vedi box) all'epoca bambino, che ha dato indicazioni per l'individuazione del punto in cui il Dukw affondò la sera del 30 aprile 1945.
Sono stati scandagliati 7 milioni di metri quadrati di fondale in 17 sessioni di ricerca, con decine di volontari e oltre 1000 scansioni sonar. «Le ricerche sono iniziate il 7 dicembre 2011 e in una prima fase hanno coinvolto la punta nord del lago tra Torbole, Riva del Garda e Limone», ha spiegato ieri a Riva del Garda Mauro Fusato, comandante del gruppo sommozzatori di Salò. «Nel marzo 2012 abbiamo ampliato il raggio di ricerca verso sud, tornando sulla possibile rotta che il Dukw ha intrapreso dopo essere partito da Navene e domenica scorsa il sonar l'ha individuato a 276 metri di profondità».
La telecamera ad alta definizione (Rov) integrata e collegata all'imbarcazione ha ripreso il Dukw integro e ben riconoscibile, nei suoi 9,5 metri di lunghezza e 2,5 di larghezza, alto 2,7 metri e con le sei ruote motrici. Un mezzo potente, con una velocità di 80 chilometri orari su terra e fino a 7 nodi in navigazione, ideato per trasportare uomini e merci dalle navi alle spiagge ma molto utilizzato anche nei fiumi e nei laghi. Ma a niente è servita quella potenza davanti al forte vento che ha scatenato un temporale mentre il Dukw si trovava in mezzo al lago. «Possiamo solo immaginare la tragedia vissuta dai giovani soldati dell'esercito americano», ha detto Luca Turrini dei Volontari del Garda, «il buio, la paura di persone che non conoscevano la zona e probabilmente non sapevano nuotare perché addestrate a combattere tra le montagne, il pericolo del fuoco nemico dei tedeschi dai monti vicini, e le onde sempre più alte che travolsero il Dukw e tutti loro». Tutti tranne il capitano Thomas Hough originario dell'Ohio, che è riuscito ad aggrapparsi a un'asse di carico per sfuggire alle acque gelide del lago. «In aprile le temperature massime dell'acqua sul Garda raggiungono gli 8 gradi», ha precisato Mauro Fusato, «a quelle condizioni si può sopravvivere al massimo 20 minuti, per questo ipotizziamo che il superstite abbia avuto un supporto con cui spingersi verso nord, fino a quando alcuni commilitoni di stanza a Riva del Garda lo hanno recuperato con una barca a remi, ormai privo di sensi».
Gli echi del sonar che ha rinvenuto il Dukw segnalano altri target tra i 160 e i 180 centimetri. I Volontari del Garda ipotizzano siano i corpi delle persone morte nella tragedia. «Fino al 23 torneremo a scandagliare il fondale per approfondire la questione», ha affermato Turrini, «trovare i resti dei soldati sarebbe un modo per dare memoria alle vittime ma sarà compito della magistratura e delle autorità americane recuperarli».
L'Arena
domenica 16 dicembre 2012
«Ho sentito
le loro grida
nel buio»
Carlo Bombardelli aveva solo 10 anni quando, quel 30 aprile 1945, il Dukw s'inabissò a tre chilometri da Riva, causando la morte di 24 soldati americani. Oggi, a 77 anni, contadino in pensione, testimonia l'esperienza diretta di quella tragedia. «Quel giorno ero con mio padre a Torbole e vedevamo passare i soldati americani, erano gli ultimi giorni di guerra e ormai era la fine per i tedeschi». «Ero piccolo», prosegue, «ma ricordo bene che quella sera c'era la “vinessa”, cioè vento molto forte e violento che viene da sud e provoca onde molto alte». Carlo non sapeva che di lì a poco la minaccia di sventura portata dalla “vinessa” si sarebbe abbattuta sul Dukw e sull'equipaggio a bordo. Solo le grida disperate di aiuto glielo fecero intuire: «Verso le 20 ho iniziato a sentire della urla provenienti dal lago», racconta, «non sapevo l'inglese ma percepivo la disperazione nelle parole che sentivo». Il giorno dopo le acque avevano spinto verso la riva tra la foce del Sarca e il monte Brione otto zaini, appartenenti ai giovani militari americani. Nel 2003 gli americani avevano effettuato diversi sopralluoghi alla ricerca del Dukw nella zona antistante il porto di Riva del Garda. Ma Bombardelli sapeva che lì non avrebbero trovato nulla: «La direzione in cui cercare era a sud, fuori dalla foce del Sarca, al largo di Torbole». L.Z.
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