lunedì 31 gennaio 2011

La leggenda di Mantova

LA STORIA LE LEGGENDE
Etrusca o greca? Due leggende dividono Mantova
La fondazione risalirebbe a «Manto»: per una civiltà dea delle tenebre, per l' altra figlia dell' indovino Tiresia

MANTOVA - Già il luogo di nascita di questa città porta dritto all' enigma: un piccolo acquitrino circondato dal Mincio, che appena sale la inonda e le trafuga ogni segno, ogni testimonianza. Ti immagini questo luogo solitario, buio, sospeso nel silenzio delle nebbie e lo sciabordio dell' acqua: e per nutrimento uccelli acquatici e pesce dolce, nessun campo da seminare, nessun commercio da praticare. Così isolato, così lontano da tutto, così irreale. È facile credere alla leggenda che dicono Mantova fondata dalla maga Manto, figlia dell' indovino Tiresia fuggito da Tebe, e anche lei fuggitiva. Facile da pensare, perché niente, a chi voglia nascondersi, è più sicuro di quest' isola impraticabile e coperta di canne. Non sarà infatti un caso se molti secoli dopo i Gonzaga si servirono della suggestiva leggenda per decorare i saloni dei loro palazzi: la nobile e greca indovina che si aggira nel misterioso paesaggio lacustre. Della leggenda della maga Manto si parla sempre. Mentre nelle campagne, ai bambini che ancora non sono stati in città, è diffuso l' invito ad andare a baciare i piedi della «vecchia Mantova», identificata nella figura di marmo bianco di Verona, i capelli lunghi e la testa coronata, le mani posate su una tavola tenuta sui ginocchi, seduta a gambe larghe dentro la nicchia del palazzo comunale; (benché le ragazze di 30 anni fa che passavano per via Pescheria più facilmente la riconoscessero nella sguaiata venditrice con gli stivaloni di gomma e un grembiulone di cerata, che pesava le anguille vive). Naturalmente Rodolfo Signorini, storico esigentissimo che prende in considerazione solo i documenti, puntualizza che «la vecchia Manto» dentro la nicchia è Virgilio, massima gloria mantovana: «Quel che possiamo dire dell' origine della città è che fu etrusca e poi romana, e che il suo nome quasi di sicuro deriva da Manto, etrusca divinità infernale». Degli etruschi, probabili fondatori di Mantova già mille anni prima di Cristo, mancano quasi del tutto i reperti, a parte due anfore trovate scavando in piazza Sordello, il luogo dove Mantova iniziò la sua vita, la terra più alta di tutto l' acquitrino. Anche se adesso le carte dicono 25 metri sul livello del mare, rispetto a un tempo è quasi una montagna: basta vedere le arie che si danno i ciclisti quando ne escono passando sotto il «voltone» dove fu alzata la prima porta della città: paiono discender dall' Adamello. Se trova qualcuno che fa la guardia alla cassa, la signora/Virgilio che gestisce il Caffè Accademia per scalette e cunicoli ti accompagna in cantina, molto sotto al livello stradale e mostra il pavimento romano, un bellissimo mosaico geometrico bianco e nero. «Questa era forse la casa di un benestante» mormora il professor Signorini. Trattandosi di interessante e prezioso reperto, subito viene da chiedere: che cosa ci fa ancora qui? Chi lo tiene pulito? Lo tiene pulito la signora/Virgilio, ma solo perché si tratta di una signora gentile. Quanto al luogo, sono anni che si attende il definitivo restauro della bellissima sede del Museo archeologico. Frattanto, a parte il pavimento nella cantina del Caffè Accademia, quel che resta del passaggio romano è in un cortile del palazzo Ducale: un sarcofago, alcune lapidi funerarie, una dedicata da una signora ai suoi tre mariti, qualche torso maschile e qualche testa. C' era anche un tratto di selciato trovato scavando in piazza Broletto. Ma non c' è più. Certo, non è stato né disfatto e neppure rubato: ma non c' è più. C' è invece, curiosamente, una testolina di marmo incastrata fra le colonne di un' alta bifora della torre campanaria del Duomo, chissà come e chi l' ha portata lassù. E intanto il mistero di questa città ti intriga ancora di più: pare un de Chirico, un Magritte formato padano, un surreale giochino della fantasia. Che cosa ci facessero i romani, qua dentro il lago, non è dato sapere. La grande strada di collegamento fra Verona e la via Emilia non passava da qui; né la Gallica che congiungeva Torino con Padova, e neppure quella che univa Verona con Cremona. Tutte al largo di Mantova: e si vede a occhio nudo che una strada di importante collegamento non può permettersi di scavalcare il Mincio in forma di lago, affondare nella palude e arrancando raggiungere la terra asciutta. Tradizione peraltro immutata, dal momento che i collegamenti con Mantova anche oggi sono tali da farne una delle più isolate fra le città d' Italia. Dunque, gli etruschi erano arrivati fin qui con i loro zufoli di terra, i pugnali, i fondi di cesto intrecciato, le anfore per metterci il grano, l' olio, e anche i morti. Trattandosi di gente intraprendente si erano organizzati in una repubblica retta dai magistrati, mentre la classe dirigente dominava sui lavori agricoli e sui commerci via fiume: c' era il porto naturalmente, pressappoco dove adesso l' immenso monumento a Virgilio sull' omonima piazza indigna il professor Signorini: «È vergognoso che sia diventato il posto più sporco della città». Versi in latino non se ne leggono più, in compenso «Ornella ti amo» è il graffito più decente e gentile. Del passaggio dei Galli che con la loro furia distruttrice spazzarono via i civilissimi etruschi, neanche l' ombra; e niente neppure dei Celti che, fra un' incursione e una razzia, insieme ai Galli si erano fermati almeno due secoli. La città rimase piccola per moltissimo tempo: piazza Sordello, piazza Virgilio, via Cairoli e il lago: oltre non si poteva andare, si sprofondava fra i branzini e le carpe. I romani bonificarono il tratto fra via Cairoli, piazza Paradiso, via Tazzoli e via Cavour: qui perché frattanto si era un poco alzata e asciugata la terra. Scavarono un fossato, alzarono le mura, aprirono quattro porte, le case di legno cominciarono a coprirsi di mattoni o di marmo. Il Mincio incombeva sempre, bastava un' alluvione per cancellare la città della greca indovina. Dev' esserne rimasto impressionato anche Virgilio, che parlando della sua terra aveva scritto «Ingens Mincius», Mincio grande, grandissimo; il Mincio che nel 589 si gonfiò tanto da deviare il proprio corso: non andò più a gettarsi in Adriatico, ma trovò sfogo nel Po, all' altezza di Governolo; il Mincio che a ogni rigurgito del Po saltava addosso a Mantova: e se alla fine dell' XI secolo non fosse arrivato il geniale architetto Pitentino a risolvere il problema, la città non avrebbe avuto futuro. Altrimenti come si spiega il fatto che, dei monumenti romani, nulla è rimasto, neppure sotto le innumerevoli chiese che fiorirono intorno al Mille, sempre sopra i resti di un tempio pagano. L' indovina greca sia la benvenuta e si accomodi, stiano invece lontane le divinità pagane, Mantova è protetta solo da quando si onorano i santi Pietro e Paolo, Alessandro e Agata, Cosma e Damiano, Zenone e Stefano, Salvatore, Lorenzo, Silvestro e Andrea, oltre alle varie santissime Croci e Madonne. «Si può identificare la vera data di nascita di Mantova: il 3 marzo 1048 - puntualizza Signorini - perché, a questo punto, finalmente parlano la carte». Dopo aver sognato per ben tre volte sant' Andrea che gli indicava il luogo dov' era stata nascosta la cassetta contenente le ampolle col sangue di Gesù Crocefisso, raccolte sul Golgota dal soldato Longino (arrivato fin qui risanato dalla vista, convertito e martirizzato) il cieco e tedesco eremita Adalberto riuscì a individuare la preziosa reliquia: e nell' orto dell' ospedale di sant' Andrea, al ritrovamento del Sangue e delle ossa del martire, assistevano inginocchiati la contessa Beatrice di Canossa e il vescovo Marziale che due anni prima, coi soldi della ricca signora che voleva ricordare la nascita di sua figlia Matilde, aveva cominciato a costruire la cattedrale di sant' Andrea: «Da allora, invitati dai signori della città Beatrice e Bonifacio di Canossa, per venerare il Santissimo Sangue che ancora si trova racchiuso dietro sette porte e sette cancelli, arrivarono imperatori, papi, principesse e regine, si tennero concilii e diete, facendo di Mantova una città importantissima». «E allora, anche questa è leggenda - polemizza Giancarlo Malacarne, storico e direttore di "Civiltà Mantovana" -: altrimenti come si spiegherebbe che quella che dovrebbe essere la più grande reliquia della cristianità è venerata solo dai mantovani? Come mai non arrivano a Mantova i pellegrini del mondo? Per non dire delle ossa di san Longino: sono cinque gli scheletri finora trovati». A lui sta bene che Mantova sia stata fondata dall' indovina di Tebe; oppure, come ricorda Virgilio, da suo figlio Ocno che nacque dagli amori di Mantova col fiume Tevere. Gli sta bene che, a differenza di tante città italiane fondate da visioni di santi, ritrovamento di ossa martirizzate, voli di angeliche colombe, Mantova abbia origine da una leggenda tenebrosa e gloriosa: «nientemeno che dalla Grecia, veniamo». E gli sta bene che nel ' 700, scavando ai piedi della porta Cerese, fu trovata una grossa chiave di bronzo che per un bel po' fu ritenuta la chiave della vicina città etrusca: «Poi fu osservato che la chiave portava incisa una torre che aveva una gabbia, la torre della gabbia che tutti ancora vediamo a fianco del "voltone" verso piazza Sordello; peccato però che, con gli etruschi, non abbia niente a che fare: è di età comunale. Così che piano piano la chiave ha perduto la sua leggenda, finché a furia di passare da una mano all' altra non si è perduta anche lei. E comunque, pur vivendo di documenti, non posso rifiutare spazio alla fantasia. Anche il principe rinascimentale si immerge nella leggenda: nella storica tela del Morone che racconta la vittoria dei Gonzaga su Passerino Bonaccolsi, una stupenda signora osserva, sola, avvolta in un mantello a bande oro e nero, la casata dei vincitori: e chi vuoi che sia, se non ancora l' indovina Manto. Nessuno si batterà mai per dimostrare che la leggenda è verità; ma nella nascita della città, è il mito quello che conta». L' etimologia LA DIVINITA' Il nome Mantova, secondo lo storico Rodolfo Signorini, quasi sicuramente deriva da «Manto», un' etrusca divinità infernale. Così come etrusca fu l' origine della città, quasi 1.000 anni prima di Cristo LA MAGA Secondo molte leggende, invece, Manto è una maga greca, figlia dell' indovino Tiresia, fuggito da Tebe, e anche lei fuggitiva. Trovò rifugio nell' acquitrino dove poi nacque la città. Secondo altri, è suo figlio Ocno, nato da Manto e il fiume Tevere, ad aver fondato la città LO STORICO / 2 Malacarne: nella nascita è il mito che conta. Noi veniamo dalla maga di Tebe, che compare anche in un dipinto del Morone: è una donna sola, con il mantello a bande oro e nere dei Gonzaga LO STORICO / 1 Signorini: Le origini, mille anni avanti Cristo, risalgono all' Etruria e poi a Roma. Ma i primi documenti sono datati 1048 e raccontano dell' eremita tedesco Adalberto

Ferri Edgarda

Pagina 52
(14 aprile 2002) - Corriere della Sera

mercoledì 19 gennaio 2011

Revere brucia la strega

Revere brucia la torre per stanare la strega


di Giancarlo Zaniboni
REVERE. Doppio spettacolo: il rogo dla vecia, fuochi d'artificio e incendio dell'antica torre matildica mentre si svolge la fiera dei raüs che comincia già al mattino. Raüs, nel dialetto della Bassa, mutuato dal tedesco ereditato dai tempi dell'occupazione austro-ungarica, indica tutti quegli oggetti della civiltà contadina caduti in disuso perchè obsoleti e finiti in polverose soffitte o umide cantine. Antichi arcolai, madie, alari di focolari, lucerne a petrolio e a carburo, fanali per carrozze e calessi, vecchie biciclette di prestigiose marche... Fra le bancarelle si accalca una variopinta folla di curiosi e collezionisti. Per combattere il freddo la Pro Loco organizza dispensatori di vin-broulè, salsicce alla brace e spuntini in attesa delle 18, quando inizia lo spettacolo in piazza Castello. La tradizione racconta che nel secolo XV ad Ostiglia vivesse una strega e sotto la pressione dei paesani, il Gonzaga ordinò il processo che si svolse nella cittadina: fu condannata ad essere arsa viva. Nella traduzione della sventurata a Mantova per l'esecuzione in piazza Sordello, la strega riuscì a fuggire e riparò a Revere nascondendosi nella torre matildica. I reveresi insorsero e col fuoco la snidarono dalla torre. Questa rievocazione storica fatta di luci, fuochi d'artificio e botti calamita su Revere il pubblico delle grandi occasioni, tutte col naso all'insù per vedere la Befana fuggire dalla sua ultima dimora. Scappa dal fuoco e finisce inesorabilmente sul falò di un alto buriel.
5 gennaio 2011


http://gazzettadimantova.gelocal.it/cronaca/2011/01/05/news/revere-brucia-la-torre-per-stanare-la-strega-3107347

venerdì 7 gennaio 2011

Streghe e maghi in Romania, un rituale contro le tasse

NEL MIRINO IL PIANO CHE PREVEDE DI TASSARE LE ATTIVITÀ DELL'OCCULTO
Romania, la protesta di maghi e streghe malefici contro la riforma dei politici
Raduno in un luogo ignoto sul Danubio con pozioni ricavate da escrementi di gatto e cani morti

Un rituale delle streghe a Chitila (Ap)

ROMA - In Romania scatta la rivolta di maghi, streghe e fattucchiere. Hanno infatti annunciato che protesteranno alla loro maniera - con sortilegi, pozioni e riti malefici - contro piani del governo di tassare per la prima volta l'attività di astrologi, maghi, cartomanti e altri operatori dell'occulto o di campi affini. Lo riferisce una corrispondenza pubblicata sul sito del quotidiano britannico The Guardian che annuncia la singolare protesta contro il progetto fiscale del governo del presidente Traian Basescu la quale mira a ridurre l'evasione e far fronte alla recessione economica che attanaglia il paese.

RADUNO MISTERIOSO SUL DANUBIO - «Streghe» o comunque «maghe» da tutti gli angoli della Romania, riferisce il giornale, si raduneranno in un luogo imprecisato sulle rive del Danubio per lanciare le loro maledizioni contro i politici che approveranno il progetto di legge. «Una decina» di donne dedite alla stregoneria scaglieranno velenose piante di mandragora nel grande fiume «affinché il male li colga», ha precisato una di loro, Alisia, sottolineando che la nuova «legge è stupida: che c'è da tassare se a stento guadagniamo qualcosa?».

MALEFICI - La «regina delle streghe», Bratara Buzea, ha fatto sapere che guiderà un coro di colleghe intonando un maleficio accompagnato da una pozione ricavata da escrementi di gatto e un cane morto. La minaccia dovrebbe essere presa sul serio in una paese, come la Romania, che ha una lunga tradizione in fatto di superstizioni: Basescu e i suoi collaboratori notoriamente vestono di viola in determinati giorni per scacciare il malocchio. E quando Mircea Geoana, lo sfidante sconfitto da Basescu alle elezioni presidenziali del 2009, andò male in un dibattito televisivo, il suo entourage sostenne apertamente che il loro capo era stato vittima di un' «energia negativa» attivata da sostenitori del suo avversario. La legge in elaborazione punta a imporre un'aliquota del 16%, pari a quella dei normali lavoratori autonomi romeni, anche agli stregoni e ad altri operatori del settore ma sarà di difficile riscossione dato che i pagamenti a maghe ed astrologi di norma avvengono in contanti e sono relativamente bassi (tra i 20 e i 30 Lei a consulto, equivalenti a quattro-sette euro). La superstizione è stata a lungo tollerata dalla Chiesa ortodossa in Romania. E infine, ricorda il Guardian, il defunto dittatore comunista Nicolae Ceausescu e la moglie Elena avevano una loro «maga personale».


07 gennaio 2011


http://www.corriere.it/cronache/11_gennaio_07/romania-maghi-streghe_bc60cd66-1a44-11e0-91c1-00144f02aabc.shtml

giovedì 6 gennaio 2011

In Irlanda c'è la razza dei giganti

UN TUMORE BENIGNO DELL'IPOFISI PRODUCE UN'ECCESSIVA QUANTITÀ DI ORMONE DELLA CRESCITA
In Irlanda c'è la «razza» dei giganti
È stato scoperto il loro Dna
Alcune famiglie dell'Ulster hanno in comune un gene apparso 1.500 anni fa responsabile della malattia



LONDRA - A 19 anni veniva accolto a Londra come una star, a 22 moriva di alcol: è la storia di Charles Byrne, il «gigante irlandese» divenuto uno dei più celebri fenomeni da baraccone nella Gran Bretagna della fine del Settecento, il cui Dna è servito a mappare le origini del gigantismo. Una nuova ricerca ha svelato infatti che Byrne e alcune famiglie che ancora oggi risiedono in Ulster hanno in comune un gene mutante apparso 1.500 anni fa responsabile della malattia.

LA RAZZA DEI GIGANTI - La «razza dei giganti», come la definisce oggi l'Independent, sarebbe confinata in una piccola zona dell'Irlanda del Nord che gli studiosi preferiscono mantenere segreta proprio per proteggere chi è affetto dall'anomalia. Le quattro famiglie in cui è stato identificato il gene, hanno in generazioni recenti dato origine a sei «giganti» di oltre due metri di altezza e a altre persone affette da disturbi della crescita. A rendere i «giganti» diversi è un gene mutante che fa sì che già da bambini questi vengano colpiti da un tumore benigno dell'ipofisi che produce un'eccessiva quantità di ormone della crescita. Quando invece il tumore si sviluppa in età adulta, risulta in una crescita anormale della fronte, della mascella, delle mani e dei piedi, un disturbo chiamato acromegalia. In entrambi i casi i soggetti spesso soffrono di forti mal di testa e di problemi alla vista in quanto il tumore fa pressione sul nervo ottico.


06 gennaio 2011

Link all'articolo:
http://www.corriere.it/scienze_e_tecnologie/11_gennaio_06/dna-gigantismo_a7e5155c-19a1-11e0-b4e1-00144f02aabc.shtml

I buriel antichi e potenti

I buriel antichi e potenti
Rito maschile che richiede doti di abilità e lavoro comune

di M.Antonietta Filippini


Con la Befana inizia il periodo dei falò, i buriei, enormi pire di legna secca e sterpaglie che vengono costruite e accese in molti paesi. Le fiamme ravvivano il buio e scaldano nel gelo della campagna; il successo dell'impresa è salutato con una festa a base di ceci lessi e vin brulè. Si comincia domani, fino al 17 gennaio, sant'Antonio. C'è persino chi sceglie la mezza quaresima. Il falò è un rito di grande fascino e potenza, la vecchia da bruciare può esserci o no, a volte è un Vecchione come al Capodanno di Bologna, o una coppia di vecchi. Ne parliamo con due studiosi mantovani di tradizioni popolari, Giancorrado Barozzi e Giancarlo Gozzi.
Barozzi, quali sono i buriel più antichi? «Il rito dei fuochi invernali è descritto già da Ovidio ne Fasti, nello specifico a Mantova abbiamo un documento del 1811 che riguarda Goito. Tra Asola e Canneto la data è il 17 gennaio, sant'Antonio, altrove il 6 gennaio». Uno dei più belli era a Sorbara di Asola, dove però il 17 gennaio 1986, morì Dario Saletti e altri tre rimasero feriti per un'esplosione durante i preparativi però non del burie. Comunque l'operazione comporta un certo rischio. «Costruire la catasta e darle fuoco richiede abilità, capacità di lavorare in gruppo. Gli uomini sono protagonisti, e quando un adolescente viene ammesso nel gruppo è quasi un rito di iniziazione». Le donne sono escluse? «Confezionano i pupazzi, ma la pira spetta ai maschi». Cosa significa il buriel? «Ci sono interpretazione date dagli antropologi: riti legati alla fecondità del terreno, per richiamare la primavera e purificare la comunità, eliminare le scorie del passato per prepararsi a un anno nuovo. Io ho interrogato i protagonisti: perchè fate il buriel? Qualcuno mi ha risposto: perché si è sempre fatto. Altri: perché a seconda di dove cade il falò o dove tira il fumo o cade la vecia, si traggono previsioni su come andrà l'annata agraria».
Gozzi cita il suo maestro Giovanni Tassoni, che nel 1964 scrisse 'Tradizioni popolari del mantovano'. «I monelli dell'Oltrepo, giunta la sera della Bifana, convenivano a frotte in piazza, dopo lo stracanarsi di tutto il pomeriggio intorno a una catasta di sterpi e rovi, e di lì muovevano compatti per le vie, con un fantoccio raffigurante una vecchia strega, strepitando come anime dannate e sbaccanando con corni, campanacci, rami di cucina, molle da fuoco, da levar di cervello anche i sordi. La baraonda continuava, avanti indietro, fino a quando imbruniva e veniva l'ora di legare la vecchia stria allo stollo del rogo preparato in fondo al paese. Le fiamme salivano alte nell'aria gelida della sera; i monelli facevano corona al gran falò crepitante, vi riddavano intorno, vi rumavano dentro con un bastone o, smorzatesi le vampe, vi saltavano sopra gridando di quando in quando: "A brusa la vècia ranpina, ch'la pians par na péna'd galina"». E ancora «A Roncoferraro, in ogni fattoria si fanno grandi falò di fascine e di canne di granoturco, per propiziare un buon raccolto di uva. I presenti battono con bastoni sul fuoco, da cui sprizzano innumerevoli scintille e gridano Carga! Carga! Carga!».
Gozzi, lei quale significato dà ai buriel? «C'è la purificazione dei campi, per prepararli e concimarli con la cenere. Addirittura lungo la via battuta dai Celti, i nomi dati a questi riti si somigliano dalla Francia all'Italia. Il fuoco epifanico poi ricorda il sole che con il solstizio d'inverno ricomincia a crescere sull'orizzonte. Il contadino che vuole accelerare la fecoldità dei terreni dopo la sterilità invernale accende i fuochi per aiutare simbolicamente il debole sole a vincere le tenebre invernali». Il Natale cristiano come data deriva - ci ricordano Barozzi e Gozzi, dal «Natalis solis invicti», la nascita del sole mai vinto al solstizio d'inverno.

Gazzetta di Mantova, 5 gennaio 2011

domenica 2 gennaio 2011

Numeri curiosi per il 2011

CALENDARIO E SORPRESE. Le curiosità
Date strane: si parte
 già domani
 con il giorno 1.1.11
E a novembre si triplica: 11.11.11


Un anno molto ricco di date curiose, il 2011. Il nuovo anno incomincia subito domani offrendoci proprio la curiosità numerica del primo giorno, che si presenta con una serie di numeri 1: in cifre, il primo gennaio è indicato con 1.1.11.
Poi, una decina di giorni dopo, ecco l' 11 gennaio che in cifre dà 11.1.11. Poi si salta a novembre, quando troviamo tre date curiose: la prima è quella del primo novembre che, sempre in cifre, si scrive con 1.11.11. Quindi troviamo quella più perfetta, il giorno di San Martino, l'11 novembre: dove il numero 11 si triplica: 11.11.11. 11 è sia il giorno, che il mese ed anche l'anno. Su Facebook, vi è già un migliaio di persone in tutto il mondo che vuole condividere con gli amici questa data, proponendo feste, incontri, qualcosa da ricordare.
Il numero 11, comunque, nella simbologia antica non è un numero positivo: secondo alcune leggende medioevali, sarebbe simbolo del peccato, in quanto va oltre i 10 comandamenti. 11 sarebbe anche il numero della penitenza.
Nella storia compaiono spesso gruppi di undici persone: le undici dionisiadi di Sparta, donne formate per sottrarre le orge di Dioniso alla degenerazione e anche a Roma vi era un collegio di undici uomini, che perseguivano coloro che infrangevano le leggi. Dunque, in questi casi l'11 serve per vincere il male e una santa medioevale tedesca, Orsola, si diresse verso Colonia con undici navi e distese il suo velo protettivo su 11 mila vergini.
L'11 è comunque il numero del calcio: undici i giocatori in ognuna delle due squadre e da 11 metri viene calciato il rigore. Quale il motivo della scelta di questo numero? L'ipotesi più probabile è che il dieci, numero perfetto, per i giocatori in campo, più il portiere. Uno psicologo, Qalther Friedjung, volle vedere nel numero dei giocatori in questo e in altri sport un'allusione all'incapacità di perfezione propria dell'uomo.
Di recente, un altro studioso René Guenon ha interpretato l'11 come somma di 5 e 6, a rappresentare la congiunzione di cielo e terra e quindi il numero indicherebbe l'unione di macrocosmo e microcosmo.
In Renania, inoltre, il carnevale viene fatto iniziare l'11 dell'11 alle ore 11,11.
Infine, da non dimenticare il 20 novembre: in numeri, giorno e mese ripropongono l'anno 20.11 del 2011.
Queste date particolari sono le più cercate soprattutto dai novelli sposi: ma queste del prossimo anno appaiono poco indicate per i matrimoni. Il mese in cui ci si sposa di meno da sempre, per tutte le statistiche è novembre, seguito da gennaio. E. CERP.


(Arena di Verona, 31 dicembre 2010)