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giovedì 13 novembre 2014

Fiera di Cavalcaselle, ne parlava anche Dante?

L'Arena
giovedì 13 novembre 2014

Dante ne aveva parlato
nel XX canto dell'Inferno


Anche Dante avrebbe conosciuto la fiera di Cavalcaselle durante il suo primo soggiorno a Verona, ospite della Signoria scaligera. Lo sostiene il professor Giorgio Vandelli, appassionato di storia locale, che in una terzina del XX canto dell'Inferno ha riconosciuto il colle San Lorenzo, luogo di ritrovo dei pastori che praticavano la transumanza dal Baldo a valle e viceversa. La terzina precede quella dedicata a Peschiera e alla fortezza che andava delineandosi sotto la dominazione scaligera. Ecco i versi che farebbero riferimento al colle San Lorenzo e alla fiera: «Luogo è nel mezzo là dove 'l Trentino / pastore e quel di Brescia e 'l Veronese / segnar porìa, se fesse quel cammino». «Questa terzina è una delle più discusse», spiega, «perché nessuno dei commentatori nazionali era stato informato dell'esistenza di una fiera dei pastori sul colle di San Lorenzo, che domina Peschiera, «seduta in basso», e anche l'inizio del fiume Mincio che si dirige verso il Po». La marcia in più della sua interpretazione starebbe nella descrizione del territorio: prima l'immagine del colle, luogo d'incontro dei pastori; poi quella di Peschiera, visibile dal colle con il lago; infine, nelle terzine seguenti, l'immagine del Mincio e del lago che «fassi fiume giù per verdi paschi». Curiosità nella curiosità, Vandelli ha studiato questi versi su una vecchia edizione della Commedia edita da Hoepli con commento critico di Giuseppe Vandelli, filologo e letterato modenese vissuto tra il 1865 e il 1937, che il «nostro» Vandelli non esclude essere un suo lontano parente. Il commentatore modenese era giunto però a conclusioni diverse, seppur non definitive: aveva individuato – fornendo la versione poi accreditata da altri critici danteschi – quel «luogo nel mezzo» nell'isola del Garda, la più grande del lago situata sulla sponda bresciana davanti al promontorio di San Fermo nel Comune di San Felice del Benaco. I «pastori» non sarebbero così gli uomini dediti alla pastorizia, bensì i vescovi di Trento Brescia e Verona cui l'isola era soggetta ecclesiasticamente. «Chi vuole discuterne può venire sul colle durante la fiera domenica e lunedì», annuncia Giorgio Vandelli aprendo il confronto. K.F.

martedì 1 luglio 2014

A Gazzo Veronese l'antica sagra del Ceson, tra storia e leggenda


L'Arena
giovedì 26 giugno 2014



A Gazzo l'antica sagra del Ceson


Torna puntuale, dal 12 al 16 agosto, la sagra de Ceson di S. Pietro in Valle di Gazzo Veronese, per festeggiare la Madonna Assunta, fra specialità locali e musica suonata da note orchestre di liscio. La sagra si tiene nei pressi della Chiesa Benedettina denominata "ceson", dove a Ferragosto si celebrano Messa e Processione dell´Assunta. Al “Ceson” è legata una singolare leggenda.
Presso la chiesa di S.Pietro in Monastero (nome ufficiale del Ceson) tra Tartaro e Tione, un tempo si estendeva un'insalubre palude da cui provengono tristi rintocchi di campane fantasma fin dai tempi dell'Impero Romano. La chiesa sarebbe stata costruita dove un tempo sorgeva la colonia romana di Gazza, o di Carpania, dove si idolatrava il dio Appo, raffigurato come un'onda incatenata che commemorava il lavoro fatto per erigere imponenti mura, con 100 torri, che proteggevano la località dalla minaccia delle gonfie acque del fiume e della palude.
I tristi suoni che sembrano rieccheggiare in precisi periodi, avrebbero annunciato la distruzione dell'antica cittadina di Carpania, invasa dalle acque e non più protetta dal simulacro del dio Appo, rubata dal principe locale. Questa è la leggenda, ma si udirà certamente il rintocco di una vera campana il giorno di Ferragosto, il più atteso della Sagra del Cesòn.

domenica 4 maggio 2014

Carpanea, la leggenda va in tv


L'Arena
mercoledì 30 aprile 2014


CASALEONE. Il filmato su «Geo»

La leggenda va in tv
Documentario Rai
sul mito di Carpanea


Girato nel 2012 in più paesi con molti figuranti del posto

La leggenda di Carpanea in onda su Rai tre. Oggi, alle 17, durante il programma tv «Geo  Geo», gli spettatori potranno scoprire il mito della città sorta in una sconfinata conca protetta dalle acque dei fiumi Adige e Tartaro: la leggenda dell'«Atlantide del Basso veronese». Il documentario fu registrato a settembre del 2012, quando la troupe, guidata dal regista tv Michelangelo Pepe, curatore dei servizi di Alberto Angela per SuperQuark, della trasmissione Ulisse e di Geo, decise di raccontare attraverso l'occhio della telecamera il mito dell'«Atlantide della Bassa».
«Per la Pro loco Carpanea, che da anni lavora per la promozione del territorio», dice Claudia De Fanti, presidente del sodalizio, «si tratta un'importante occasione per dare visibilità all'operosità dei volontari, ben preparati e orgogliosi delle tradizioni storiche della nostra cultura».
Il mito di Carpanea narra di una città circondata da sette ordini di mura e difesa da cento torri, con una grande diga che la proteggeva dalle acque dei maggiori fiumi che le scorrevano intorno. Un giorno, il re della città, in lotta con i sacerdoti, penetrò nel tempio e trafugò la statua del dio Appo gettandola in acqua. La folla, per cercare di recuperare il simulacro, si precipitò sulle dighe per aprirle e prosciugare il bacino d'acqua. Il re, visto il disastro, impazzì, mentre la città sprofondò per sempre sott'acqua. Leggenda vuole che ogni anno, nella notte di Pentecoste, chi si trova da solo lungo il fiume, senta un pianto seguito dal suono di una campana: è la figlia del re di Carpanea, colei che doveva sposare il giovane capo dei sacerdoti e che ora vive sotto le acque piangendo sul suo sogno d'amore finito. Le località maggiormente riprese sono: Casaleone, Gazzo Veronese, Salizzole, Cerea e Sanguinetto.
«Desidero ringraziare gli attori della compagnia del teatro Salus di Legnago e tutte coloro che hanno dato il loro contributo al documentario», dichiara De Fanti. «Mi auguro», conclude la presidente, «che la trasmissione incrementi il turismo rurale e dia nuovo impulso al nostro territorio, a vederlo con occhi diversi, apprezzandone le caratteristiche». F.S.

venerdì 19 luglio 2013

Le colline del basso lago di Garda si tingono di mistero


COMUNICATO STAMPA - Tornano i viaggi nel mistero locale della giornalista Simona Cremonini, che dopo la guida per viaggiare tra le leggende del lago di Garda propone per l’estate 2013 il nuovo “Misteri Morenici”: un viaggio nella fantasia popolare, fra i culti, i simboli, le storie fantastiche e le leggende che ancora oggi sedimentano lungo le colline moreniche del basso lago di Garda.
“Misteri Morenici” segna un percorso affascinante e inedito tra le province di Mantova, Brescia e Verona, narrando gli enigmi di quello che, come ricordato nel libro e in fascetta, il Solitro ha definito “il più vasto, perfetto ed ammirevole anfiteatro morenico, che vanti l'Italia”.


Medole, Cavriana, Solferino, Castiglione delle Stiviere, Montichiari, Lonato del Garda, Valtenesi, Desenzano del Garda, Lugana, San Martino della Battaglia, Pozzolengo, Peschiera del Garda, Ponti sul Mincio, Monzambano, Volta Mantovana, Guidizzolo, Valeggio sul Mincio, Castelnuovo del Garda, Sona, Custoza, Lazise: sono le tappe di questo tragitto mistico, a tratti esoterico, di cui si può andare alla scoperta con la nuova “guida del mistero”. La copertina è dedicata al Monte Corno di Desenzano del Garda, santuario naturale teatro di antichi culti di eco celtica.

Misteri Morenici, come spiega la quarta di copertina, è “Una passeggiata tra le colline moreniche del basso lago di Garda lungo le storie di spettri e fantasmi, mostri e animali simbolici, antichi culti mai sopiti tra religione celtica e cristiana, mitologia, streghe, creature fantastiche, fate, leggendarie città sommerse, tavolette enigmatiche, presenze infernali e trabocchi sulfurei”.

Il libro è edito da PresentARTsì, "bottega di prodotti culturali" di Castiglione delle Stiviere, che della stessa autrice ha pubblicato lo scorso anno i due fortunati libri precedenti “(I) racconti fantastici del Garda” e il saggio “Leggende, curiosità e misteri del lago di Garda”, uscito in queste settimane nella versione inglese, nonché nel 2013 Il breve saggio “La paura danza in collina”, che attraverso un viaggio nel rapporto tra letteratura horror e collina completa idealmente Misteri Morenici.

I libri sono distribuiti presso la libreria Mr Libro di Castiglione delle Stiviere e nelle altre librerie e punti vendita indicati sul sito www.leggendedelgarda.com, nonché sulla pagina facebook di PresentARTsì.

Editor, giornalista, autrice di narrativa e di articoli su folklore e leggende, Simona Cremonini ha presentato racconti su e-book e pubblicazioni cartacee, tra cui tra i più recenti "Il gioiello di Crono" e “Storie di gente a pezzi” (Delmiglio Editore 2012), “La bottega dell’erborista” (Delmiglio Editore 2013). Piazzata in diversi concorsi letterari di genere, ha vinto l’edizione 2005 del Premio Akery, sezione horror.

Per acquistare  i libri e per informazioni: tel. 0376 636839 – associazionepresentartsì@gmail.com.

giovedì 11 aprile 2013

Catturato il mostro del fiume Adige


L'Arena 
giovedì 28 marzo 2013



MONTEFORTE. Eccezionale cattura vicino a Ponte Catena, in città: il grosso esemplare pescato con un'esca artificiale

Trota di 10 chili: preso il «mostro dell'Adige»

Gabriele Bolla pensava di avere la lenza impigliata Ha impiegato 50 minuti per portare a riva il pesce



Sotto ponte Catena un pescatore montefortiano acchiappa «il mostro dell'Adige». Gabriele Bolla ci ha messo 50 minuti per tirar fuori dall'acqua una trota marmorata di 10 chili e 200 grammi. «Un esemplare spettacolare, 105 cm dalla testa alla coda, 15 anni d'età stimati. Se ancora ci penso, mi tremano le gambe», dice emozionato il socio dell'Associazione pescatori di Verona.
E' successo tutto sabato mattina: «Volevo andare sotto ponte Catena a tutti i costi e ho dovuto faticare per convincere mio cugino Christian. Alla fine ho vinto io e siamo approdati in città. Lui si è spostato verso valle e io sono rimasto sotto il ponte», racconta Bolla, pescatore da sempre, «e ho buttato la lenza al largo. Dopo un po' ho sentito dei colpi molto forti, ma francamente pensavo di essermi impigliato in qualcosa. Ho iniziato a tirare e ho visto la canna piegarsi in modo impressionante».
Tira e tira, a un certo punto dal pelo dell'acqua fa capolino la testa enorme di una trota. «Mi sono messo a urlare e ho cominciato a tirare ma avevo il braccio piegato. E' venuto in aiuto un ragazzo che era lì a pescare e nel frattempo mio cugino è corso verso di me. Io tenevo la canna e loro mi aiutavano: ci abbiamo messo 50 minuti a farla uscire dall'acqua».
Quando hanno capito cosa aveva abboccato i tre sono rimasti a bocca aperta: «Un mostro, il mostro dell'Adige. Si sa che lì è un posto buono, ma una roba così! Il massimo che mi era capitato, fino a sabato, erano esemplari sui tre chili». Bolla ha dovuto prender fiato davanti ad un bicchiere e s'è rifugiato nel baretto all'angolo di ponte Catena: «Il barista è rimasto sconvolto. Mi ha chiesto una foto perchè una roba simile non gli è mai capitato di vederla in tanti anni».
La trota da guinness Bolla se l'è portata via a spalle, come un trofeo di caccia più che di pesca e quando l'ha guardata con attenzione è sbiancato: «Mai visti denti simili! Nella bocca del pesce ci entrava tutta la mano e il polso». A casa sua la foto del trofeo è un ingrandimento già in cornice. La trota, invece, beffata da un'esca artificiale in metallo che nel movimento ondulante imita un argenteo pesciolino, è finita nel congelatore: «Non so come si chiamasse, ma vorrei ringraziare quel ragazzo che mi ha aiutato. Ha fatto a tempo a dirmi che da due settimane è in cassa integrazione e che in 15 giorni di pesca quotidiana aveva preso giusto due trote da sei etti: beh, qua ce n'è anche per lui che quasi quasi sveniva davanti ad un esemplare del genere».P.D.C.

sabato 2 febbraio 2013

Dopo 1.650 anni svelato il volto di San Zeno


L'Arena
venerdì 01 febbraio 2013

SCOPERTE. Presentati i risultati dell'analisi eseguita dal laboratorio di medicina legale dell'ateneo scaligero sui resti del patrono. Ricostruita al computer la fisionomia 

Dopo 1.650 anni svelato il volto di San Zeno

Il «Vescovo moro» aveva davvero la pelle scura. Le caratteristiche somatiche sono quelle della popolazione nordafricana, e avallano la provenienza dal Maghreb



Il «Vescovo moro» era «moro» per davvero. La scienza conferma la verità della fede, in un incontro emozionante e coraggioso che ha consentito non soltanto di procedere alla ricostruzione storica, ma di scoprire dettagli inediti e perfino, avvalendosi delle più sofisticate tecnologie, di dare un volto al patrono di Verona. Sono stati infatti presentati ieri mattina in Vescovado gli esiti scientifici della ricognizione del corpo di San Zeno, decisa ancora nei mesi estivi per la ricorrenza dei 1.650 anni dall'elevazione a vescovo della nostra città. E tutte le analisi realizzate coincidono nel confermare che quei resti appartengono ad un uomo dalla pelle scura (risolvendo secoli di controversie), vissuto nel IV secolo, cioè all'epoca di San Zeno, offrendo molte indicazioni sulle sue caratteristiche fisiche. 
«Quando abbiamo deciso di procedere a questo lavoro non sapevamo quali risultati avremmo raggiunto», ha spiegato il vescovo Giuseppe Zenti, intervenuto alla presentazione dei risultati con l'abate di San Zeno monsignor Gianni Ballarini. A spiegare il lavoro compiuto Franco Alberton, medico legale, il professor Fiorenzo Facchini, professore emerito alla scuola di specializzazione in Archeologia dell'Università di Bologna, il professor Franco Tagliaro, direttore di Medicina legale dell'Università di Verona, con i colleghi Domenico di Leo e Stefania Turrina. «Erano possibili anche esiti non previsti», ha aggiunto monsignor Zenti. «Ma sono convinto che sia giusto approdare alla verità della realtà grazie ai progressi della scienza. Anche se lo scheletro analizzato non fosse stato identificabile con San Zeno, il culto sarebbe rimasto inalterato, potevamo anche imbatterci in un falso storico».
Ma tutto lascia intendere, per lo meno fino all'esito attuale delle analisi, che potranno essere ulteriormente approfondite, che quello è davvero lo scheletro di San Zeno. Lo confermano le analisi medico legali e tossicologico forensi eseguite a Verona: come ha spiegato Tagliaro, «nelle ossa di San Zeno si rileva una presenza molto più alta del normale di piombo e mercurio, dato presente anche nell'analisi dei resti di Cangrande. Il piombo si spiega con il fatto che di tale elementi erano fatti gli utensili da cucina, il mercurio era usato come antibatterico, forse assunto come curativo».
Ma il momento più affascinante è stato sicuramente quello della ricostruzione facciale. «Attraverso un programma particolare, abbiamo ricostruito al computer il volto del santo», ha spiegato ancora Tagliaro. «Si tratta di eseguire una tac del cranio, quindi, mediante modelli informatici, viene realizzato un manufatto che corrisponde alla struttura del cranio e su questo il programma disegna la tipologia facciale che meglio si adatta».
Una tecnica investigativa tipicamente forense, di quelle che in genere si impiagano per una complessa scena del crimine, questa volta usata per scoprire verità lontane. 
Altro dato essenziale ricavato, la provenienza geografica. «Il dna estratto dal frammento femorale di San Zeno», ha detto De Leo, «ha fornito un profilo che conferma che si tratta di spoglie di un soggetto di sesso maschile e ne colloca l'origine di provenienza nell'area mediterranea-nord africana, ipotesi che risulta dunque del tutto compatibile con l'origine mauritana di San Zeno, la zona attualmente costituita da Tunisia e Algeria».
«Da rilevare anche che la reliquia mostra uno stato di conservazione davvero eccezionale», ha concluso Alberton. «Questo potrebbe significare una speciale attenzione devozionale nei secoli, che avrebbe permesso questa straordinaria qualità dei resti: dunque, una conferma in più che si trattava di una personalità importante, oggetto di venerazione».  




LO STUDIO COMPARATO. L'indagine dell'Università di Bologna coincide con quella scaligera

Il metodo del radiocarbonio conferma: visse nel IV secolo

L'archeologo Facchini: «I resti ci dicono che era alto 165-167 centimetri e morì tra i 50 e i 60 anni»

Oltre all'Istituto di Medicina legale del nostro ateneo, anche il laboratorio di Bioarcheologia e Osteologia forense dell'Università di Bologna ha realizzato una serie di analisi, avvalendosi pure della collaborazione di altri istituti, che coincidono nei risultati. 
«Per quanto riguarda la datazione», ha spiegato il professor Facchini, «i reperti sono stati datati dal centro di datazione e diagnostica dell'Univesità del Salento mediante la determinazione del radiocarbonio con il metodo dell'acceleratore: ne è risultato che i reperti sono compatibili con i dati storici relativi a San Zeno, vissuto nel IV secolo e morto dopo il 372».
In merito all'identificazione antropologica, ha proseguito Facchini, «i reperti risultano in ottimo stato di conservazione: si riferiscono ad uno stesso individuo di sesso maschile. La stima dell'età della morte, determinata dal grado di sinostosi delle suture craniche, da alcuni caratteri del bacino, da numerosi segni di artrosi, suggerisce un'età superiore ai 50 anni: diciamo tra 50 e 60 anni. La forma del cranio è ovoide corto, la faccia, le orbite e il naso sono alti. Assai marcate le arcate sopraorbitarie, il che conferma un'origine dall'Africa settentrionale. La statura, stimata dalla lunghezza degli arti con diversi metodi, doveva essere di 165-167 centimetri, che può considerarsi una statura media. Dal punto di vista antropologico, il soggetto può considerarsi di tipo mediterraneo europoide, largamente diffuso in epoca romana nelle regioni che si affacciavano sul Mediterraneo, compresa l'Africa settentrionale».
Altri dati arrivano dall'esame del dna eseguito nel laboratorio di antropologia molecolare di Firenze. «Questi hanno messo in evidenza», spiega ancora Facchini, «l'alleale G ancestrale responsabile della pigmentazione scura della pelle: la presenza di questo alleale in un soggetto che non ha però caratteristiche morfologiche negroidi, ma è riconducibile al tipo mediterraneo, indice a supporre qualche mescolanza nei suoi antenati con il ceppo melanodermo, caratteristico delle popolazioni subsahariane. Questa caratteristica si accorderebbe proprio con quanto la tradizione riferisce circa il colore scuro della pelle di San Zeno». A.G. 



LA VITA. È stato l'ottavo presule. Molti sono i miracoli a lui attribuiti

Protettore dei pescatori,
domò le acque dell'Adige


Zeno, o Zenone fu l'ottavo vescovo di Verona. La maggior parte della sua vita è avvolta nella leggenda, ma pare fosse originario della Mauretania, e per questo vi si fa riferimento come a «il Vescovo Moro». Fu vescovo di Verona dal 362 al 371 o 372 o 380, anno della sua morte.
Secondo le fonti agiografiche visse in austerità e semplicità, tanto che pescava egli stesso nell'Adige il pesce per il proprio pasto. Per questo è considerato protettore dei pescatori d'acqua dolce. Era comunque persona colta ed erudita, formatosi alla scuola di retorica africana, i cui maggiori esponenti furono Apuleio di Madaura, Tertulliano, Cipriano e Lattanzio. Sono giunti fino a noi numerosi suoi sermoni, di cui 16 lunghi e 77 brevi, che testimoniano come, nella sua opera di evangelizzazione, si confrontò con il paganesimo ancora diffuso e si applicò per confutare l'arianesimo. 
I miracoli che le leggende devozionali raccontano sono parecchi. La leggenda più straordinaria è però riferita da papa Gregorio I (Gregorio Magno) e narra di un improvviso straripamento delle acque dell'Adige che sommerse tutta la città fino ai tetti delle chiese, al tempo del re Longobardo Autari. Le acque arrivarono alla cattedrale dove il re aveva appena sposata la bella principessa Teodolinda, precisa il monaco Coronato, ma si sarebbe arrestata improvvisamente, in sospensione, sulla porta, tanto da poter essere bevuta, ma senza invadere l'interno. Ciò avrebbe determinato la salvezza dei veronesi, che, pur non potendo uscire, poterono resistere finché la piena non calò. 
La sua festa è fissata nel martirologio al 12 aprile, ma la diocesi di Verona lo celebra il 21 maggio, giorno della traslazione del corpo fatta dai santi Benigno e Caro dalla temporanea sepoltura nella Cattedrale alla zona dell'attuale Basilica, il 21 maggio 807.  




giovedì 24 gennaio 2013

recensione: "Il grande fiume Po"


Tra saggio e racconto, percorrendo una linea armoniosa che ondeggia tra la storia e le leggende fluviali: come il fiume in piena quando scende verso valle, Guido Conti attinge e trascina con sé tutto ciò che può per raccontare “Il grande fiume Po” e le sue correnti, che nei secoli insieme hanno spesso scritto indice e trama per uomini, popoli, viaggiatori, letterati e avventurieri che hanno abitato i suoi argini e sono transitati per queste terre.

L’autore inizia il suo viaggio da Plan del Re, dove il Po si mostra per la prima volta tra i prati; da qui ne percorre fisicamente il tragitto fino alla foce, dove l’acqua dolce si confonde con quella salata, per raccontare la geografia e la storia delle sue sponde. Ma soprattutto ne riesplora le storie, i miti, le narrazioni, che da sempre si sono identificate con l’Eridano, l’antico fiume narrato fin dagli albori della civiltà greca da Esiopo, e che tutt’oggi continuano a essere oggetto di ispirazione per autori e cantastorie contemporanei. Per Conti, parmigiano, non è solo un viaggio nella vita delle sue terre, ma lo è anche dentro se stesso, lungo le tracce che il Po lascia dietro e attorno a sé e che non possono certo lasciare indifferente chi vive in uno dei numerosi luoghi lambiti dal fiume. Posti differenti, città, affluenti, paesini, che possiedono ciascuno un proprio carattere. “Il Po che passa per Torino e accarezza il Parco del Valentino è diverso da quello dell’Oltrepò pavese e da quello che comincia a Piacenza, e non è lo stesso che solca la pianura fino a Mantova; da Ferrara al delta il fiume cambia di nuovo aprendosi come un fiore di canali verso il mare. Il Po è sempre se stesso ma è sempre diverso ogni volta che lambisce un territorio. Una metamorfosi continua”.



La storia di un fiume come il Po è fatta di letteratura e musica, delle Canottieri sportive ma anche delle guerre qui combattute e delle difficoltà affrontate per sopravvivere a dispetto del fiume stesso: Il desiderio di governare le acque del grande fiume, la realizzazione dei canali, degli argini, le bonifiche delle paludi con il prosciugamento del lago Gerundo intorno all’anno Mille: a nord del Po tutto questo ha il sapore della battaglia. Strappare la terra al fiume per prosciugare gli acquitrini. Vincere la malaria è stata una lotta millenaria che ha portato alla costruzione di complessi canali di bonifica, all’innalzamento degli argini, alla creazione di pennelli nel corso del Po per guidare la corrente che rode le sponde. È una lotta con un mostro, il grande fiume, che alza la schiena quando vuole, rompe gli argini e allaga la campagna ogni volta, mostrando agli uomini che la natura regna sovrana anche dove l’uomo progetta, costruisce e ordina con la sua intelligenza".

In oltre 400 pagine, che letteralmente “scorrono” e che possono essere anche sfogliate e lette secondo un proprio ordine e percorso, la memoria del fiume diventa la vera protagonista attraverso gli incontri, le letture, le fotografie, le cartine, le chiacchierate e i momenti di silenzio che a Guido Conti sono necessari per raccontare una storia semplice ma oscura, stratificata e mai banale, perché il fiume può essere silenzioso e a volte discreto, ma mai è indifferente: Una presenza-assenza che attraversa la città e la pianura verso il mare. Lui porta via anche le nostre storie e le voci del mondo, un fiume infernale, nel buio della notte”.


Simona Cremonini

sabato 15 dicembre 2012

Il culto di San Michele ad Arcé, Pescantina di Verona

L'Altro Giornale, 10 dicembre 2012, edizione Provincia (Verona)




I misteri di San Zeno a Verona


L'Arena
giovedì 13 dicembre 2012


I misteri di San Zeno
(da "Le gemme sull'Adige")


Il prossimo anno, gli abitanti di San Zeno compiranno 12 secoli: il primo documento che attesta la presenza di un borgo attorno alla chiesa e al monastero benedettino, dedicati all´ottavo vescovo di Verona, porta, infatti, la data del 24 giugno 813. Ma, per raccontare la storia della basilica di San Zeno, capolavoro del Romanico italiano, occorre andare indietro di altri cinque secoli. Una prima chiesa sarebbe sorta subito dopo la morte del santo vescovo, avvenuta tra il 372 e il 380.

Era stata fondata in quello che era il primo cimitero cristiano di Verona, lungo la via Gallica, vicino alla chiesa di San Procolo. Un luogo abbandonato, fuori dalla città, immerso nel silenzio. Fu poi rinnovata nel VI secolo, divenendo, nel 589, il luogo di uno dei più celebri miracoli del santo, raccontato da papa Gregorio Magno: quando, nella ricorrenza della morte di San Zeno, durante le solenni celebrazioni, che avevano gremito la basilica di fedeli, l´Adige crebbe improvvisamente, al punto che l´acqua raggiunse il tetto della chiesa.
Benché le porte fossero aperte, l´acqua non entrò, arrestandosi sulla soglia e permettendo ai fedeli di bere per dissetarsi. E se la chiesa di questo miracolo non esiste più, all´interno della basilica ci sarebbe la traccia di un altro prodigio del santo patrono, seppure dai tratti più leggendari: la coppa in porfido di origine romana che, secondo una antichissima leggenda, sarebbe stata sottratta da San Zeno al diavolo, che vi ha lasciato la sua impronta.

Tornando alla concretezza della storia architettonica, l´edificio che ammiriamo sarebbe del X-XI secolo, opera, forse, di Nicolò da Ferrara, a cui seguirono, soprattutto nel XII secolo, vari interventi, fra cui l´armonica facciata, riconducibile a Brioloto, scultore e architetto, divisa da pilastri verticali di diversa altezza, che corrispondono alle navate interne, e da sottili lesene, che la disegnano con eleganza.
Domina il rosone che ha la struttura di una ruota a dodici raggi, formata da coppie di colonnette esagonali. Ancora non del tutto svelata la sua simbologia, anche se l´ipotesi più probabile lo riconduce all´allegoria della fortuna: mostra sei personaggi in diverse posizioni, scolpiti nella condizione instabile di chi sale o scende, a seconda del caso.
Un´altra ipotesi suggestiva lo identificherebbe come un notturlabio, un orologio astronomico, inventato nel medioevo. 

sabato 10 novembre 2012

Scoperta una nuova Marmitta dei Giganti


L'Arena 
martedì 06 novembre 2012 

LA SCOPERTA. Una spettacolare «marmitta dei giganti» individuata dagli scalatori Eugenio Cipriani e Claudio Tessarolo

L´Adige un tempo scorreva verso Affi
e la «prova» è scavata nella roccia



Cercavano uno strapiombo e sono finiti dentro a una spettacolare «marmitta dei giganti». E´ accaduto l´altro giorno in Val d´Adige, vicino alla frazione di Tessari, ad una cordata di rocciatori composta dal veronese Eugenio Cipriani e dal vicentino Claudio Tessarolo, entrambi giornalisti. Il tratto dell´Adige fra la Chiusa (o Gola) di Ceraino e le quattro frazioni che compongono Brentino Belluno è da diversi decenni terreno d´azione degli arrampicatori.
Ritirandosi dalla valle oltre dodicimila anni fa, il ghiacciaio dell´Adige, ha lasciato scoperte vaste superfici rocciose soprattutto lungo il fianco destro idrografico, nel senso cioè della direzione del fiume. In prevalenza sono formazioni di calcare grigio: roccia ideale per la pratica dell´arrampicata grazie alla solidità e varietà di appigli. Il monte Cimo, con le sue decine di itinerari di più lunghezze di corda, alcuni dei quali di diff! icoltà estrema, è la struttura rocciosa più frequentata, ma molto apprezzate sono anche le ben più facili vie, anch´esse di più tiri, che si sviluppano sulla parete rocciosa denominata «Trapezio», sopra la frazione di Canale.
La parete venne scoperta alpinisticamente nei primi anni ´80 da Eugenio Cipriani, che vi tracciò una decina di itinerari. Solo tre di questi, però, vennero pubblicizzati. In vista della realizzazione di una guida per arrampicatori, che riguarderà tutto il territorio veronese e alla cui stesura sta lavorando lo stesso Cipriani, assieme a Cristiano Pastorello e ad altri collaboratori, lo scalatore veronese ha rimesso mano al «Trapezio» cercando nuovi spazi di salita.
Data la bassa quota, la presenza di piccoli boschi pensili impedisce dal basso di scorgere interamente i percorsi ancora «vergini». In altre parole, quindi, finché non ci si mette la mani sopra non si sa mai cosa si trova. E così l´altro giorno Tes! sarolo e Cipriani, proprio all´ultimo tiro di corda, là! dove pensavano di trovare una parete leggermente strapiombante, si sono trovati invece di fronte ad una «marmitta dei giganti», vale a dire una delle più classiche, e nello stesso tempo spettacolari, morfologie legate all´erosione fluvio-glaciale.
«Quello che sembrava un normale strapiombo», raccontano Cipriani e Tessarolo, «una volta arrivati alla base è apparso invece essere uno splendido esempio di marmitta d´escavazione, con il suo inconfondibile aspetto a campana aperta da un lato, la superficie rocciosa perfettamente levigata e semicircolare ed alcune striature orizzontali».
La scoperta in sé non ha nulla di eccezionale, ma rappresenta un´ulteriore prova dell´antico percorso del fiume Adige ai tempi dell´ultimo dei quattro periodi glaciali che hanno interessato negli ultimi 600mila anni del Quaternario l´Europa e, segnatamente, l´arco alpino.
Prima della fine dell´ultima glaciazione, quella detta! del Würm, l´Adige non passava, come oggi, dalla Chiusa di Ceraino ma, all´altezza di Canale, piegava decisamente verso destra e le sue acque defluivano in direzione dell´attuale piana di Affi. Naturalmente il fondovalle non aveva la quota attuale, ma era ben più alto e la scoperta di una «marmitta dei giganti» alla quota di 210 metri circa e all´altezza di Tessari è una ulteriore conferma di ciò.
Straordinaria è la somiglianza di questa marmitta con quelle, più grandi e molto note, presenti fra Nago e Torbole, nel Trentino meridionale. Anche in quel caso la loro presenza testimonia il percorso antico di un ghiacciaio che, nella fattispecie, era un ramo di transfluenza fra il ghiacciaio dell´Adige e quello del Sarca.
Purtroppo la marmitta trovata dai due scalatori sul «Trapezio» non è facilmente visitabile. Però, assieme alle caratteristiche rocce «montonate» (cioè lisciate e levigate dall´abrasione glaciale) pres! enti a Canale e alla vicina gola dell´Adige presso Ceraino, contr! ibuisce a fare di questa parte della Val d´Adige un museo all´aperto di morfologia glaciale e carsica. 



Sono il frutto
dell´erosione
delle acque

Le «marmitte dei giganti» sono cavità scavate nella roccia dall´azione di acque vorticose che trascinano con sé pietre, sabbia e ciottoli strappati dalla riva o dal letto del torrente oppure, nel caso di un corso d´acqua che nasce dalla bocca di un ghiacciaio, che si sono staccati per scioglimento dalla massa glaciale.
Nel punto in cui si forma un vortice, il materiale roccioso in sospensione viene scagliato con forza contro la roccia e compie un´opera abrasiva seguendo sempre la medesima traiettoria, la qual cosa determina la forma circolare della «marmitta». Nel corso del tempo le formazioni rocciose più grandi spesso subiscono un´erosione laterale e ne resta solo una metà, che presenta la forma a mezza-campana. Ma perché le marmitte più grandi vengono definite «dei giganti»? Il nome è dovuto al fatto che le credenza popolari hanno attribuito a dei leggendari giganti la paternità di queste curiosità ! naturali.


martedì 18 settembre 2012

La leggendaria città di Carpanea, da Verona alla TV


L'Arena
giovedì 13 settembre 2012 – PRIMAPAGINA
IL MITO FINISCE IN TV. La leggendaria città di Carpanea

L´Atlantide della Bassa diventa documentario Rai

La mitica leggenda di Carpanea, la città sorta in una sconfinata conca protetta dalle acque dell´Adige e del Tartaro, sarà raccontata in un documentario in onda sulla Rai in novembre. Lo scorso fine settimana, il regista Pepe, curatore dei servizi per i programmi SuperQuark, Ulisse e Geo, è stato incuriosito dalla leggenda dell´«Atlantide della Bassa» ed ha deciso di raccontarla con la telecamera. SCUDERI 39

L'Arena
giovedì 13 settembre 2012 – PROVINCIA
CASALEONE. Il regista di SuperQuark, Ulisse e Geo attratto dalla leggenda di Carpanea, la mitica città delle cento torri
L´Atlantide della Bassa diventa un documentario per Raiuno

Il filmato, con attori del gruppo teatrale Dramaten in costume sarà trasmesso a fine novembre Riprese a Cerea, Gazzo e in paese

La mitica leggenda di Carpanea, la città sorta in una sconfinata conca protetta dalle acque dei fiumi Adige e Tartaro, sarà raccontata in un documentario in onda sulla Rai a fine novembre. Lo scorso fine settimana, il regista della tv nazionale Michelangelo Pepe, curatore dei servizi di Alberto Angela per il programma SuperQuark, della trasmissione Ulisse e di Geo, è stato incuriosito dalla leggenda dell´«Atlantide della Bassa» ed ha così deciso di raccontarla con la telecamera.
La curiosità gli è scattata dopo aver ricevuto il materiale da Claudia De Fanti, storico membro della Pro loco locale e persona da sempre attenta alla valorizzazione del territorio e delle sue tradizioni. «Partendo dalla storia di Carpanea e delle sue cento torri», racconta De Fanti, «si è sviluppato un percorso in grado di far scoprire e conoscere le ricchezze dei nostri luoghi, dalle tradizioni culturali alla lavorazione del riso, del radicchio ! e di altri pregiati prodotti orticoli da noi coltivati».
Il mito di Carpanea narra di una città circondata da sette ordini di mura e difesa da cento torri, con una grande diga che la proteggeva dalle acque dei maggiori fiumi che le scorrevano intorno. Un giorno il re della città, in lotta con i sacerdoti, penetrò nel tempio e trafugò la statua del dio Appo gettandola in acqua. La folla, per cercare di recuperare il simulacro di Appo, si precipitò sulle dighe per aprirle e prosciugare il bacino d´acqua. Il re, visto il disastro, impazzì, mentre la città sprofondò per sempre sott´acqua. La leggenda narra che ogni anno, nella notte di Pentecoste, chi si trova da solo lungo il fiume senta un pianto seguito dal suono di una campana: è la figlia del re di Carpanea, colei che doveva sposare il giovane capo dei sacerdoti e che ora vive sotto le acque piangendo al pensiero del suo sogno d´amore finito nel peggiore dei modi.
Tutto ciò sarà rac! contato ora ai telespettatori italiani grazie alla ricostruzione di una leggenda molto popolare nella Bassa. Attori e comparse della compagnia teatrale legnaghese «Dramaten», diretta da Nicola Pavanello, ripresi in costumi d´epoca dal regista Pepe in diversi luoghi della Bassa veronese, hanno riportato infatti in vita l´antico mistero. I set sono stati allestiti in vari punti della pianura: all´interno dell´Oasi del Brusà di Cerea, a Torretta, a San Pietro in Valle di Gazzo e a Casaleone. Per la buona riuscita del filmato sono intervenuti anche gli esperti del Centro ambientale archeologico di Legnago, l´ingegnere Stefano De Pietri del Consorzio di bonifica delle Valli Grandi e Flavia De Paoli dell´associazione naturalistica Oasi Valle Brusà.

sabato 18 agosto 2012

A Verona la leggenda della Muletta


L'Arena
mercoledì 15 agosto 2012

LA LEGGENDA. È scolpita in legno di fico

La «Muletta» e la pelle
dell´asino di Gesù


Si trova nella cappella a sinistra dell´altare: la statua lignea nota popolarmente come «Muletta», fino all´Ottocento era portata in processione la Domenica delle Palme e nel giorno del Corpus Domini mentre i veronesi la seguivano con rami d´olivo per ricordare l´entrata di Gesù in Gerusalemme, città santa per eccellenza, dove le famiglie ebree dovevano recarsi per celebrare la Pasqua. 
Realizzata in legno di fico e con ogni probabilità risalente al XIV secolo, sconfina nella leggenda. Si dice venne scolpita in Trentino da un monaco che poi l´affidò alle acque dell´Adige. La statua si arenò proprio nel canale dell´Acqua Morta davanti alla chiesa di Santa Maria in Organo (interrato solo dopo la piena del 1882). 
I frati la custodirono per secoli, finché la tradizione della processione ebbe fine per evitare le accuse di idolatria da parte dei protestanti. «Secondo un´altra leggenda», aggiunge Davide Galati, «al suo interno sarebbe conservata la pelle dell´asino che portò sul dorso Gesù. L´animale sarebbe morto a Verona dopo esservi giunto dalla lontana Gerusalemme». E.PAS.


giovedì 14 giugno 2012

Misteri e leggende del Garda in due nuovi libri

Il lago di Garda, le sue leggende e i misteri che girano intorno al bacino d'acqua dolce più esteso d'Italia: sono i temi attorno ai quali si sviluppano i due nuovi libri in uscita per PresentARTsì, la "bottega di prodotti culturali" di Castiglione delle Stiviere, che a giugno 2012 pubblica il saggio/guida "Leggende, curiosità e misteri del Lago di Garda" di Simona Cremonini e l'antologia di narrativa della stessa autrice dal titolo "(I) racconti fantastici del Garda". Due libri, due facce della stessa medaglia, in cui in chiave saggistica in uno e in chiave narrativa nell'altro, il lago di Garda è protagonista nei suoi aspetti più curiosi e misteriosi. "Leggende, curiosità e misteri del Lago di Garda", in una nuova edizione ampliata e rivista dall'autrice rispetto a quella precedentemente disponibile online, presenta al lettore un ideale giro intorno al lago e a tutti gli aspetti insoliti e misteriosi: storie di streghe e maghi, toponomastiche curiose, fiabe antiche e leggende metropolitane, creature misteriose, mostri di vario tipo, città fantasma sommerse, mitologia benacense, spiriti e fantasmi, folletti, fate e anguane, appartenenti alla tradizione del lago, vengono ripresi e recuperati dalla giornalista Simona Cremonini portando il lettore intorno al lago e alle località che nel tempo li hanno ospitati e visti in azione. A partire da Riva e Nago-Torbole e dal Garda Trentino, si scende lungo la costa veronese, da Malcesine a Brenzone, Torri del Benaco, Garda, Bardolino, Lazise, Peschiera del Garda, fino a raggiungere la costa bresciana. Da Sirmione si ricomincia a risalire a Desenzano del Garda, toccando Lonato, Padenghe, Soiano, la Valtenesi, Moniga, Manerba, San Felice del Benaco, Salò, Gardone Riviera, Toscolano-Maderno, Gargnano, Campione, Tremosine, Limone, fino a ricongiungersi con Riva del Garda in un vero e proprio tour intorno a tutto il Benaco. Una guida turistica sui luoghi misteriosi, ma anche l’opportunità di ripercorrere, anche per il turista e il lettore, libro alla mano, molte delle località e delle testimonianze riportate nel volume. Sempre sullo sfondo mozzafiato del lago, narrativa e leggenda si incontrano nella nuova antologia di racconti "(I) racconti fantastici del Garda": il “Fantastico Garda” prende vita in tredici storie scritte da Simona Cremonini che letteralmente pescano dalla tradizione del genere fantastico, in tutte le sue accezioni, e dall’immenso patrimonio di misteri e antiche storie del bacino d’acqua già narrato da Dante Alighieri e Franz Kafka. Anguane, fate, silfidi, creature oscure, gatti neri, insetti impazziti, streghe, fantasmi, vampiri e umani sopravvissuti alla catastrofe nucleare, fatti misteriosi dal colore alieno: leggende locali del Garda in chiave narrativa, e racconti con elementi sovrannaturali e ambientazione gardesana, spiega la quarta di copertina, “si alternano, e si sfiorano, per rivelare quelle sfumature inedite e inaspettate del lago e della natura umana che solo leggenda e narrativa, incontrandosi, possono offrire al lettore”. I libri, disponibili da giugno, sono distribuiti presso la libreria Mr Libro di Castiglione delle Stiviere e nelle altre librerie e punti vendita indicati sul sito www.leggendedelgarda.com, nonché sulla pagina facebook di PresentARTsì. Editor, giornalista, autrice di narrativa e di articoli su folklore e leggende, collaboratrice del portale LaTelaNera.com, Simona Cremonini ha presentato racconti su e-book e pubblicazioni cartacee, tra cui tra i più recenti "Estate 2010" (ed. PresentARTsì), "Visioni fatate" (Delmiglio Editore 2011) e "Il gioiello di Crono" (Delmiglio Editore 2012). Piazzata in diversi concorsi letterari di genere, ha vinto l’edizione 2005 del Premio Akery, sezione horror. Per acquistare i libri e per informazioni: tel. 0376 636839 – associazionepresentartsì@gmail.com.

mercoledì 14 marzo 2012