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domenica 4 agosto 2013

recensione: Taltos Il ritorno, Anne Rice





Rileggere un autore dopo anni talvolta è un rischio non da poco. A volte la "magia" della sua scrittura si perde, ci si arriva a domandare cosa si è trovato in quell'opera o in generale in quello scrittore, e così (un po' come succede nel rivedere i vecchi fidanzati!) anche la bellezza di quello che è stato rischia di scomparire, coperta da un nuovo sentimento di delusione.

Non è così, per me, con Anne Rice, scrittrice che ha accompagnato i miei anni di "studio matto e disperatissimo" non solo dei veri e propri classici dell'horror ma anche di quello che ci girava intorno, delle opere moderne e delle scritture più contemporanee.

La Rice per me ha sempre rappresentato l'equilibrio tra il tema che mi interessava (il mondo "vampirico" in primis, ma anche il tema delle streghe e delle casate di streghe) e il suo sviluppo in una narrazione personale, concreta, e soprattutto accessibile al lettore. Sì, perché nonostante i suoi detrattori, Anne Rice è una di quelle scrittrici che riescono a dare ritmo alla storia, a dare personalità ai personaggi, a essere coerente e a regalare ai lettori il piacere di abbandonarsi alla lettura. Certo, a qualcuno demoni e vampiri tormentati da sentimenti umani potranno anche non piacere, ma non voglio entrare nella sfera dei gusti personali.

Quello che mi preme sottolineare è come con "Taltos Il ritorno" di Anne Rice dopo anni di lontananza letteraria non sia difficile rituffarsi nel mondo delle streghe Mayfair e ritrovare un piacere perso di vista (forse per troppo tempo, mio malgrado) ma anche un piccolo grande mondo che gli anni (quelli in cui ci si dimenticano i nomi dei personaggi o cosa fosse successo nel libro precedente per intenderci) non hanno tutto sommato reso inaccessibile. Insomma, dopo 10 anni leggere il seguito di un romanzo di Anne Rice (anzi di due, L'ora delle streghe e Il demone incarnato) significa vivere un'emozione ex novo, e soprattutto l'abilità di un'autrice si può misurare anche dal fatto che un libro viva di vita propria, senza doversi per forza rileggere i precedenti.

La storia di Rowan e Michael, arricchita in modo perfetto in questo capitolo dalle vicende di Mona e degli altri comprotagonisti, è inutile dire che è una saga sempre attuale. Sebbene si possa notare che sono passati esattamente 20 anni dalla scrittura di questo romanzo, nella narrazione non si sente la mancanza di ipad o smartphone, perché al momento del bisogno la tecnologia c'è, ma soprattutto ci sono la scrittura, la storia e la trama, cioè quel modo particolarissimo di intrecciare le storie dei personaggi e delle vicende che è il segno speciale dello scrittore e della scrittrice.

Forse perché in questi anni all'antica passione per l'orrore si sono affiancate lo studio delle religioni pagane e del celtismo (da cui Anne Rice in questo caso attinge smaliziata per dare profondità ad alcuni personaggi e alla creazione del suo proprio folclore), ma a Taltos il ritorno non pare mancare proprio nulla per essere una piacevole lettura. O perlomeno, a me non è mancato nulla.

Simona Cremonini



TRAMA:
Dietro i vetri di un grattacielo newyorkese un insolito personaggio osserva la neve ricoprire ogni cosa. Il suo nome è Ash Templeton. Agli occhi del mondo è un affascinante imprenditore, ma dietro il suo strano aspetto si cela un cupo segreto: è l'ultimo re dei Taltos, forse l'unico sopravvissuto di un popolo ormai estinto, sospeso tra storia e mito. Un re millenario la cui fine pare ormai segnata, a dispetto della leggenda che lo vuole destinato a tornare. Ma nelle verdi campagne inglesi qualcuno trama per assistere nuovamente all'arcano rituale dell'accoppiamento di quella favolosa razza, un sogno folle che rischia di far crollare le austere mura dell'Ordine del Talamasca ed à già costato la vita a uno dei suoi membri più illustri, imparentato con il clan delle streghe Mayfair. Una minaccia che mette a rischio l'intera famiglia nel cui sangue si cela lo spaventoso potere di generare i Taltos, un dono sciagurato che ha fatto sprofondare la bellissima Rowan in un limbo di torpore. Sarà lei a dover emergere da quelle nebbie per far fronte al pericolo e combattere i propri demoni. Un compito crudele che la porterà a incrociare la strada di Ash...

giovedì 24 gennaio 2013

recensione: "Il grande fiume Po"


Tra saggio e racconto, percorrendo una linea armoniosa che ondeggia tra la storia e le leggende fluviali: come il fiume in piena quando scende verso valle, Guido Conti attinge e trascina con sé tutto ciò che può per raccontare “Il grande fiume Po” e le sue correnti, che nei secoli insieme hanno spesso scritto indice e trama per uomini, popoli, viaggiatori, letterati e avventurieri che hanno abitato i suoi argini e sono transitati per queste terre.

L’autore inizia il suo viaggio da Plan del Re, dove il Po si mostra per la prima volta tra i prati; da qui ne percorre fisicamente il tragitto fino alla foce, dove l’acqua dolce si confonde con quella salata, per raccontare la geografia e la storia delle sue sponde. Ma soprattutto ne riesplora le storie, i miti, le narrazioni, che da sempre si sono identificate con l’Eridano, l’antico fiume narrato fin dagli albori della civiltà greca da Esiopo, e che tutt’oggi continuano a essere oggetto di ispirazione per autori e cantastorie contemporanei. Per Conti, parmigiano, non è solo un viaggio nella vita delle sue terre, ma lo è anche dentro se stesso, lungo le tracce che il Po lascia dietro e attorno a sé e che non possono certo lasciare indifferente chi vive in uno dei numerosi luoghi lambiti dal fiume. Posti differenti, città, affluenti, paesini, che possiedono ciascuno un proprio carattere. “Il Po che passa per Torino e accarezza il Parco del Valentino è diverso da quello dell’Oltrepò pavese e da quello che comincia a Piacenza, e non è lo stesso che solca la pianura fino a Mantova; da Ferrara al delta il fiume cambia di nuovo aprendosi come un fiore di canali verso il mare. Il Po è sempre se stesso ma è sempre diverso ogni volta che lambisce un territorio. Una metamorfosi continua”.



La storia di un fiume come il Po è fatta di letteratura e musica, delle Canottieri sportive ma anche delle guerre qui combattute e delle difficoltà affrontate per sopravvivere a dispetto del fiume stesso: Il desiderio di governare le acque del grande fiume, la realizzazione dei canali, degli argini, le bonifiche delle paludi con il prosciugamento del lago Gerundo intorno all’anno Mille: a nord del Po tutto questo ha il sapore della battaglia. Strappare la terra al fiume per prosciugare gli acquitrini. Vincere la malaria è stata una lotta millenaria che ha portato alla costruzione di complessi canali di bonifica, all’innalzamento degli argini, alla creazione di pennelli nel corso del Po per guidare la corrente che rode le sponde. È una lotta con un mostro, il grande fiume, che alza la schiena quando vuole, rompe gli argini e allaga la campagna ogni volta, mostrando agli uomini che la natura regna sovrana anche dove l’uomo progetta, costruisce e ordina con la sua intelligenza".

In oltre 400 pagine, che letteralmente “scorrono” e che possono essere anche sfogliate e lette secondo un proprio ordine e percorso, la memoria del fiume diventa la vera protagonista attraverso gli incontri, le letture, le fotografie, le cartine, le chiacchierate e i momenti di silenzio che a Guido Conti sono necessari per raccontare una storia semplice ma oscura, stratificata e mai banale, perché il fiume può essere silenzioso e a volte discreto, ma mai è indifferente: Una presenza-assenza che attraversa la città e la pianura verso il mare. Lui porta via anche le nostre storie e le voci del mondo, un fiume infernale, nel buio della notte”.


Simona Cremonini

domenica 23 dicembre 2012

recensione: “Storie di anguane”


Oggi inauguro una rubrica (aperiodica) di recensioni a libri che ho letto e che ho ritenuto significativi nell'ambito di misteri e leggende italiane. 
In particolare il tema del libro con cui apro mi è molto caro, perché ne ho trattato anche nel mio libro relativamente agli avvistamenti di anguane sul lago di Garda, nonché in alcuni miei racconti.





recensione “Storie di anguane” di Anguanamadre, Anguana Edizioni, 2010


Una raccolta di storie popolari, oppure di racconti scritti in forma di storia popolare? Che cosa rappresenti “Storie di anguane” non è così chiaro, ma nemmeno così importante per gustarne la lettura. Sta di fatto che una soave magia percorre questo libro, dove sono narrate le "situazioni topiche" che riguardano il mondo delle anguane, ma anche alcune disgressioni più particolari e originali su queste figure, e soprattutto dove il lettore può farsi un'idea consistente di quello che, un tempo, erano queste creature magiche e naturali che costituivano un particolare spaccato della fantasia contadina.

Il volume è piacevole, scorrevole, le storie sono idilliache e semplici eppure affascinanti, adatte anche ai lettori più giovani, non solo del nordest, che vogliono conoscere miti e leggende anguanesche.
Di sicuro “Storie di anguane” è un libro che non può lasciare indifferenti, grazie ai numerosi sottintesi simbolici e sociali, e che contribuisce a preservare la memoria dei miti popolari di un tempo, patrimonio che stiamo perdendo in questi anni mano a mano che perdiamo i nostri nonni e il loro mondo antico fatto anche di paura e fantasia.

Decisamente 16 euro spesi bene, e un libro che non può mancare nella biblioteca degli appassionati di tradizioni e leggende italiane, di fate e folletti e di fiabe.

Simona Cremonini



QUARTA DI COPERTINA:
Le Anguane, le favolose “donne magiche”, un po’ fate e un po’ streghe, potenti guaritrici e sciamane, le cui storie si narravano attorno al fuoco e nei “filò” contadini, dal Veneto fino al Friuli, e oltre, ritornano, vive ed ammaliatrici più che mai, in questo volume, che raccoglie 33 storie, tratte dalla tradizione popolare orale di tutto il Nord-Est.
Il libro è arricchito da una introduzione monografica su queste figure mitiche, che racconta dettagliatamente chi sono, dove abitano, che cosa fanno, da dove vengono... e dove stanno andando, le Signore Anguane.
Un libro pieno di magia e mistero, tratto dal primo manoscritto di Anguanamadre.