mercoledì 27 febbraio 2013

Il pittore della leggenda del Palazzon di Sorgà


L'Arena
mercoledì 27 febbraio 2013


SORGÀ. Olirco Bozzini si è diviso per anni tra la sua officina e i pennelli 

Meccanico di giorno
e pittore naif di notte

In uno dei quadri premiati in importanti concorsi ha raffigurato anche la leggenda del «Palazzon»

Una vita intera da meccanico ma con una grande passione: la pittura. Olirco Bozzini, classe 1948, pensionato, non ha mai frequentato accademie o scuole d'arte ma si è lasciato guidare dalla passione per la pittura semplice, meglio conosciuta come naif, che è diventata famosa con l'altrettanto celebre Antonio Ligabue, precursore italiano di questa tecnica pittorica. Nelle scorse settimane, il nostro meccanico-pittore è balzato agli onori della cronaca quando una troupe televisiva ha girato un documentario sulla leggenda che circonda il «Palazzon del diàlo». 

Infatti, attorno alla storia sul diavolo che avrebbe abitato l'antico palazzo, Olirco ha illustrato in un suo dipinto una delle tante versioni popolari che circolano in paese. Il dipinto, regalato ad un amico, lo realizzò nel 1982 e, in quello stesso anno, fu premiato ad un concorso nazionale che si tenne ad Arona, sul Lago Maggiore. «Ho cominciato da ragazzo a fare il meccanico con mio padre», racconta Olirco, che abita in centro a Sorgà, proprio sopra la sua officina. «Di giorno aggiustavo auto e motori mentre di sera, dopo cena, magari anche fino all'una, mi ritiravo in una stanza a dipingere». Olirco ricorda che il suo primo dipinto è stato il ritratto della nipote Livia, nei primi anni Settanta. 

«Dipingevo di notte per rilassarmi ma anche perché era il momento della giornata in cui c'era il massimo silenzio e riuscivo a concentrarmi. Non si deve dimenticare che il pittore naif lavora parecchio di fantasia. Ero un autodidatta ma mi aiutò molto un caro amico, Roberto Paparini, che aveva frequentato la scuola d'arte a Mantova. Mi insegnò le tecniche della pittura che poi negli anni ho affinato». I soggetti ritratti in un centinaio di quadri sono di fantasia ma riprendono anche la vita del paese: dai bozzetti per i presepi viventi alle feste sull'aia. I quadri prodotti in 40 anni, tranne quei pochi appesi alle pareti di casa, li ha regalati. Negli anni '70, il periodo di maggior produzione, Bozzini ha partecipato a diversi concorsi e mostre, non solo in Italia, a Venezia, Como, Ciano d'Enza, Genova, ma anche a Parigi insieme a famosi pittori naif come Gino Covili, Antonio Donati, Brenno Benatti. «Nel 1975», ricorda Olirco «alla mostra dedicata ai pittori naif italiani di Genova, tra le 200 opere esposte ne furono scelte 40 da inviare al Salone delle Nazioni a Parigi: tra queste c'era anche un mio dipinto».  

lunedì 25 febbraio 2013

Gli amuleti di D'Annunzio al Vittoriale, torna il Ponte delle corna


Delle superstizioni di D'Annunzio e delle curiosità al riguardo presenti nel Vittoriale parlo anche nel mio libro, "Leggende, curiosità e misteri del lago di Garda"





L'Arena
giovedì 21 febbraio 2013

GARDONE. È stato ripristinato nel parco della villa sul lago un luogo di rituali scaramantici

Al Vittoriale torna il Ponte delle corna

«Io che ne ho messe tante ho in dono tante corna» scherzava il poeta. Faceva passar di lì i menagramo


Il Vittoriale, la villa con parco a Gardone, sulla riva bresciana del Garda, riaprirà ai visitatori dal 12 marzo anche il Ponte degli scongiuri sulla Valletta dell'Acqua pazza (già Valletta del Riotorto): vi si accederà dal Frutteto, risalendo dal Laghetto delle danze sino al Ponte delle teste di ferro; nessun annuncio, invece, sulla Torre San Marco, darsena di d'Annunzio e luogo fra i più suggestivi del Garda.
Il Vittoriale rigurgita di amuleti: corna contro la iettatura (sulla porta del Casseretto) e altri simboli, a cominciare dal diavolesco mostro, cornuto e linguacciuto, chiuso nella nicchia del tabernacolo sulla facciata della Prioria, purtroppo rubato. E come se ciò non bastasse, volle innumerevoli scritte propiziatrici a protezione della dimora. Il Ponte degli scongiuri aveva appunto funzione scaramantica. Gabriele d'Annunzio ne fece cenno nel 1925 al falegname Giacomino Scarpetta di Gardone, uno dei molti artigiani chiamati a lavorare nella «santa fabbrica»: «Mio caro Giacomo, ho in dono – per il mio Ponte degli Scongiuri – tante belle corna, io che ne ho messe tante! O ironia!» 
Il ponte finì in cartoline, come qualla che pubblichiamo e così lo descrisse Raffaello Biordi: «Al Vittoriale sopra un piccolo corso d'acqua volle il ponticello degli scongiuri, ornato di corna di cervo, di alce e di speroni di gallo: chi vi passava sopra era tenuto a pagare il pedaggio perché solo così si determinava l'aura magica propizia; ma egli vi faceva passare, a ogni buon conto, tutti quelli che riteneva menagramo e la cui nefasta influenza fosse necessario neutralizzare». Gettando una moneta in una fenditura del terreno il poeta affermava che la fortuna e ogni desiderio, pensati nell'attimo dell'offerta, sarebbero stati realizzati. 
Altro manufatto curioso della Valletta dell'Acqua pazza è il Ponte delle teste di ferro, segnalato dalla prima guida del Vittoriale del 1927, costruito in pietra bianca di Verona, con parapetti e sedili; sui pilastri una decina di grandi proiettili d'artiglieria donati al poeta dal Duca della Vittoria della Grande Guerra, il maresciallo Armando Diaz; fu ricostruito negli anni Novanta. Destava curiosità anche il Ponte delle lepri distrutto e non più ripristinato. Era stato costruito in legno, ornato da quattro lepri scolpite, sempre nel legno. La credenza popolare vuole che la lepre, poiché corre veloce, sia figlia del diavolo. Per altri, invece, sia animale guida nel mondo del mistero.A.M. 

La leggenda della Lessinia e del Baldo sposi


L'Arena
sabato 09 febbraio 2013


dall'articolo: "La Lessinia e il Baldo oggi sposi"


La Lessinia e il Baldo. Lei, la montagna: femminile, sinuosa, dolce, distesa. Lui, il monte: maschile, imponente, frastagliato, slanciato. Si guardano, di qua e di là della valle dell'Adige. La bella ragazza dei prati distesi e il gagliardo giovane dagli occhi azzurri del Garda sono innamorati, da sempre, ma non si possono toccare. La leggenda dice che fossero stati, un tempo, felici insieme, principe Montebaldo e principessa Lessinia. Felici come nessun altro nel regno delle Alpi, con le loro tre figlie: Valpolicella, Valpantena e Valdillasi. Furono le altre principesse del regno, invidiose di tanta felicità, a dividere i due innamorati, separandoli con una valle profonda. Cosicché Lessinia sporge invano sopra la valle la mano del Corno d'Aquilio, per tentare di accarezzare il suo amore, e Montebaldo, ogni sera, quando il sole si è spento dietro le sue creste, le intona una struggente serenata. 
Così racconta Alessandro Anderloni, cantastorie della Lessinia.

Cacciatori di fantasmi al castello di Bevilacqua


L'Arena
venerdì 22 febbraio 2013


BEVILACQUA. Dopo il Palazzon del diaolo, un altro gruppo di esperti verificherà se vi siano « anime» nel maniero 

I «ghost hunters» al castello
alla ricerca della bella Felicita

Anche questo team, come quello che esplorò le segrete della villa di Sorgà userà speciali strumenti di rilevazione e resterà in contatto chat con chiunque lo voglia


Lo hanno confermato i proprietari, lo hanno assicurato i sensitivi ed alcuni ospiti hanno dichiarato di averle addirittura viste.
All'interno delle mura del Castello di Bevilacqua vivrebbero numerose «anime» e, ogni tanto, si divertirebbero pure a fare qualche dispetto come spegnere e riaccendere le luci, camminare nelle stanze vuote oppure aprire le finestre dei balconi in piena notte. Nessuno, però, è mai riuscito a dare una prova tangibile della loro esistenza.
Questo mistero avrà presto fine perché domani, dalle 22, all'interno del Castello si svolgerà il sopralluogo del Gruppo investigativo attività paranormali di Roma. I Ghost hunters (letteralmente «cacciatori di fantasmi», com'è chiamato chi si occupa di questo tipo di indagini) cercheranno le eventuali anomalie del luogo dando, innanzitutto, una spiegazione logica agli eventi e, nel caso questa non venga trovata, documenteranno gli accadimenti nel modo più chiaro possibile per poi analizzare il materiale raccolto.
Attivo dal 2011, il gruppo di Roma ha svolto numerose indagini in tutta Italia, sia in castelli ed edifici storici che in abitazioni private e fa parte dell'associazione italiana Ghost Hunting, che riunisce i team nazionali più seri ed attivi di Ghost hunters.
«La maggior parte del tempo, un ghost hunter lo impiega nella ricerca di luoghi interessanti nei quali poter svolgere le indagini», spiega Gian Paolo Peroni, fondatore del gruppo. «Monitoriamo, regione per regione, i luoghi menzionati in storie e leggende locali, seguendo anche le segnalazioni che ci giungono sul nostro sito. Nel caso di Bevilacqua abbiamo letto delle leggende riguardanti la contessa Felicita e dello spirito inquieto di Alessandro Bevilacqua».
L'attrezzatura utilizzata per l'indagine sarà tecnologicamente all'avanguardia.
«Ci avvarremo di telecamere ad infrarossi e ad ultravioletti, fisse e mobili, per riuscire a monitorare gli ambienti del castello con un campo visivo maggiore rispetto all'occhio umano. Verrà utilizzata una termocamera di ultima generazione per effettuare riprese e fotografie termiche che esalteranno eventuali fonti di calore difficilmente percepibili. Inoltre, verranno utilizzati sensori di movimento, rilevatori di campi elettromagnetici, misuratori di vibrazioni, registratori digitali e rilevatori di ultrasuoni», ha proseguito Peroni.
L'approccio utilizzato nel ghost hunting è quello di instaurare un vero e proprio dialogo con le eventuali entità. «Non esiste un manuale di istruzioni da seguire alla lettera, non c'è un approccio giusto o sbagliato. Noi cerchiamo di approcciarci alle eventuali entità, analizzando i loro comportamenti tenuti nella vita terrena, come il carattere, i modi di fare e i modi di rapportarsi agli altri, rispettando comunque un mondo che a noi ad oggi è ancora poco conosciuto».
L'indagine non sarà aperta al pubblico, ma sarà possibile assistere online sul sito www.giaproma.it alla voce «giap live» dove, attraverso la chat, si potrà anche interagire con i ghost hunter esprimendo le proprie opinioni, domande, consigli e anche critiche. La chat sarà monitorata in tempo reale da una persona del gruppo, che comunicherà le segnalazioni agli altri membri. 


sabato 2 febbraio 2013

Dopo 1.650 anni svelato il volto di San Zeno


L'Arena
venerdì 01 febbraio 2013

SCOPERTE. Presentati i risultati dell'analisi eseguita dal laboratorio di medicina legale dell'ateneo scaligero sui resti del patrono. Ricostruita al computer la fisionomia 

Dopo 1.650 anni svelato il volto di San Zeno

Il «Vescovo moro» aveva davvero la pelle scura. Le caratteristiche somatiche sono quelle della popolazione nordafricana, e avallano la provenienza dal Maghreb



Il «Vescovo moro» era «moro» per davvero. La scienza conferma la verità della fede, in un incontro emozionante e coraggioso che ha consentito non soltanto di procedere alla ricostruzione storica, ma di scoprire dettagli inediti e perfino, avvalendosi delle più sofisticate tecnologie, di dare un volto al patrono di Verona. Sono stati infatti presentati ieri mattina in Vescovado gli esiti scientifici della ricognizione del corpo di San Zeno, decisa ancora nei mesi estivi per la ricorrenza dei 1.650 anni dall'elevazione a vescovo della nostra città. E tutte le analisi realizzate coincidono nel confermare che quei resti appartengono ad un uomo dalla pelle scura (risolvendo secoli di controversie), vissuto nel IV secolo, cioè all'epoca di San Zeno, offrendo molte indicazioni sulle sue caratteristiche fisiche. 
«Quando abbiamo deciso di procedere a questo lavoro non sapevamo quali risultati avremmo raggiunto», ha spiegato il vescovo Giuseppe Zenti, intervenuto alla presentazione dei risultati con l'abate di San Zeno monsignor Gianni Ballarini. A spiegare il lavoro compiuto Franco Alberton, medico legale, il professor Fiorenzo Facchini, professore emerito alla scuola di specializzazione in Archeologia dell'Università di Bologna, il professor Franco Tagliaro, direttore di Medicina legale dell'Università di Verona, con i colleghi Domenico di Leo e Stefania Turrina. «Erano possibili anche esiti non previsti», ha aggiunto monsignor Zenti. «Ma sono convinto che sia giusto approdare alla verità della realtà grazie ai progressi della scienza. Anche se lo scheletro analizzato non fosse stato identificabile con San Zeno, il culto sarebbe rimasto inalterato, potevamo anche imbatterci in un falso storico».
Ma tutto lascia intendere, per lo meno fino all'esito attuale delle analisi, che potranno essere ulteriormente approfondite, che quello è davvero lo scheletro di San Zeno. Lo confermano le analisi medico legali e tossicologico forensi eseguite a Verona: come ha spiegato Tagliaro, «nelle ossa di San Zeno si rileva una presenza molto più alta del normale di piombo e mercurio, dato presente anche nell'analisi dei resti di Cangrande. Il piombo si spiega con il fatto che di tale elementi erano fatti gli utensili da cucina, il mercurio era usato come antibatterico, forse assunto come curativo».
Ma il momento più affascinante è stato sicuramente quello della ricostruzione facciale. «Attraverso un programma particolare, abbiamo ricostruito al computer il volto del santo», ha spiegato ancora Tagliaro. «Si tratta di eseguire una tac del cranio, quindi, mediante modelli informatici, viene realizzato un manufatto che corrisponde alla struttura del cranio e su questo il programma disegna la tipologia facciale che meglio si adatta».
Una tecnica investigativa tipicamente forense, di quelle che in genere si impiagano per una complessa scena del crimine, questa volta usata per scoprire verità lontane. 
Altro dato essenziale ricavato, la provenienza geografica. «Il dna estratto dal frammento femorale di San Zeno», ha detto De Leo, «ha fornito un profilo che conferma che si tratta di spoglie di un soggetto di sesso maschile e ne colloca l'origine di provenienza nell'area mediterranea-nord africana, ipotesi che risulta dunque del tutto compatibile con l'origine mauritana di San Zeno, la zona attualmente costituita da Tunisia e Algeria».
«Da rilevare anche che la reliquia mostra uno stato di conservazione davvero eccezionale», ha concluso Alberton. «Questo potrebbe significare una speciale attenzione devozionale nei secoli, che avrebbe permesso questa straordinaria qualità dei resti: dunque, una conferma in più che si trattava di una personalità importante, oggetto di venerazione».  




LO STUDIO COMPARATO. L'indagine dell'Università di Bologna coincide con quella scaligera

Il metodo del radiocarbonio conferma: visse nel IV secolo

L'archeologo Facchini: «I resti ci dicono che era alto 165-167 centimetri e morì tra i 50 e i 60 anni»

Oltre all'Istituto di Medicina legale del nostro ateneo, anche il laboratorio di Bioarcheologia e Osteologia forense dell'Università di Bologna ha realizzato una serie di analisi, avvalendosi pure della collaborazione di altri istituti, che coincidono nei risultati. 
«Per quanto riguarda la datazione», ha spiegato il professor Facchini, «i reperti sono stati datati dal centro di datazione e diagnostica dell'Univesità del Salento mediante la determinazione del radiocarbonio con il metodo dell'acceleratore: ne è risultato che i reperti sono compatibili con i dati storici relativi a San Zeno, vissuto nel IV secolo e morto dopo il 372».
In merito all'identificazione antropologica, ha proseguito Facchini, «i reperti risultano in ottimo stato di conservazione: si riferiscono ad uno stesso individuo di sesso maschile. La stima dell'età della morte, determinata dal grado di sinostosi delle suture craniche, da alcuni caratteri del bacino, da numerosi segni di artrosi, suggerisce un'età superiore ai 50 anni: diciamo tra 50 e 60 anni. La forma del cranio è ovoide corto, la faccia, le orbite e il naso sono alti. Assai marcate le arcate sopraorbitarie, il che conferma un'origine dall'Africa settentrionale. La statura, stimata dalla lunghezza degli arti con diversi metodi, doveva essere di 165-167 centimetri, che può considerarsi una statura media. Dal punto di vista antropologico, il soggetto può considerarsi di tipo mediterraneo europoide, largamente diffuso in epoca romana nelle regioni che si affacciavano sul Mediterraneo, compresa l'Africa settentrionale».
Altri dati arrivano dall'esame del dna eseguito nel laboratorio di antropologia molecolare di Firenze. «Questi hanno messo in evidenza», spiega ancora Facchini, «l'alleale G ancestrale responsabile della pigmentazione scura della pelle: la presenza di questo alleale in un soggetto che non ha però caratteristiche morfologiche negroidi, ma è riconducibile al tipo mediterraneo, indice a supporre qualche mescolanza nei suoi antenati con il ceppo melanodermo, caratteristico delle popolazioni subsahariane. Questa caratteristica si accorderebbe proprio con quanto la tradizione riferisce circa il colore scuro della pelle di San Zeno». A.G. 



LA VITA. È stato l'ottavo presule. Molti sono i miracoli a lui attribuiti

Protettore dei pescatori,
domò le acque dell'Adige


Zeno, o Zenone fu l'ottavo vescovo di Verona. La maggior parte della sua vita è avvolta nella leggenda, ma pare fosse originario della Mauretania, e per questo vi si fa riferimento come a «il Vescovo Moro». Fu vescovo di Verona dal 362 al 371 o 372 o 380, anno della sua morte.
Secondo le fonti agiografiche visse in austerità e semplicità, tanto che pescava egli stesso nell'Adige il pesce per il proprio pasto. Per questo è considerato protettore dei pescatori d'acqua dolce. Era comunque persona colta ed erudita, formatosi alla scuola di retorica africana, i cui maggiori esponenti furono Apuleio di Madaura, Tertulliano, Cipriano e Lattanzio. Sono giunti fino a noi numerosi suoi sermoni, di cui 16 lunghi e 77 brevi, che testimoniano come, nella sua opera di evangelizzazione, si confrontò con il paganesimo ancora diffuso e si applicò per confutare l'arianesimo. 
I miracoli che le leggende devozionali raccontano sono parecchi. La leggenda più straordinaria è però riferita da papa Gregorio I (Gregorio Magno) e narra di un improvviso straripamento delle acque dell'Adige che sommerse tutta la città fino ai tetti delle chiese, al tempo del re Longobardo Autari. Le acque arrivarono alla cattedrale dove il re aveva appena sposata la bella principessa Teodolinda, precisa il monaco Coronato, ma si sarebbe arrestata improvvisamente, in sospensione, sulla porta, tanto da poter essere bevuta, ma senza invadere l'interno. Ciò avrebbe determinato la salvezza dei veronesi, che, pur non potendo uscire, poterono resistere finché la piena non calò. 
La sua festa è fissata nel martirologio al 12 aprile, ma la diocesi di Verona lo celebra il 21 maggio, giorno della traslazione del corpo fatta dai santi Benigno e Caro dalla temporanea sepoltura nella Cattedrale alla zona dell'attuale Basilica, il 21 maggio 807.  




La Candelora nella Valle dell'Oglio

Voce di Mantova
1 febbraio 2013