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martedì 17 marzo 2015
Leggende del Garda a Mantova
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martedì 24 febbraio 2015
mercoledì 14 gennaio 2015
sabato 15 novembre 2014
Leggende dal Garda a Verona: oggi alla Libreria Minerva
Dal lago di Garda a Verona e
ritorno... attraverso vie misteriose e sconosciute!
Si parlerà di streghe, fate
e personaggi magici sabato 15 novembre alle 17,30 alla Libreria Minerva di Verona (corso Porta
Nuova 86) con l'autrice Simona Cremonini, che presenterà i suoi quattro libri di narrativa e saggistica sulle
leggende del lago di Garda, con i
quali ha ripercorso e narrato in una nuova veste storie ormai perlopiù
dimenticate.
L'evento è inserito nel
calendario del festival Spettacoli di Mistero 2014.
Racconti del fantastico,
storie di un passato dipinto di miti, misteri, aneddoti incredibili e fatati, sono il filo conduttore che lega, a doppia corsia,
le leggende narrate dalla tradizione popolare dei paesi e delle colline attorno
al lago di Garda e la narrativa di Simona Cremonini, giornalista e scrittrice
che, sull’antico “Benaco”, ha una seconda casa sia personale sia letteraria.
Nel 2012 l'autrice ha
pubblicato il saggio "Leggende, curiosità e misteri del lago di
Garda" e l'antologia "I racconti fantastici del Garda"; nel 2013
il saggio "Misteri morenici"; nel 2014 "Garda Doble",
quattro storie sul tema del doppio ispirate a leggende e storie del lago di
Garda.
Per info: www.leggendedelgarda.com -
info@libreriaminerva.org - Tel. 045/8003089.
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giovedì 13 novembre 2014
Fiera di Cavalcaselle, ne parlava anche Dante?
L'Arena
giovedì 13 novembre 2014
Dante ne aveva parlato
nel XX canto dell'Inferno
Anche Dante avrebbe conosciuto la fiera di Cavalcaselle durante il suo primo soggiorno a Verona, ospite della Signoria scaligera. Lo sostiene il professor Giorgio Vandelli, appassionato di storia locale, che in una terzina del XX canto dell'Inferno ha riconosciuto il colle San Lorenzo, luogo di ritrovo dei pastori che praticavano la transumanza dal Baldo a valle e viceversa. La terzina precede quella dedicata a Peschiera e alla fortezza che andava delineandosi sotto la dominazione scaligera. Ecco i versi che farebbero riferimento al colle San Lorenzo e alla fiera: «Luogo è nel mezzo là dove 'l Trentino / pastore e quel di Brescia e 'l Veronese / segnar porìa, se fesse quel cammino». «Questa terzina è una delle più discusse», spiega, «perché nessuno dei commentatori nazionali era stato informato dell'esistenza di una fiera dei pastori sul colle di San Lorenzo, che domina Peschiera, «seduta in basso», e anche l'inizio del fiume Mincio che si dirige verso il Po». La marcia in più della sua interpretazione starebbe nella descrizione del territorio: prima l'immagine del colle, luogo d'incontro dei pastori; poi quella di Peschiera, visibile dal colle con il lago; infine, nelle terzine seguenti, l'immagine del Mincio e del lago che «fassi fiume giù per verdi paschi». Curiosità nella curiosità, Vandelli ha studiato questi versi su una vecchia edizione della Commedia edita da Hoepli con commento critico di Giuseppe Vandelli, filologo e letterato modenese vissuto tra il 1865 e il 1937, che il «nostro» Vandelli non esclude essere un suo lontano parente. Il commentatore modenese era giunto però a conclusioni diverse, seppur non definitive: aveva individuato – fornendo la versione poi accreditata da altri critici danteschi – quel «luogo nel mezzo» nell'isola del Garda, la più grande del lago situata sulla sponda bresciana davanti al promontorio di San Fermo nel Comune di San Felice del Benaco. I «pastori» non sarebbero così gli uomini dediti alla pastorizia, bensì i vescovi di Trento Brescia e Verona cui l'isola era soggetta ecclesiasticamente. «Chi vuole discuterne può venire sul colle durante la fiera domenica e lunedì», annuncia Giorgio Vandelli aprendo il confronto. K.F.
giovedì 13 novembre 2014
Dante ne aveva parlato
nel XX canto dell'Inferno
Anche Dante avrebbe conosciuto la fiera di Cavalcaselle durante il suo primo soggiorno a Verona, ospite della Signoria scaligera. Lo sostiene il professor Giorgio Vandelli, appassionato di storia locale, che in una terzina del XX canto dell'Inferno ha riconosciuto il colle San Lorenzo, luogo di ritrovo dei pastori che praticavano la transumanza dal Baldo a valle e viceversa. La terzina precede quella dedicata a Peschiera e alla fortezza che andava delineandosi sotto la dominazione scaligera. Ecco i versi che farebbero riferimento al colle San Lorenzo e alla fiera: «Luogo è nel mezzo là dove 'l Trentino / pastore e quel di Brescia e 'l Veronese / segnar porìa, se fesse quel cammino». «Questa terzina è una delle più discusse», spiega, «perché nessuno dei commentatori nazionali era stato informato dell'esistenza di una fiera dei pastori sul colle di San Lorenzo, che domina Peschiera, «seduta in basso», e anche l'inizio del fiume Mincio che si dirige verso il Po». La marcia in più della sua interpretazione starebbe nella descrizione del territorio: prima l'immagine del colle, luogo d'incontro dei pastori; poi quella di Peschiera, visibile dal colle con il lago; infine, nelle terzine seguenti, l'immagine del Mincio e del lago che «fassi fiume giù per verdi paschi». Curiosità nella curiosità, Vandelli ha studiato questi versi su una vecchia edizione della Commedia edita da Hoepli con commento critico di Giuseppe Vandelli, filologo e letterato modenese vissuto tra il 1865 e il 1937, che il «nostro» Vandelli non esclude essere un suo lontano parente. Il commentatore modenese era giunto però a conclusioni diverse, seppur non definitive: aveva individuato – fornendo la versione poi accreditata da altri critici danteschi – quel «luogo nel mezzo» nell'isola del Garda, la più grande del lago situata sulla sponda bresciana davanti al promontorio di San Fermo nel Comune di San Felice del Benaco. I «pastori» non sarebbero così gli uomini dediti alla pastorizia, bensì i vescovi di Trento Brescia e Verona cui l'isola era soggetta ecclesiasticamente. «Chi vuole discuterne può venire sul colle durante la fiera domenica e lunedì», annuncia Giorgio Vandelli aprendo il confronto. K.F.
domenica 27 luglio 2014
domenica 6 luglio 2014
Garda Doble, il Garda si fa doppio
Storie del “doppio”, rigorosamente gardesane, nel
nuovo libro di Simona Cremonini
Quattro
storie diverse, ambientate sul lago di Garda, ma con un unico filo conduttore:
il “doppio”.
È
uscito in questi giorni il nuovo libro di narrativa della scrittrice e
giornalista Simona Cremonini, dal titolo “Garda Doble”: quattro doppi passi nel Fantastico Garda, ovvero quattro
novelle di genere fantastico che prendono vita attorno al lago e da leggende
locali evidenziando aspetti di
ambientazioni o personaggi “doppi”.
“Il
Giorno della Dea” narra di Acilia,
aspirante vestale della dea Atena, che in epoca romana percorre il crinale
della Rocca di Manerba per prendere parte a una cerimonia di consacrazione; lo
stesso giorno, sempre il 4 agosto, vocato nei calendari antichi alla greca
Atena divenuta Minerva per i romani, in tempi moderni la giovane Anna percorre
lo stesso pendio, incrociando il proprio destino con quello dell’antica ma sua
coetanea sacerdotessa.
In
“Di sangue in sangue” si parla
della strega Virginia, impegnata per l’amicizia che lega la sua genia alla dea
Garda ad assistere una ninfa nel parto; ma stavolta a Lazise il destino
dell’anguana Dora si incrocia con un antico patto stretto tra divinità e con la
fame di sangue di Les Eguales,
due spaventose gemelle di cui aveva narrato C.F. Wolff nelle sue cronache di
leggende italiane.
È
una storia moderna, ma con echi antichi, quella di Maurizio in “Al di là del
lago”: il suo segreto, il fatto di
avere una doppia vita tra la riviera bresciana e la costa veronese, sarà messo
in pericolo dall’incontro con un individuo misterioso sul traghetto che lo
porta da Maderno a Torri.
Infine
in “Il destino in una profezia” a
essere rievocata è la leggenda di Limone e Grineo, figli del dio delle acque
dolci Benàco, rinarrata in un contesto più ampio che coinvolge non solo il lago
e la sua mitologia ma anche la sibilla Manto e il loro nonno, il dio Nettuno.

Il
libro è distribuito presso la libreria Mr Libro di Castiglione delle Stiviere e
nelle altre librerie e punti vendita indicati sul sito www.leggendedelgarda.com, nonché sulla pagina facebook di PresentARTsì.
Editor,
giornalista, autrice di narrativa e di articoli su folklore e leggende, Simona
Cremonini vive e lavora tra Mantova e la seconda casa a Manerba del Garda; ha
presentato racconti su e-book e pubblicazioni cartacee. È autrice di saggi su
leggende e misteri del lago di Garda e delle colline moreniche e del libro di
narrativa “(I) racconti fantastici del Garda” (PresentArtsì 2012). Piazzata in
diversi concorsi letterari di genere, ha vinto l’edizione 2005 del Premio
Akery, sezione horror, e la targa Isabella d’Este 2013 per la letteratura.
Per
acquistare i libri e per
informazioni:
tel.
0376 636839 – associazionepresentartsì@gmail.com
- www.leggendedelgarda.com.
martedì 1 luglio 2014
A Gazzo Veronese l'antica sagra del Ceson, tra storia e leggenda
L'Arena
giovedì 26 giugno 2014
A Gazzo l'antica sagra del Ceson
Torna puntuale, dal 12 al 16 agosto, la sagra de Ceson di S. Pietro in Valle di Gazzo Veronese, per festeggiare la Madonna Assunta, fra specialità locali e musica suonata da note orchestre di liscio. La sagra si tiene nei pressi della Chiesa Benedettina denominata "ceson", dove a Ferragosto si celebrano Messa e Processione dell´Assunta. Al “Ceson” è legata una singolare leggenda.
Presso la chiesa di S.Pietro in Monastero (nome ufficiale del Ceson) tra Tartaro e Tione, un tempo si estendeva un'insalubre palude da cui provengono tristi rintocchi di campane fantasma fin dai tempi dell'Impero Romano. La chiesa sarebbe stata costruita dove un tempo sorgeva la colonia romana di Gazza, o di Carpania, dove si idolatrava il dio Appo, raffigurato come un'onda incatenata che commemorava il lavoro fatto per erigere imponenti mura, con 100 torri, che proteggevano la località dalla minaccia delle gonfie acque del fiume e della palude.
I tristi suoni che sembrano rieccheggiare in precisi periodi, avrebbero annunciato la distruzione dell'antica cittadina di Carpania, invasa dalle acque e non più protetta dal simulacro del dio Appo, rubata dal principe locale. Questa è la leggenda, ma si udirà certamente il rintocco di una vera campana il giorno di Ferragosto, il più atteso della Sagra del Cesòn.
domenica 4 maggio 2014
Carpanea, la leggenda va in tv
L'Arena
mercoledì 30 aprile 2014
CASALEONE. Il filmato su «Geo»
La leggenda va in tv
Documentario Rai
sul mito di Carpanea
Girato nel 2012 in più paesi con molti figuranti del posto
La leggenda di Carpanea in onda su Rai tre. Oggi, alle 17, durante il programma tv «Geo Geo», gli spettatori potranno scoprire il mito della città sorta in una sconfinata conca protetta dalle acque dei fiumi Adige e Tartaro: la leggenda dell'«Atlantide del Basso veronese». Il documentario fu registrato a settembre del 2012, quando la troupe, guidata dal regista tv Michelangelo Pepe, curatore dei servizi di Alberto Angela per SuperQuark, della trasmissione Ulisse e di Geo, decise di raccontare attraverso l'occhio della telecamera il mito dell'«Atlantide della Bassa».
«Per la Pro loco Carpanea, che da anni lavora per la promozione del territorio», dice Claudia De Fanti, presidente del sodalizio, «si tratta un'importante occasione per dare visibilità all'operosità dei volontari, ben preparati e orgogliosi delle tradizioni storiche della nostra cultura».
Il mito di Carpanea narra di una città circondata da sette ordini di mura e difesa da cento torri, con una grande diga che la proteggeva dalle acque dei maggiori fiumi che le scorrevano intorno. Un giorno, il re della città, in lotta con i sacerdoti, penetrò nel tempio e trafugò la statua del dio Appo gettandola in acqua. La folla, per cercare di recuperare il simulacro, si precipitò sulle dighe per aprirle e prosciugare il bacino d'acqua. Il re, visto il disastro, impazzì, mentre la città sprofondò per sempre sott'acqua. Leggenda vuole che ogni anno, nella notte di Pentecoste, chi si trova da solo lungo il fiume, senta un pianto seguito dal suono di una campana: è la figlia del re di Carpanea, colei che doveva sposare il giovane capo dei sacerdoti e che ora vive sotto le acque piangendo sul suo sogno d'amore finito. Le località maggiormente riprese sono: Casaleone, Gazzo Veronese, Salizzole, Cerea e Sanguinetto.
«Desidero ringraziare gli attori della compagnia del teatro Salus di Legnago e tutte coloro che hanno dato il loro contributo al documentario», dichiara De Fanti. «Mi auguro», conclude la presidente, «che la trasmissione incrementi il turismo rurale e dia nuovo impulso al nostro territorio, a vederlo con occhi diversi, apprezzandone le caratteristiche». F.S.
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giovedì 10 ottobre 2013
venerdì 19 luglio 2013
Le colline del basso lago di Garda si tingono di mistero
COMUNICATO STAMPA - Tornano i viaggi nel mistero locale della giornalista Simona
Cremonini, che dopo la guida per viaggiare tra le leggende del lago di Garda
propone per l’estate 2013 il nuovo “Misteri Morenici”: un viaggio nella
fantasia popolare, fra i culti, i simboli, le storie fantastiche e le leggende
che ancora oggi sedimentano lungo le colline moreniche del basso lago di Garda.
“Misteri Morenici” segna un percorso affascinante e inedito
tra le province di Mantova, Brescia e Verona, narrando gli enigmi di quello
che, come ricordato nel libro e in fascetta, il Solitro ha definito “il più
vasto, perfetto ed ammirevole anfiteatro morenico, che vanti l'Italia”.
Medole, Cavriana, Solferino, Castiglione delle Stiviere,
Montichiari, Lonato del Garda, Valtenesi, Desenzano del Garda, Lugana, San
Martino della Battaglia, Pozzolengo, Peschiera del Garda, Ponti sul Mincio,
Monzambano, Volta Mantovana, Guidizzolo, Valeggio sul Mincio, Castelnuovo del
Garda, Sona, Custoza, Lazise: sono le
tappe di questo tragitto mistico, a tratti esoterico, di cui si può andare alla
scoperta con la nuova “guida del mistero”. La copertina è dedicata al Monte
Corno di Desenzano del Garda, santuario naturale teatro di antichi culti di eco
celtica.
Misteri Morenici, come spiega la quarta di copertina, è “Una
passeggiata tra le colline moreniche del basso lago di Garda lungo le storie di
spettri e fantasmi, mostri e animali simbolici, antichi culti mai sopiti tra
religione celtica e cristiana, mitologia, streghe, creature fantastiche, fate,
leggendarie città sommerse, tavolette enigmatiche, presenze infernali e
trabocchi sulfurei”.
Il libro è edito da PresentARTsì, "bottega di prodotti culturali" di
Castiglione delle Stiviere, che della stessa autrice ha pubblicato lo scorso
anno i due fortunati libri precedenti “(I) racconti fantastici del Garda” e il
saggio “Leggende, curiosità e misteri del lago di Garda”, uscito in queste
settimane nella versione inglese, nonché nel 2013 Il breve saggio “La paura
danza in collina”, che attraverso un viaggio nel rapporto tra letteratura
horror e collina completa idealmente Misteri Morenici.
I libri sono distribuiti presso
la libreria Mr Libro di Castiglione delle Stiviere e nelle altre librerie e
punti vendita indicati sul sito www.leggendedelgarda.com,
nonché sulla pagina facebook di PresentARTsì.
Editor, giornalista, autrice
di narrativa e di articoli su folklore e leggende, Simona Cremonini ha
presentato racconti su e-book e pubblicazioni cartacee, tra cui tra i più
recenti "Il gioiello di Crono" e “Storie di gente a pezzi” (Delmiglio
Editore 2012), “La bottega dell’erborista” (Delmiglio Editore 2013). Piazzata
in diversi concorsi letterari di genere, ha vinto l’edizione 2005 del Premio
Akery, sezione horror.
Per acquistare i libri e per informazioni: tel. 0376
636839 – associazionepresentartsì@gmail.com.
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lunedì 27 maggio 2013
domenica 14 aprile 2013
I misteri del lago di Garda a Pacengo
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Misteri e leggende delle colline moreniche del Garda
Un nuovo libro di Simona Cremonini su misteri e leggende delle colline moreniche del Garda...
Area Blu, 13 aprile 2013
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sabato 2 febbraio 2013
Dopo 1.650 anni svelato il volto di San Zeno
L'Arena
venerdì 01 febbraio 2013
SCOPERTE. Presentati i risultati dell'analisi eseguita dal laboratorio di medicina legale dell'ateneo scaligero sui resti del patrono. Ricostruita al computer la fisionomia
Dopo 1.650 anni svelato il volto di San Zeno
Il «Vescovo moro» aveva davvero la pelle scura. Le caratteristiche somatiche sono quelle della popolazione nordafricana, e avallano la provenienza dal Maghreb
Il «Vescovo moro» era «moro» per davvero. La scienza conferma la verità della fede, in un incontro emozionante e coraggioso che ha consentito non soltanto di procedere alla ricostruzione storica, ma di scoprire dettagli inediti e perfino, avvalendosi delle più sofisticate tecnologie, di dare un volto al patrono di Verona. Sono stati infatti presentati ieri mattina in Vescovado gli esiti scientifici della ricognizione del corpo di San Zeno, decisa ancora nei mesi estivi per la ricorrenza dei 1.650 anni dall'elevazione a vescovo della nostra città. E tutte le analisi realizzate coincidono nel confermare che quei resti appartengono ad un uomo dalla pelle scura (risolvendo secoli di controversie), vissuto nel IV secolo, cioè all'epoca di San Zeno, offrendo molte indicazioni sulle sue caratteristiche fisiche.
«Quando abbiamo deciso di procedere a questo lavoro non sapevamo quali risultati avremmo raggiunto», ha spiegato il vescovo Giuseppe Zenti, intervenuto alla presentazione dei risultati con l'abate di San Zeno monsignor Gianni Ballarini. A spiegare il lavoro compiuto Franco Alberton, medico legale, il professor Fiorenzo Facchini, professore emerito alla scuola di specializzazione in Archeologia dell'Università di Bologna, il professor Franco Tagliaro, direttore di Medicina legale dell'Università di Verona, con i colleghi Domenico di Leo e Stefania Turrina. «Erano possibili anche esiti non previsti», ha aggiunto monsignor Zenti. «Ma sono convinto che sia giusto approdare alla verità della realtà grazie ai progressi della scienza. Anche se lo scheletro analizzato non fosse stato identificabile con San Zeno, il culto sarebbe rimasto inalterato, potevamo anche imbatterci in un falso storico».
Ma tutto lascia intendere, per lo meno fino all'esito attuale delle analisi, che potranno essere ulteriormente approfondite, che quello è davvero lo scheletro di San Zeno. Lo confermano le analisi medico legali e tossicologico forensi eseguite a Verona: come ha spiegato Tagliaro, «nelle ossa di San Zeno si rileva una presenza molto più alta del normale di piombo e mercurio, dato presente anche nell'analisi dei resti di Cangrande. Il piombo si spiega con il fatto che di tale elementi erano fatti gli utensili da cucina, il mercurio era usato come antibatterico, forse assunto come curativo».
Ma il momento più affascinante è stato sicuramente quello della ricostruzione facciale. «Attraverso un programma particolare, abbiamo ricostruito al computer il volto del santo», ha spiegato ancora Tagliaro. «Si tratta di eseguire una tac del cranio, quindi, mediante modelli informatici, viene realizzato un manufatto che corrisponde alla struttura del cranio e su questo il programma disegna la tipologia facciale che meglio si adatta».
Una tecnica investigativa tipicamente forense, di quelle che in genere si impiagano per una complessa scena del crimine, questa volta usata per scoprire verità lontane.
Altro dato essenziale ricavato, la provenienza geografica. «Il dna estratto dal frammento femorale di San Zeno», ha detto De Leo, «ha fornito un profilo che conferma che si tratta di spoglie di un soggetto di sesso maschile e ne colloca l'origine di provenienza nell'area mediterranea-nord africana, ipotesi che risulta dunque del tutto compatibile con l'origine mauritana di San Zeno, la zona attualmente costituita da Tunisia e Algeria».
«Da rilevare anche che la reliquia mostra uno stato di conservazione davvero eccezionale», ha concluso Alberton. «Questo potrebbe significare una speciale attenzione devozionale nei secoli, che avrebbe permesso questa straordinaria qualità dei resti: dunque, una conferma in più che si trattava di una personalità importante, oggetto di venerazione».
LO STUDIO COMPARATO. L'indagine dell'Università di Bologna coincide con quella scaligera
Il metodo del radiocarbonio conferma: visse nel IV secolo
L'archeologo Facchini: «I resti ci dicono che era alto 165-167 centimetri e morì tra i 50 e i 60 anni»
Oltre all'Istituto di Medicina legale del nostro ateneo, anche il laboratorio di Bioarcheologia e Osteologia forense dell'Università di Bologna ha realizzato una serie di analisi, avvalendosi pure della collaborazione di altri istituti, che coincidono nei risultati.
«Per quanto riguarda la datazione», ha spiegato il professor Facchini, «i reperti sono stati datati dal centro di datazione e diagnostica dell'Univesità del Salento mediante la determinazione del radiocarbonio con il metodo dell'acceleratore: ne è risultato che i reperti sono compatibili con i dati storici relativi a San Zeno, vissuto nel IV secolo e morto dopo il 372».
In merito all'identificazione antropologica, ha proseguito Facchini, «i reperti risultano in ottimo stato di conservazione: si riferiscono ad uno stesso individuo di sesso maschile. La stima dell'età della morte, determinata dal grado di sinostosi delle suture craniche, da alcuni caratteri del bacino, da numerosi segni di artrosi, suggerisce un'età superiore ai 50 anni: diciamo tra 50 e 60 anni. La forma del cranio è ovoide corto, la faccia, le orbite e il naso sono alti. Assai marcate le arcate sopraorbitarie, il che conferma un'origine dall'Africa settentrionale. La statura, stimata dalla lunghezza degli arti con diversi metodi, doveva essere di 165-167 centimetri, che può considerarsi una statura media. Dal punto di vista antropologico, il soggetto può considerarsi di tipo mediterraneo europoide, largamente diffuso in epoca romana nelle regioni che si affacciavano sul Mediterraneo, compresa l'Africa settentrionale».
Altri dati arrivano dall'esame del dna eseguito nel laboratorio di antropologia molecolare di Firenze. «Questi hanno messo in evidenza», spiega ancora Facchini, «l'alleale G ancestrale responsabile della pigmentazione scura della pelle: la presenza di questo alleale in un soggetto che non ha però caratteristiche morfologiche negroidi, ma è riconducibile al tipo mediterraneo, indice a supporre qualche mescolanza nei suoi antenati con il ceppo melanodermo, caratteristico delle popolazioni subsahariane. Questa caratteristica si accorderebbe proprio con quanto la tradizione riferisce circa il colore scuro della pelle di San Zeno». A.G.
LA VITA. È stato l'ottavo presule. Molti sono i miracoli a lui attribuiti
Protettore dei pescatori,
domò le acque dell'Adige
Zeno, o Zenone fu l'ottavo vescovo di Verona. La maggior parte della sua vita è avvolta nella leggenda, ma pare fosse originario della Mauretania, e per questo vi si fa riferimento come a «il Vescovo Moro». Fu vescovo di Verona dal 362 al 371 o 372 o 380, anno della sua morte.
Secondo le fonti agiografiche visse in austerità e semplicità, tanto che pescava egli stesso nell'Adige il pesce per il proprio pasto. Per questo è considerato protettore dei pescatori d'acqua dolce. Era comunque persona colta ed erudita, formatosi alla scuola di retorica africana, i cui maggiori esponenti furono Apuleio di Madaura, Tertulliano, Cipriano e Lattanzio. Sono giunti fino a noi numerosi suoi sermoni, di cui 16 lunghi e 77 brevi, che testimoniano come, nella sua opera di evangelizzazione, si confrontò con il paganesimo ancora diffuso e si applicò per confutare l'arianesimo.
I miracoli che le leggende devozionali raccontano sono parecchi. La leggenda più straordinaria è però riferita da papa Gregorio I (Gregorio Magno) e narra di un improvviso straripamento delle acque dell'Adige che sommerse tutta la città fino ai tetti delle chiese, al tempo del re Longobardo Autari. Le acque arrivarono alla cattedrale dove il re aveva appena sposata la bella principessa Teodolinda, precisa il monaco Coronato, ma si sarebbe arrestata improvvisamente, in sospensione, sulla porta, tanto da poter essere bevuta, ma senza invadere l'interno. Ciò avrebbe determinato la salvezza dei veronesi, che, pur non potendo uscire, poterono resistere finché la piena non calò.
La sua festa è fissata nel martirologio al 12 aprile, ma la diocesi di Verona lo celebra il 21 maggio, giorno della traslazione del corpo fatta dai santi Benigno e Caro dalla temporanea sepoltura nella Cattedrale alla zona dell'attuale Basilica, il 21 maggio 807.
giovedì 24 gennaio 2013
recensione: "Il grande fiume Po"
Tra saggio e racconto, percorrendo una linea armoniosa che ondeggia tra la storia e le leggende fluviali: come il fiume in piena quando scende verso valle, Guido Conti attinge e trascina con sé tutto ciò che può per raccontare “Il grande fiume Po” e le sue correnti, che nei secoli insieme hanno spesso scritto indice e trama per uomini, popoli, viaggiatori, letterati e avventurieri che hanno abitato i suoi argini e sono transitati per queste terre.
L’autore inizia il suo viaggio da Plan del Re, dove il Po si mostra per la prima volta tra i prati; da qui ne percorre fisicamente il tragitto fino alla foce, dove l’acqua dolce si confonde con quella salata, per raccontare la geografia e la storia delle sue sponde. Ma soprattutto ne riesplora le storie, i miti, le narrazioni, che da sempre si sono identificate con l’Eridano, l’antico fiume narrato fin dagli albori della civiltà greca da Esiopo, e che tutt’oggi continuano a essere oggetto di ispirazione per autori e cantastorie contemporanei. Per Conti, parmigiano, non è solo un viaggio nella vita delle sue terre, ma lo è anche dentro se stesso, lungo le tracce che il Po lascia dietro e attorno a sé e che non possono certo lasciare indifferente chi vive in uno dei numerosi luoghi lambiti dal fiume. Posti differenti, città, affluenti, paesini, che possiedono ciascuno un proprio carattere. “Il Po che passa per Torino e accarezza il Parco del Valentino è diverso da quello dell’Oltrepò pavese e da quello che comincia a Piacenza, e non è lo stesso che solca la pianura fino a Mantova; da Ferrara al delta il fiume cambia di nuovo aprendosi come un fiore di canali verso il mare. Il Po è sempre se stesso ma è sempre diverso ogni volta che lambisce un territorio. Una metamorfosi continua”.
La storia di un fiume come il Po è fatta di letteratura e musica, delle Canottieri sportive ma anche delle guerre qui combattute e delle difficoltà affrontate per sopravvivere a dispetto del fiume stesso: “Il desiderio di governare le acque del grande fiume, la realizzazione dei canali, degli argini, le bonifiche delle paludi con il prosciugamento del lago Gerundo intorno all’anno Mille: a nord del Po tutto questo ha il sapore della battaglia. Strappare la terra al fiume per prosciugare gli acquitrini. Vincere la malaria è stata una lotta millenaria che ha portato alla costruzione di complessi canali di bonifica, all’innalzamento degli argini, alla creazione di pennelli nel corso del Po per guidare la corrente che rode le sponde. È una lotta con un mostro, il grande fiume, che alza la schiena quando vuole, rompe gli argini e allaga la campagna ogni volta, mostrando agli uomini che la natura regna sovrana anche dove l’uomo progetta, costruisce e ordina con la sua intelligenza".
In oltre 400 pagine, che letteralmente “scorrono” e che possono essere anche sfogliate e lette secondo un proprio ordine e percorso, la memoria del fiume diventa la vera protagonista attraverso gli incontri, le letture, le fotografie, le cartine, le chiacchierate e i momenti di silenzio che a Guido Conti sono necessari per raccontare una storia semplice ma oscura, stratificata e mai banale, perché il fiume può essere silenzioso e a volte discreto, ma mai è indifferente: “Una presenza-assenza che attraversa la città e la pianura verso il mare. Lui porta via anche le nostre storie e le voci del mondo, un fiume infernale, nel buio della notte”.
Simona Cremonini
giovedì 17 gennaio 2013
Canti di fantasmi nel Palazzo del Diavolo
L'Arena
martedì 15 gennaio 2013
SORGÀ. Il gruppo ufficiale di ricerca sul paranormale della trasmissione «Mistero» nell'edificio «dedicato» al diavolo
I ghostbuster sentono cantare
nei sotterranei del «Palazzon»
Il «Ghost Hunters Team» ha rilevato cori sacri e una forte attività elettromagnetica Il sensitivo in «stato di disagio»
Nei sotterranei del «Palazzon del diàolo» sono stati rilevati canti corali, simili ai canti gregoriani che si sentono cantare nelle chiese e una forte attività elettromagnetica.
È questo il primo risultato delle ricerche effettuate sabato notte dal gruppo comasco «Ghost Hunters Team», gruppo ufficiale di ricerca sul paranormale della trasmissione televisiva «Mistero» di Italia 1, coordinato da Mirko Barbaglia. «Abbiamo iniziato le ricerche verso le 20,30 terminandole poco prima dell'una di notte, sia nei sotterranei sia nel sottotetto. Specialmente nei sotterranei abbiamo riscontrato una forte attività elettromagnetica di fatto inspiegabile non avendo riscontrato la presenza di fonti artificiali elettriche nel luogo», racconta Barbaglia.
Successivamente, il fonico Fulvio Caimi ha posizionato dei microfoni panoramici sull'anello sommitale del pozzo «rasadòr».
«Da questi microfoni, attraverso le cuffie, si sono sentiti, per qualche tempo, dei canti corali, simili ai canti gregoriani che si sentono nelle chiese», continua il coordinatore del gruppo di ricerca. «Siamo subito usciti all'esterno del palazzo per verificare che non ci fossero magari una radio o altri apparecchi che emettessero quei canti. All'esterno, nell'oscurità, il silenzio più assoluto circondava il palazzo. Si tratta di suoni o rumori che le nostre orecchie non avrebbero potuto percepire facendo essi parte degli infrasuoni e degli intrasuoni».
Per quanto riguarda invece le immagini registrate e le foto scattate con strumenti a raggi infrarossi e ultravioletti, «a una prima analisi superficiale, non abbiamo riscontrato alcuna figura», osserva il responsabile del gruppo Ght. «Le foto saranno comunque inviate a Torino dove un esperto del settore che ci coadiuva nelle ricerche, Alessandro Cercara, le analizzerà approfonditamente nei suoi laboratori e ci darà una risposta». Brabaglia sottolinea che tutti i partecipanti alle operazioni di ricerca, durante la registrazione dei canti e dei rumori con le apparecchiature, in contemporanea hanno percepito delle strane sensazioni.
«Dall'inizio fino alle 22,30, provammo delle sensazioni assai strane che è difficile descrivere: uno stato di disagio confermato anche dal nostro sensitivo Daniele Piccirillo. Tutto è sparito quando anche gli apparecchi hanno smesso di registrare i fenomeni».
Nel pomeriggio sono accorsi a Sorgà numerosi ragazzi e ragazze, giovanissimi, non solo del luogo ma provenienti anche dai paesi limitrofi, oltre a diversi adulti, per assistere alle operazioni di ricerca dei fantasmi, che si dice lo abitino. Per la cronaca l'unica presenza accertata e reale è quella del club «Amici dei Nomadi» che ha la sua sede al piano rialzato dell'edificio cinquecentesco.
Le operazioni sono iniziate con il volteggiare in cielo di un piccolo «drone», munito di telecamere, per riprendere dall'alto la scena entro la quale si inserisce il «palazzon del diàolo» per introdurre il servizio televisivo incentrato appunto sulla ricerca dei fantasmi.
È stata l'unica operazione cui la gente ha assistito, rimanendo alla fine delusa. La delusione è presto chiarita. Le ricerche con i rilievi strumentali per captare rumori dovevano essere eseguite dopo le 20, col calar delle tenebre, a porte chiuse. Questa scelta, se da un lato ha aumentato l'alone di mistero che circonda il luogo, dall'altro ha una spiegazione, diciamo così, pratica.
«Non è che i fantasmi o le loro “voci” si manifestino solo durante le ore notturne com'è nell'immaginario collettivo», osserva Barbaglia. «Semplicemente dobbiamo operare a porte chiuse e di notte perché le interferenze di rumori esterni sono ridotte la minimo e si evitano così sovrapposizioni nelle registrazioni che potrebbero falsarle».
Le operazioni tecniche per registrare suoni, presunte voci e rumori, sono state effettuate da Fulvio Caimi, di Milano, fonico di professione, collaboratore esterno del gruppo comasco che utilizza dei microfoni panoramici a bassa frequenza e tutto il materiale viene salvato su una multitraccia digitale.
Caimi aggiunge che il tutto verrà poi analizzato con appositi filtri mettendo in rilievo le frequenze che possono contenere una voce o un rumore. Alla fine i rumori ed i suoni eventualmente percepiti saranno catalogati come Evp (Electronic voice presence).
Alle ricerche ha partecipato anche un sensitivo, Daniele Piccirillo, per scoprire se ci sono fenomeni paranormali o di magnetismo. Tra gli strumenti usati anche telecamere a raggi infrarossi e macchine fotografiche a raggi ultravioletti per «immortale» eventuali figure di fantasmi non visibili dall'occhio umano.
LE CREDENZE. Molte le versioni tramandate. In comune pianti e urla provenienti dall'edificio
Secondo la leggenda Belzebù
nel '600 abitava quelle stanze
Fu cacciato dal parroco che benedì la casa durante una festa satanica
Il tentativo di svelare i misteri della leggenda secolare sul «palazzon del diàolo», messo in atto, sabato notte, dal «Ghost Hunters Team», ha un precedente amalogo.
Il 4 novembre 2012 il gruppo «Hespery Crew», effettuò delle ricerche i cui risultati si possono vedere in un breve filmato messo in rete. Ma perché si chiama palazzo del diavolo? E qui nasce la leggenda che il maestro Renzo Colombini, morto nel 1966, appassionato di chiromanzia, astrologia, filosofia, parapsicologia, ipnotismo, scrisse e pubblicò sui «Quaderni di vita veronese», nel 1949, una raccolta di leggende popolari della Bassa veronese.
Si racconta infatti che nel '600 il palazzo fosse sprofondato dopo che il parroco dell'epoca, alla testa di una processione di fedeli oranti, si recò davanti al palazzo durante lo svolgimento di una festa satanica, cospargendolo di acqua santa, con la benedizione, per scacciare appunto il diavolo che, secondo la credenza popolare, lo abitava. L'operazione ebbe l'effetto sperato tanto che il palazzo addirittura sprofondò di un piano. I fantasmi che la gente credeva lo abitassero, i pianti, le urla che si diceva si sentissero di notte, avevano una giustificazione molto più banale, come la storia del pozzo «rasadòr» (tagliatore), un pozzo che si trova nei sotterranei, ora riempito di terra, sul cui fondo si diceva ci fossero delle lame che tagliavano a pezzi chi vi veniva gettato dentro.
«Poiché il palazzo fu costruito per conto del mago De Bursis», spiega Giacomo Murari Dalla Corte Bra, «si racconta che i nemici del mago venissero uccisi gettandoli nel pozzo “rasadòr” che però non risulta avesse delle lame». Ma circola anche un'altra versione della leggenda, stavolta illustrata in un quadro naif. A «raccontarla» con il pennello un pensionato sorgarese, Olirco Bozzini, ex meccanico, pittore naif da oltre 40 anni, che nel lontano 1982 ritrasse, in un quadro, le fasi salienti della misteriosa storia popolare.
«Con quel quadro vinsi anche un premio a un concorso per pittori naif ad Arona, sul lago Maggiore», ricorda con orgoglio. Sottolinea subito che la sua versione della leggenda si discosta da quella scritta dal maestro elementare Renzo Colombini. Infatti Bozzini ricorda che, da ragazzino, sentiva raccontare la storia del parroco di Sorgà dell'epoca, agli inizi del 1600, che decise di benedire il palazzo dei Conti Murari Dalla Corte Bra, che si diceva fosse abitato dal diavolo, perché ormai i suoi parrocchiani non andavano più in chiesa ma correvano a frotte nel palazzo dove Belzebù organizzava, evidentemente gratis, orge e riti satanici con vergini pulzelle che poi uccideva gettandole nel famoso pozzo “rasadòr" e prendersi le loro anime dannate. Nel dipinto di Bozzini si vede infatti il prete seguito non da una processione di uomini e donne oranti, come raccontato dal maestro Colombini, ma soltanto da due donne, e lui (il prete, ndr) che benedice il demonio con una croce e non con l'aspersorio. Inequivocabili si vedono i segni della vendetta luciferina: fulmini che colpiscono il campanile della vicina chiesa parrocchiale, distruggendolo, e il palazzo, che poi sarebbe sprofondato, dove si notano giovani fanciulle nude che tentano di entrarvi: chi dalla porta principale, chi usando addirittura delle scale a pioli per accedere ai piani superiori, tutte ansiose di partecipare alle orge sataniche. Insomma un assalto per entrare nel palazzo dei peccati e della lussuria sfrenata. Con questa nuova versione il mistero del “palazzon del dialo” continua. Un mistero avvolto nella leggenda che, dopo tutto, ai sorgaresi forse non dispiace che rimanga tale a meno che i risultati delle ricerche del “Ghost Hunters Team" non riescano a metterci, una volta per tutte, la parola fine.
Ma, a quanto sembra, il mistero continua. LI.FO.
domenica 13 gennaio 2013
Al Palazzo del Diavolo gli esperti di fantasmi a Sorgà
L'Arena
venerdì 11 gennaio 2013
SORGÀ. Nell'edificio abbandonato entra il «Ghost hunter team» con attrezzature in grado di rilevare presenze strane
Nel «palazzon del diaolo»
arrivano gli esperti di fantasmi
Dopo alcune segnalazioni mirate la trasmissione tivù «Mistero» vuole documentare i fenomeni che si verificano nella villa
La Bassa terra di fantasmi? Se il primo esperimento di ricerca di anime di defunti, eseguito a novembre al Castello di Bevilacqua, ha confermato che nel maniero è rimasto, con somma gioia, lo spirito della contessina Felicita Bevilacqua, ultima discendente della nobile dinastia proprietaria del luogo, nonché di Guglielmo Bevilacqua, altro avo della stirpe, ora il sospetto che il territorio pulluli di fantasmi si fa più concreto. Basta cercarli.
Ed è quello che farà domani il «Ghost hunters team», un gruppo di esperti che fa questo mestiere in forma professionale. Normalmente si occupa di rilevare presenze soprattutto nella abitazioni. Ma, a differenza di Francesca Gargano, la sensitiva vicentina che esplorò il Castello di Bevilacqua e che si occupa anche di «liberare» i luoghi dalle anime («perché in realtà, la maggior parte è alla ricerca della propria strada, del loro luogo che non è la terra», disse la signora), il team che domani sarà a Sorgà cerca prove e documenta scientificamente le presenze ultraterrene.
In ogni caso, che ci si creda o meno, la loro visita al «Palazzo del diavolo» - è lì che sono stati chiamati ad operare - per chi ama mistero e paranormale, non può che incuriosire, e proprio a partire dal nome che si porta dietro la villa. Meglio conosciuto come «el palazzon del diaolo», la struttura evoca da secoli storie misteriose e ha dato origine a leggende tramandate fino ad oggi.
Un luogo simile non poteva non destare l'interesse di chi si occupa di paranormale. Così, domani, dalle 16, il «Palazzo del diavolo» sarà «esaminato» dal «Ghost hunters team», gruppo di ricerca che collabora con la trasmissione televisiva «Mistero» di Italia 1.
«Alcuni giorni fa ho ricevuto una telefonata dal responsabile del gruppo di ricerca Ght», racconta Giacomo Murari Dalla Corte Bra, figlio del Conte Vittorio, proprietario del palazzo disabitato, «che mi chiedeva l'autorizzazione per svolgere nel palazzo un'indagine ed un servizio per un loro nuovo progetto sulla ricerca di fantasmi. Ho accolto di buon grado la richiesta, seppur con scetticismo, e sono curioso di sapere come sono arrivati a Sorgà».
È presto detto. «In zona abbiamo dei referenti che ci hanno segnalato questo palazzo misterioso», dice Mirko Barbaglia, fondatore del gruppo. «Dalle informazioni avute, sembra che il palazzo fosse luogo di sacrilegi, di peccati di ogni sorta e che vi albergasse il diavolo dopo essere stato evocato con sacrifici umani. Nei sotterranei c'è anche un pozzo e dei cunicoli al cui interno si racconta ci fossero i demoni cui avevano immolato delle vergini sventurate. Si narra di luci che misteriosamente si spengono e si accendono, di strani rumori, di pianti ed ombre che aleggiano nei dintorni».
Barbaglia aggiunge che il lavoro del gruppo consiste nel cercare di rilevare, con strumenti tecnologici, parametri ambientali non spiegabili, quali cambiamenti di temperatura, campi elettromagnetici, con telecamere a raggi infrarossi o ultravioletti e registratori per captare ultrasuoni e infrasuoni non percettibili dall'uomo. Il risultato delle ricerche sarà messo a disposizione sul sito www.aliismundi.tv.
Il palazzo, edificato alla fine del '500, usato come deposito di granaglie, non è mai stato abitato, se non da famiglie di sfollati durante l'ultima guerra. Ma perché si chiama palazzo del diavolo? E qui nasce la leggenda che il maestro Renzo Colombini, morto nel 1966, appassionato di chiromanzia, astrologia, filosofia, parapsicologia, ipnotismo, scrisse e pubblicò sui «Quaderni di vita veronese», nel 1949, una raccolta di leggende popolari della Bassa veronese.
Si racconta infatti che nel '600 il palazzo fosse sprofondato dopo che il parroco dell'epoca, alla testa di una processione di fedeli oranti, si recò davanti al palazzo durante lo svolgimento di una festa satanica, cospargendolo di acqua santa, per la benedizione, per scacciare appunto il diavolo che, secondo la credenza popolare, lo abitava.
L'operazione ebbe l'effetto sperato, tanto che il palazzo addirittura sprofondò di un piano. I fantasmi che la gente credeva lo abitassero, i pianti, le urla che si diceva si sentissero di notte, avevano una giustificazione molto più banale, come la storia del pozzo «rasadòr» (tagliatore), che si trova nei sotterranei, ora riempito di terra, alle cui pareti pare ci fossero conficcate delle lame che tagliavano a pezzi chi vi veniva gettato, specie, si dice, le amanti del signore in origine proprietario del palazzo.
«Poiché il palazzo fu costruito per conto del mago De Bursis», spiega Giacomo Murari, «si racconta che anche i nemici del mago venissero uccisi gettandoli nel pozzo rasadòr». Fin qui la leggenda.
Ben diversa invece la realtà. Nel '600 le misere case, detti «casotti», dei popolani, erano a piano terra; non esistevano i seminterrati perché, essendo la zona paludosa, sarebbero stati invasi dall'acqua. «Il fatto di vedere un grande palazzo con mezzo piano fuori terra e mezzo sotto terra probabilmente», secondo Murari, «ha impressionato la gente che ha finito per credere che tutto ciò fosse opera del diavolo».
Per quanto riguarda Lucifero, i fantasmi e tutto il corollario di misteri che circolano sul «palazzon», pare siano stati invece originati da un trucco ben orchestrato da chi, di notte, in realtà gozzovigliava nei saloni del palazzo, con orge e riti anche satanici, e per evitare che la gente sapesse di queste feste, avevano sparso la voce che il palazzo fosse abitato dal diavolo. Da qui la paura ancestrale del demonio inculcata nel «popolino» da spaventarlo talmente tanto che, come calavano le tenebre, non usciva più di casa. Così nessuno vedeva quali oscuri riti e feste si svolgevano nel «palazzon del diaolo» dando così sfogo all'immaginazione per giustificare le proprie paure.
«Il diavolo in quella villa?
Io l'ho visto davvero»
Ma il «palazzon del diaolo» si chiama così perché davvero si voleva far circolare una leggenda che tenesse lontani i curiosi da festini più o meno licenziosi che vi si tenevano nelle sue sale, oppure un elemento di verità esiste? Insomma, è solo diceria oppure questo epiteto ha una vena di verità? La risposta, ovviamente, ognuno se la darà da solo, a seconda di quanto crede o immagina. Eppure decenni fa, un bambino che abitava vicino al palazzo - oggi adulto ma per niente scettico sulla sua esperienza - vide con i suoi occhi Belzebù davanti al cancello della villa.
«Andavo spesso a giocare nei paraggi del palazzo», racconta il testimone che non vuole rivelare la sua identità, «e un giorno lo vidi». Ma era proprio come la classica iconografia ce lo descrive? «Sì. Era così e tranquillamente si aggirava per la zona», conferma. «Mi spaventai, ovviamente, ma non l'ho mai dimenticato. Ancora oggi ho chiarissima la sua immagine negli occhi».D.A.
IL SENSITIVO. Daniele Piccirillo è un«medium» ed ha accettato di presenziare all'indagine per «interesse storico»
Ci sarà anche il «cacciatore di anime»
«Vogliamo scoprire se davvero esiste questo pozzo e se vi siano state gettate persone»
Tutto è pronto per scovare gli invisibili che abitano «el palazzon del diaolo». Strumenti sofisticati, esperti ma anche un sensitivo che, lungi dal voler essere considerato un improvvisato spiritista, ci tiene a dire innanzitutto che «è raro che io accetti di visitare palazzi o castelli, si rischia di venir scambiati per macchiette. Il mio è diventato un mestiere serio nel tempo, fatto di studi, di viaggi, di approfondimenti». A parlare è il milanese Daniele Piccirillo, chiaroudente, come lui stesso si definisce. «Chiaroudente significa che riesco a sentire le voci interne che mi parlano. E a trasmetterle, a volte, con la scrittura automatica». Il «medium» Piccirillo è aiutato, in questo, dal suo spirito guida che si chiama Lorenzo. «È lui che mi indica come mettermi in contatto con le entità presenti e non è detto che siano i parenti che la gente ricerca, o gli amici, ma anche degli estranei. Infatti i miei interventi sono più frequenti in case che in palazzi o simili: è lì che spesso chi vi abita soffre le entità, sente rumori, passi, urla, si sente osservata, e non è piacevole. Anche se le anime sono buone e si palesano così perché non hanno preso coscienza di se stesse, non sanno che il loro stato è cambiato e continuano la vita che facevano prima, senza evolversi».
In qualità di sensitivo, Piccirillo ha accettato di presenziare all'indagine al Palazzo del Diavolo di Sorgà per «interesse storico, soprattutto: vorremmo scoprire se davvero esiste questo pozzo e se vi siano state gettate persone e se le loro anime sono ancora lì». Anche il chiaroudente Piccirillo viene spesso interpellato per liberare le case dalle anime che non si sono evolute: con preghiere, soprattutto. Lo farà anche al «palazzon del diaolo?». Ma il diavolo esiste? «Quello che chiamiamo così, sono fenomeni legati al male, a demoni: sì, quelli esistono», afferma il sensitivo.
«Vorrei chiarire che la nostra non è scienza, ma esperienza e non facciamo apparire, ma evochiamo. Certo, sono in tanti a non credere e infatti ad un certo punto anch'io cominciai a dubitare. Invece poi ho scelto di andare avanti, perché sensitivo lo sono da sempre, fin da bambino». Piccirillo racconta la sua primissima esperienza: «Dalla finestra di casa mia, di notte, vedevo un bambino che usciva da una casa e si dirigeva alle immondizie. Quel bambino non esisteva, ma io lo vedevo e nella mia fantasia infantile lo chiamai Spazzatura». Ciò che davvero convinse il chiaroudente a proseguire per la sua strada, senza timori e non ascoltando chi lo «denigrava», fu un episodio fondamentale nella sua esistenza: «Mio padre fu colto da infarto e stava per morire: andai da lui e gli promisi che se fosse vissuto da quel giorno avrei fatto del bene alla gente. Mio padre guarì e io rispettai la promessa».
Testimonianze, anche da parte di Mirko Barbaglia, ce ne sono moltissime: «A Trezzo d'Adda le nostre pellicole, che registano gli ultravioletti, riuscirono a imprimere una sagoma d'uomo, di profilo, nel buio completo. In genere le presenze si manifestano con cambiamenti repentini di temperature o di campi magnetici che interferiscono anche fino a far spegnere gli apparecchi, che non trovano spiegazione». Lo scrupolo dei Ghost vuole, infatti, che prima di analizzare un luogo, si accertino che non esistano, vicino, fonti di elettromagnetismo.
venerdì 11 gennaio 2013
In Valcamonica a caccia del Badalìsc
Bresciaoggi
8 gennaio 2013 – LETTERE
Anche quest'anno ad Andrista di Cevo, in Valle Camonica, la notte tra il 5 e il 6 gennaio, i giovani del paese si sono recati nei boschi, secondo la tradizione, per catturare il Badalìsc, uno strano essere che abiterebbe nelle foreste. Dopo essere stato avvolto e legato, il fantomatico animale è stato portato per le vie dell'abitato, scortato da figure evocative: il Giovane, il Vecchio, la Vecchia, il Gobbetto e la Signorina. Quest'ultima, risvegliando le pulsioni erotiche del mostro, rappresenta il richiamo all'energia del rinnovamento e della fecondazione, in attesa della primavera. Poi il mostro entrando nei locali (nelle stalle) ha inveito contro gli ingenui, gli sprovveduti e i disonesti, portando alla luce ciò che durante l'anno è rimasto nascosto: quasi una purificazione laica delle coscienze. In piazza si è svolta la "'Ntifunada", il "Discorso del Badalìsc", in cui sono stati "svelati" segreti e tresche.
La tradizione tramanda che il "Badalìsc" sia un mostro simile a un drago erede di culti ancestrali. Con i suoi occhi infuocati, le lunghe corna, la bocca spalancata e il corpo rivestito da pelli di capra, da innumerevoli generazioni sconvolge l'immaginario di ogni bambino e incute timore agli uomini perché mette in piazza le loro miserie.
Il Badalìsc è una sorta di chimera, che assembla gli elementi demoniaci di gatto, caprone e serpente. È una divinità ctonia (sotterranea), legata alla terra e al culto dell'acqua: poco lontano da Andrista, incisa su una pietra, si trova una figura antropomorfa che lo richiama, con piccole corna e posta sopra una specie di calderone.
La tradizione vuole che le donne spruzzino acqua santa nei cortili e nelle stalle prima del suo passaggio, per proteggersi dai suoi poteri malefici. E nel suo Bestiario, Leonardo da Vinci lo considerava la rappresentazione della crudeltà: "Il basalischio è di tanta crudeltà che quando colla sua venenosa vista non po occidere li animali, si volta all'erbe e le piante e fermando in quelle la sua vista, le fa seccare".
domenica 30 dicembre 2012
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