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sabato 15 dicembre 2012

I misteri di San Zeno a Verona


L'Arena
giovedì 13 dicembre 2012


I misteri di San Zeno
(da "Le gemme sull'Adige")


Il prossimo anno, gli abitanti di San Zeno compiranno 12 secoli: il primo documento che attesta la presenza di un borgo attorno alla chiesa e al monastero benedettino, dedicati all´ottavo vescovo di Verona, porta, infatti, la data del 24 giugno 813. Ma, per raccontare la storia della basilica di San Zeno, capolavoro del Romanico italiano, occorre andare indietro di altri cinque secoli. Una prima chiesa sarebbe sorta subito dopo la morte del santo vescovo, avvenuta tra il 372 e il 380.

Era stata fondata in quello che era il primo cimitero cristiano di Verona, lungo la via Gallica, vicino alla chiesa di San Procolo. Un luogo abbandonato, fuori dalla città, immerso nel silenzio. Fu poi rinnovata nel VI secolo, divenendo, nel 589, il luogo di uno dei più celebri miracoli del santo, raccontato da papa Gregorio Magno: quando, nella ricorrenza della morte di San Zeno, durante le solenni celebrazioni, che avevano gremito la basilica di fedeli, l´Adige crebbe improvvisamente, al punto che l´acqua raggiunse il tetto della chiesa.
Benché le porte fossero aperte, l´acqua non entrò, arrestandosi sulla soglia e permettendo ai fedeli di bere per dissetarsi. E se la chiesa di questo miracolo non esiste più, all´interno della basilica ci sarebbe la traccia di un altro prodigio del santo patrono, seppure dai tratti più leggendari: la coppa in porfido di origine romana che, secondo una antichissima leggenda, sarebbe stata sottratta da San Zeno al diavolo, che vi ha lasciato la sua impronta.

Tornando alla concretezza della storia architettonica, l´edificio che ammiriamo sarebbe del X-XI secolo, opera, forse, di Nicolò da Ferrara, a cui seguirono, soprattutto nel XII secolo, vari interventi, fra cui l´armonica facciata, riconducibile a Brioloto, scultore e architetto, divisa da pilastri verticali di diversa altezza, che corrispondono alle navate interne, e da sottili lesene, che la disegnano con eleganza.
Domina il rosone che ha la struttura di una ruota a dodici raggi, formata da coppie di colonnette esagonali. Ancora non del tutto svelata la sua simbologia, anche se l´ipotesi più probabile lo riconduce all´allegoria della fortuna: mostra sei personaggi in diverse posizioni, scolpiti nella condizione instabile di chi sale o scende, a seconda del caso.
Un´altra ipotesi suggestiva lo identificherebbe come un notturlabio, un orologio astronomico, inventato nel medioevo. 

domenica 11 novembre 2012

La ipnotizzano e la derubano al cimitero


Con le zingare, il cimitero e l'ipnotizzazione a me sa veramente molto di leggenda metropolitana che ha rubato qualche spunto qua e là... (sc)

Voce di Mantova, 10 novembre 2012




domenica 4 novembre 2012

La contessina fantasma a Valeggio sul Mincio


«Abbiamo il fantasma in casa
È una simpatica contessina»

VALEGGIO. C'è un mistero nella tenuta Corte Gardoni che appartenne alla famiglia di nobili e poi all'ingegnere Festa. Il vignaiolo Piccoli è uomo pratico e non visionario «Sentiamo i suoi passi quando c'è un bell'evento» Lei era Lida Toni e si curava stando all'aria aperta
31/10/2012

Valeggio. Hanno un fantasma in casa ma non sono spaventati per niente. Anzi. Quando lo spettro fa risuonare i suoi passi sugli impiantiti di legno delle stanze sopra le loro teste si sentono rassicurati. «Se la Contessina sta a lungo senza farsi sentire», confessa Gianni Piccoli, proprietario dell'azienda agricola Corte Gardoni nell'omonima località in comune di Valeggio «ci preoccupiamo. Ormai la sentiamo come una di famiglia». La Contessina si chiama, o, meglio, si chiamava da viva, Lida Toni. Morì di mal sottile nel 1932, a 57 anni. Abitava a Verona in via Pigna, la stessa strada dove viveva Berto Barbarani, ma amava risiedere spesso in quella villa colonica della campagna valeggiana ai piedi del monte Mamaor. Ora è sepolta nella tomba di famiglia del cimitero monumentale della città. «Corte Gardoni allora apparteneva al veronese conte Toni», spiega Piccoli, «e sua figlia veniva qui per respirare aria più pulita di quella della città e dar sollievo ai suoi polmoni ammalati. I vecchi del posto la ricordano ancora seduta a leggere sotto quel cipresso», continua l'uomo indicando una pianta che domina un vigneto, «dove una sorgente d'acqua sgorga dal monte. Una volta i cipressi erano due, poi uno è morto.  La mamma della Contessina morì dello stesso male e alla stessa sua età. Rimasto solo, il conte Toni donò corte Gardoni all'ingegner Umberto Festa, suo amico fraterno. Che era grande amico anche di Berto Barbarani e Angelo Dall'Oca Bianca, spesso ospiti suoi a Corte Gardoni. Alla morte di Festa la proprietà passò alla nostra famiglia. Ma lei, la Contessina, non lasciò mai questa casa che adorava». Gianni Piccoli, 72 anni, non è un visionario. Tutto al contrario. È un uomo di campagna concreto, solido, severo d'aspetto. Forse persino troppo schietto. Legato com'è alla terra, le fantasie non gli appartengono. Ha studiato - è agronomo - ma ama definirsi «contadino». È un grande produttore di vino. Al suo Custoza, il Mael, la guida del Gambero Rosso ha appena assegnato tre bicchieri, il massimo del giudizio. Gran parte dei suoi vini prendono la strada per l'America dove figurano sulle carte dei vini di famosi ristoranti negli Usa. «Mi prenderanno per matto», dice, «ma la Contessina non me la sono inventata. Tutti in famiglia l'abbiamo sentita camminare: Stefania, mia moglie, i nostri figli, le nuore e i nipoti. E l'hanno sentita gli ospiti che hanno dormito qui da noi. Ormai non andiamo nemmeno più a controllare se ci sono estranei o malintenzionati al piano di sopra. Lo abbiamo fatto per tanto tempo, ma ormai basta. Sappiamo che è lei. Riconosciamo il suo passo, una camminata decisa. Soddisfatta».  Il vignaiolo di Corte Gardoni ha cinque figli, due femmine e tre maschi. Tutti confermano le parole del padre. «Sì, abbiamo sentito più volte la Contessina camminare, anche di giorno». Mattia, il maggiore dei maschi, enologo dell'azienda, asserisce di non credere ai fantasmi: «Ma non so dare una spiegazione logica a quei passi. Più volte io, Stefano e Andrea, i miei fratelli (sono entrambi agronomi, come il papà, ndr), siamo saliti ai piani superiori della casa armati di mazze di baseball per difenderci da possibili intrusi violenti, ma non abbiamo mai trovato nessuno. Rumori di animali? Lo escludo. Non sono fruscii di piccioni o lo zampettare di roditori o faine. Sono proprio passi. È una storia inquietante, ma ci si abitua. Ripeto: non credo ai fantasmi, una spiegazione ci dev'essere, ma non so quale possa essere. E così accetto il fatto: meglio la Contessina che vivere in un appartamento con vicini litigiosi e urlanti». La prima volta che Gianni Piccoli sentì la Contessina camminare fu nel 1971, quando con la moglie venne ad abitare a Corte Gardoni. «Quando sentii i passi risuonare distintamente sopra la mia testa salii preoccupato al secondo piano e poi nel sottotetto. Temevo di trovare qualche malintenzionato. Ma non c'era nessuno. Nessuno. Ridiscesi molto turbato. E così la seconda, la terza e molte altre volte. Stessa storia: si sentivano chiaramente i passi, ma ai piani superiori non c'era mai anima viva. Pian piano ci abituammo. Ora, se la Contessina non si fa sentire per tanto tempo, ci preoccupiamo». Piccoli ha una sua teoria: la Contessina si fa sentire quando in famiglia c'è un evento felice, come se volesse partecipare. «Sentiamo la sua camminata svelta in vista di quando qualche nascita e quando ci sono ospiti in casa. Così è stato quando sono nati i miei figli e quando sono venuti al mondo i figli dei figli. L'ultima volta è successo poche settimane fa, quando Mattia ha annunciato che la moglie Elena era incinta. Era quasi mezzogiorno e l'abbiamo sentita distintamente. Così come l'ha sentita Frank Spane, il mio importatore americano, quando dormì da noi. E Christine, l'amica del Minnesota di mia figlia Cristina. Hanno fatto la Cattolica insieme. E Guillame Mochel, il vigneron francese amico di mio figlio Andrea. Paura? E di che? Tengo la sua foto sul comò in camera da letto. È simpatica.  Far benedire la casa per liberarci della sua presenza? Proprio no. La casa la facciamo, sì, benedire tutti gli anni, ma per fede. Non vogliamo che la Contessina se ne vada. Non fa niente di male. Cammina e basta. Fa parte della nostra vita». Ne fa talmente parte che i Piccoli hanno deciso di dedicare un vino al fantasma di casa. Il progetto è in piedi. «Sì, è tanto che ci pensiamo. Sarà una corvina vinificata in modo diverso», si limitano a dire. Fino a quando non sarà all'altezza degli altri, resterà un segreto che dovrà rimanere tra loro e la Contessina.    
Morello Pecchioli

domenica 28 ottobre 2012

Il giorno dei morti nella bassa bresciana, alcune tradizioni

Giornale di Brescia, 28 ottobre 2012

nb: queste tradizioni fanno molta più paura di tante maschere e feste "spaventose" che si vedono in giro la sera di Halloween!




lunedì 26 dicembre 2011

Perché il 17 fa paura?

Nel 2012 ci saranno ben due venerdì 17 (S.C.)





http://www3.lastampa.it/domande-risposte/articolo/lstp/380369/


Perché il 17 fa paura?

Il gatto nero è considerato portatore di sfortuna come il numero 17
A CURA DI ELENA LISA

Oggi è venerdì 17, una data nefasta per gli scaramantici, perché?
Non per tutti gli scaramantici, soprattutto per gli italiani. Nel mondo, infatti, il numero «sfortunato» è il 13. La ragione per cui nel nostro paese il 17 è giudicato «negativo» sta in una sorta di rebus. Il 17 in cifre romane si scrive XVII. Anagrammato diventa VIXI che in lettere latine significa «vissi». La scritta era incisa sulle tombe dei defunti dell’antica Roma, come dire: «ho vissuto e adesso non ci sono più, sono morto». Ma a tener viva la credenza c’è anche l’antico Testamento che fissa l’inizio del diluvio universale il 17 febbraio.

E perché ad essere impregnato di «negatività» è proprio il venerdì?
La tradizione ha più origini: c’è quella cristiana secondo cui Gesù è morto crocifisso di venerdì e quella musulmana che giudica il giorno infausto perché Adamo ed Eva mangiarono il frutto proibito quel giorno.

La tradizione consiglia di non sposarsi di venerdì. Qual è il motivo? Secondo la Cabala, il venerdì è il giorno in cui vennero creati gli spiriti maligni. Solo in Norvegia il venerdì è un giorno nel quale vengono celebrati molti matrimoni, giudicato fortunato per via della «protezione» della dea dell’amore e della bellezza, Venere. Per quanto riguarda gli altri giorni della settimana, il lunedì e il mercoledì sono considerati di buon auspicio per la salute e la fortuna, il giovedì recherebbe dispiaceri alla sposa, mentre il sabato, anche se è il giorno più scelto per la cerimonia, sarebbe un giorno «negativo».

L’antipatia per il venerdì è legata alla religione?
In un certo modo, sì. C’è chi ritiene sia nata proprio per volere dei primi sacerdoti cristiani che vollero «sconfessare» abitudini e tradizioni pagane. Il venerdì, infatti, era il giorno della settimana preferito da celti, greci, egizi, slavi e anche romani. Nel paganesimo il venerdì era considerato «fortunato», un giorno da onorare, «amico» perché spartiacque tra lavoro e riposo. Come molti altri miti e leggende, anche questa credenza pare sia nata per contrapposizione al paganesimo: un modo per contestare e rinnegare ciò che veniva prima del Cristianesimo. Non è superfluo ricordare però che il primo a battersi contro credenze popolari e superstizioni fu proprio Gesù Cristo.

Perché nei paesi anglosassoni il grande iettatore è il numero 13?
Filippo il Bello re di Francia ordinò di uccidere tutti i Templari, per cancellare il debito dello Stato contratto con l’ordine cavalleresco, nel 1307 di venerdì 13. Non è un caso che questa data si leghi ai monaci guerrieri che da secoli rappresentano uno dei miti più forti e inossidabili e alimentano teorie di cospirazioni e congiure. Ma va detto che giudizi di «negatività» legati al numero sono numerosi anche in Italia. Nella cultura popolare è un cattivo augurio soprattutto a tavola: nell’«ultima cena» a prendere quel posto fu Giuda. Si tratta di una scaramanzia diffusa, radicata, ma considerata, nel nostro paese, un gioco, un divertimento. In Italia vince la forte antipatia verso il numero 17. Mentre in Spagna, paese dalle radici latine e cattoliche, il giorno sfortunato è «martedì 13».

Cosa dice la smorfia sui numeri 13 e 17?
A tagliare la testa al toro sul giudizio è la Bibbia degli scaramantici: la smorfia napoletana che, in modo netto, dà valore positivo al 13, indicandolo come Sant’Antonio - la sua ricorrenza liturgica cade appunto il 13 giugno - e valore negativo al numero 17 che viene tradotto come: disgrazia.

Quanti venerdì 17 ci sono in un anno?
Uno, al massimo due. È una circostanza casuale e non è legata all’anno bisestile.

La cinematografia si è occupata di «venerdì 17»?
La superstizione è ambivalente: respinge e attrae. I grandi registi non si sono lasciati scappare l’occasione di girare pellicole - i più di genere «horror» - che includessero la data nefasta. I film più celebri sono «Venerdì 17» diretto nel 1956 da Mario Soldati, e «Shriek, hai impegni per venerdì 17?». Il titolo originale del film girato da John Blanchard nel 2001 citava «venerdì 13», tradotto in Italia con «venerdì 17».

Ma cos’è la superstizione?
Si tratta di credenze di natura irrazionale che influiscono sul pensiero e sulla condotta delle persone che la fanno propria. Quando è eccessiva disturba le menti e distrugge personalità. È una delle «malattie» sociali più pericolose che si affacciano prepotenti nei periodi di crisi. Una debolezza umana di cui, in ogni epoca, hanno approfittato imbonitori e ciarlatani senza scrupoli.

venerdì 14 ottobre 2011

Spose cadavere nel nuovo libro della Delmiglio Editore




Spose cadavere nel nuovo libro della Delmiglio
Il 31 ottobre un reading a Verona dei racconti ambientati in Veneto




"Spose, cadaveri e misteri": dal 31 ottobre è disponibile il nuovo libro edito da Delmiglio Editore dedicato al tema della "sposa cadavere", una leggenda popolare divenuta celebre grazie all'omonimo film di Tim Burton.

L'antologia "Spose, cadaveri e misteri" raccoglie i brevi racconti di 23 autori, che ognuno in chiave personale, hanno reinterpretato con un'ambientazione veneta e veronese questo mito, che parla di un uomo che incautamente scherzando con la futura moglie infila il proprio anello di nozze a un ramo sporgente dal terreno e gli recita i sacramenti di matrimonio, salvo scoprire poi che si tratta dell'anulare di una donna morta il giorno delle proprie nozze a cui si ritrova sposato.

Il libro sarà protagonista di uno speciale appuntamento la sera di Halloween, il 31 ottobre appunto, con il reading dal titolo "Il mistero della Sposa Cadavere. Notte di Ognissanti", che si terrà alle 18,00 a Verona presso la sede del Centro Turistico Giovanile di Verona in Via Santa Maria in Chiavica 7. La serata è organizzata in collaborazione tra il Consorzio Pro Loco Valpolicella ed Excellence Club. A leggere i racconti saranno gli attori Andrea De Manincor, Sabrina Modenini e Sandra Ceriani, con interventi musicali di Federico Fuggini. Durante la serata, presentata da Alessandra Rutili, non mancheranno dolcetti, cin cin con i vini della Cantina Salgari e... molte sorprese di Halloween!

"Spose, cadaveri e misteri" fa parte della collana Indaco, curata da Claudio Gallo.
Nell'antologia, con introduzione di Fabrizio Foni, sono presenti racconti di: Danilo Arona, Maria Silvia Avanzato, Alexia Bianchini, Rossana Boni, Giuliana Borghesani, Carlo Filippo Borrello, Cosma Brusco, Enrico Buttitta, Emanuele Cassani, Riccardo Coltri, Gaia Conventi, Simona Cremonini, Alberto Fezzi, Roberto Fioraso, Federico Fuggini, Arnaldo Liberati, Enrico Nebbioso Martini, Rossana Massa, Rosanna Mutinelli, Vittorio Rioda, Filippo Tapparelli, Annalisa Tiberio, Francesco Troccoli.

Per acquistare il libro: redazione@delmiglio.it


L'evento del 31 ottobre su Facebook:
https://www.facebook.com/event.php?eid=201867003220174

mercoledì 17 novembre 2010

La fossa scavata nel cimitero sbagliato

SONA. Un errore provoca lo sconcerto dei parenti del defunto i quali non hanno trovato nessuno ad attenderli
Corteo funebre va al cimitero ma la fossa per la bara non c'è


Gli addetti della cooperativa l'hanno scavata a Lugagnano, nel camposanto sbagliato Scuse alla famiglia che le accetta. La salma accolta per una notte nella chiesetta

Corteo funebre arriva al cimitero, ma non può seppellire il defunto perché non è stata scavata la fossa.
È successo a Sona, venerdì pomeriggio. La salma benedetta di Domenico Fornasiero è stata depositata per la notte nella chiesetta del campo santo, fino a ieri mattina, quando è stata finalmente sepolta. A segnalare il fatto, il signor Menegardo, titolare dell'agenzia di onoranze funebri di via Marconi, a Sona: «Arrivati là, non c'era nessuno», racconta, «nemmeno la buca in cui calare la bara».
Un fatto davvero singolare. «Abbiamo attuato i relativi accertamenti e le dovute verifiche», aggiunge, «e ne è emerso che il Comune non ha colpa, i documenti erano compilati correttamente». L'errore, secondo quanto riferito, è da imputarsi alla cooperativa incaricata della mansione, che aveva predisposto la sepoltura nel cimitero di Lugagnano, paese in cui viveva Fornasiero e in cui è stato celebrato il funerale.
Contattati dall'agenzia funebre, i funzionari della cooperativa si sono immediatamente recati a Sona, dove il corteo con la bara li attendeva, per scusarsi del malinteso.
«Io all'inizio non me n'ero neanche accorta», ha raccontato Mariarosa Bottini, cognata del defunto, «quando ce l'hanno fatto notare non riuscivo a crederci. Sono rimasta senza parole. È stato un colpo durissimo, queste cose non devono succedere». «Quando sono arrivati», ha aggiunto, «ci hanno spiegato che è stato un errore e si sono scusati tanto. Ieri mattina, poi, hanno ribadito il loro dispiacere per l'accaduto».
I responsabili del fatto non si sono limitati alle parole, ma hanno sollevato la famiglia dal pagam! ento delle spese. «È stato un modo per risarcirci de! l danno provocato», ha spiegato la signora Bottini, «è vero che hanno sbagliato, ma hanno anche riparato».
Perplesso anche don Roberto, parroco di Lugagnano. «Una cosa del genere non mi era mai capitata», ha affermato, «ma lì per lì non mi sono sentito di dare alcun giudizio, non conoscendo le motivazioni dell'accaduto. Quando me ne sono andato, dopo aver impartito la benedizione, i familiari stavano ancora aspettando che qualcuno della cooperativa arrivasse per dar loro le dovute spiegazioni».
Quando le hanno ricevute, dopo lo sconcerto iniziale, i familiari si sono calmati, hanno accettato le scuse, e hanno atteso che la salma del loro caro venisse sepolta il giorno dopo.
«Da parte mia non c'è alcun risentimento nei confronti dei ragazzi della cooperativa», conclude Orlando Fornasiero, fratello del defunto, «è stato un disguido, non vale la pena sollevare una questione sull'accaduto. Mi h! anno chiesto scusa in mille modi. A noi basta questo, ci siamo già chiariti». La famiglia è certa che si sia trattato di un errore accidentale, di cui si è sentita immediatamente «risarcita».
Ora Domenico Fornasiero riposa in pace nel cimitero di Sona, come voluto dai suoi cari, che hanno lasciato intendere chiaramente che, per loro, ogni polemica ulteriore è puramente superflua.


(L'Arena di Verona, Domenica 14 Novembre 2010)