L'Arena
martedì 25 settembre 2012
VILLAFRANCA. Trovata una
parete nel cantiere per interrare il metanodotto. Spellini, il proprietario del
terreno, scrive un libro sugli scavi
Scoperta l´antica fornace
della città
Sembrava una leggenda il
fatto che nella corte furono cotti i mattoni per costruire il castello Invece
spunta un sito che risale a prima del 1200
Ci sono segreti e storie celate dietro ogni edificio datato. E ci sono motivazioni che affondano le radici in epoche passate, dietro la formulazione del nome di un luogo. Nasconde tutto questo l´antica corte padronale in località Fornaci, nella campagna villafranchese, vicino al confine con Povegliano. Frammenti di ricordi e storie sono state rivangate da uno dei proprietari attuali, Pietro Spellini, fino a svelare ciò che la famiglia, che acquistò la tenuta nel 1867, ha scoperto solo nel 2008: quel nome particolare, «le Fornase», derivava da ciò che è stato custodito dal terreno per secoli.
A svelarlo è il signor Spellini che nelle lente ore invernali di inattività dai lavori agricoli, lo scorso anno, ha iniziato a metter su carta la storia dell´antica corte. Ne è uscito un libretto, «De le Fornase nobile poesia», di fresca edizione che tra racconti e fotografie, narra l´evoluzione del complesso, la vita agreste villafranchese di un tempo e anche le origini toponomastiche. Quattro anni fa, i lavori per la realizzazione del metanodotto hanno svelato l´arcano. Dal terreno sono emersi cocci vetrificati. Come se ne trovavano spesso in quella zona, arando e coltivando. Poi più sotto è emerso un blocco di mattoni arancioni. E un piccolo edificio a due stanze: una fornace.
«Una leggenda non scritta», spiega Spellini, «diceva che il nome Fornaci derivasse dal fatto che qui erano stati cotti i mattoni del castello di Villafranca, ma sembrava frutto di pura fantasia. Nel 2008, nella posa del tubo del metanodotto ci siamo imbattuti in un resto di muratura. Sospendemmo i lavori e un gruppo di archeologi si mise all´opera. Ne è uscita una struttura con una doppia parete, una esterna in malta e ciottoli e una interna in mattoni. Tra i due muri era stata inserita della terra rossa di mattoni cotti e frantumati, secondo le tecniche utilizzate dalle fonderie artistiche artigiane, per contenere il calore del bronzo e fondere le statue. Le pareti interne erano vetrificate. Eravamo di fronte a una fornace. Quella fornace che aveva dato il nome alla località».
Il sito è stato analizzato, fotografato, ricoperto di un tessuto apposito sotto l´occhio della Soprintendenza, quindi interrato nuovamente. Sulla datazione Spellini è incerto e lancia la palla a chiunque voglia approfondirne gli studi. «Certamente fu realizzata prima del 1200, quando già la località si chiamava Fornase».
Si tratta di un interessante lavoro archeologico, perché, attraverso la scoperta, è possibile ricostruire un pezzo di storia di Villafranca. Le sorprese, infatti, non sono finite qui. I due rettilinei della Postumia e della Grezzanella hanno sempre suggerito l´ipotesi che quella campagna fosse stata luogo di passaggio anche dei romani. A 200 metri dalla corte, verso la Postumia, sempre durante i lavori del metanodotto sono emersi tre cumuli di sassi, che hanno attirato subito l´attenzione degli! archeologi. «Erano tre tombe, due vuote e una con un corredo integro, affidato alla Soprintendenza e in attesa di studio: c´erano lucerne, lacrimatoi in pasta vitrea, monete e vasi di terracotta. Un´ampolla di vetro conteneva le ceneri di un morto e poco distante c´erano i resti di un cane. Animale e padrone furono sepolti insieme».
La datazione più probabile è il secondo secolo dopo Cristo. «Sarebbe una tomba romana, che permetterebbe di accertare che la nostra area era abitata anche allora e forse potrebbe definire il sito più antico del Comune di Villafranca».
Ci sono segreti e storie celate dietro ogni edificio datato. E ci sono motivazioni che affondano le radici in epoche passate, dietro la formulazione del nome di un luogo. Nasconde tutto questo l´antica corte padronale in località Fornaci, nella campagna villafranchese, vicino al confine con Povegliano. Frammenti di ricordi e storie sono state rivangate da uno dei proprietari attuali, Pietro Spellini, fino a svelare ciò che la famiglia, che acquistò la tenuta nel 1867, ha scoperto solo nel 2008: quel nome particolare, «le Fornase», derivava da ciò che è stato custodito dal terreno per secoli.
A svelarlo è il signor Spellini che nelle lente ore invernali di inattività dai lavori agricoli, lo scorso anno, ha iniziato a metter su carta la storia dell´antica corte. Ne è uscito un libretto, «De le Fornase nobile poesia», di fresca edizione che tra racconti e fotografie, narra l´evoluzione del complesso, la vita agreste villafranchese di un tempo e anche le origini toponomastiche. Quattro anni fa, i lavori per la realizzazione del metanodotto hanno svelato l´arcano. Dal terreno sono emersi cocci vetrificati. Come se ne trovavano spesso in quella zona, arando e coltivando. Poi più sotto è emerso un blocco di mattoni arancioni. E un piccolo edificio a due stanze: una fornace.
«Una leggenda non scritta», spiega Spellini, «diceva che il nome Fornaci derivasse dal fatto che qui erano stati cotti i mattoni del castello di Villafranca, ma sembrava frutto di pura fantasia. Nel 2008, nella posa del tubo del metanodotto ci siamo imbattuti in un resto di muratura. Sospendemmo i lavori e un gruppo di archeologi si mise all´opera. Ne è uscita una struttura con una doppia parete, una esterna in malta e ciottoli e una interna in mattoni. Tra i due muri era stata inserita della terra rossa di mattoni cotti e frantumati, secondo le tecniche utilizzate dalle fonderie artistiche artigiane, per contenere il calore del bronzo e fondere le statue. Le pareti interne erano vetrificate. Eravamo di fronte a una fornace. Quella fornace che aveva dato il nome alla località».
Il sito è stato analizzato, fotografato, ricoperto di un tessuto apposito sotto l´occhio della Soprintendenza, quindi interrato nuovamente. Sulla datazione Spellini è incerto e lancia la palla a chiunque voglia approfondirne gli studi. «Certamente fu realizzata prima del 1200, quando già la località si chiamava Fornase».
Si tratta di un interessante lavoro archeologico, perché, attraverso la scoperta, è possibile ricostruire un pezzo di storia di Villafranca. Le sorprese, infatti, non sono finite qui. I due rettilinei della Postumia e della Grezzanella hanno sempre suggerito l´ipotesi che quella campagna fosse stata luogo di passaggio anche dei romani. A 200 metri dalla corte, verso la Postumia, sempre durante i lavori del metanodotto sono emersi tre cumuli di sassi, che hanno attirato subito l´attenzione degli! archeologi. «Erano tre tombe, due vuote e una con un corredo integro, affidato alla Soprintendenza e in attesa di studio: c´erano lucerne, lacrimatoi in pasta vitrea, monete e vasi di terracotta. Un´ampolla di vetro conteneva le ceneri di un morto e poco distante c´erano i resti di un cane. Animale e padrone furono sepolti insieme».
La datazione più probabile è il secondo secolo dopo Cristo. «Sarebbe una tomba romana, che permetterebbe di accertare che la nostra area era abitata anche allora e forse potrebbe definire il sito più antico del Comune di Villafranca».
Il vino pagato
con pignatta
di monete
Le tombe e una tubazione in terracotta trovata nel terreno indicano la presenza romana come la più antica alle Fornaci. Oggi il complesso storico è una corte rurale e tenuta agricola della famiglia Spellini, che la acquistò nel 1867. Tra i misteri scovati ci fu, negli anni Trenta, una pignatta di monete, che il padrone di casa non riuscì a vedere: «Gli operai che l´avevano trovata l´avevano venduta subito a Villafranca per qualche bottiglione di vino», spiega Pietro Spellini.
Segreti a parte, la corte è stata un crocicchio di letterati e nobili, amici dei proprietari. L´ha ritratta in versi Berto Barbarani e dipinta Luigi Zago. Ma la storia scritta da Spellini riepiloga anche l´evoluzione della vita di campagna e dell´agricoltura di fine Ottocento e del Novecento. Era un piccolo mondo antico, dove una ventina di bambini, figli di chi lavorava per la famiglia Spellini, giocava a piedi nudi tra il cortile ! polveroso e la campagna. Dove le stagioni erano scandite dai lavori agricoli. Dove si attendeva a primavera la festa di contrada. «Veniva il curato per il catechismo», racconta Spellini, «e il lunedì di Pasqua si faceva festa. “Canon" Martini suonava la cornetta, il “Cochi" Carlini la fisarmonica e il “Banda" cantava Ugo Tognelli». Era la metà del secolo scorso. L´epoca del «spaseso» per i bimbi, della polenta sulla «panara», dei detti dialettali per prevedere il tempo: «Nuvole rosse, o vento o gosse», «A San Valentin la lodola la fa el gnalin». Era il tempo delle trebbiature, della coltura del baco da seta e delle pannocchie. M.V.A.
con pignatta
di monete
Le tombe e una tubazione in terracotta trovata nel terreno indicano la presenza romana come la più antica alle Fornaci. Oggi il complesso storico è una corte rurale e tenuta agricola della famiglia Spellini, che la acquistò nel 1867. Tra i misteri scovati ci fu, negli anni Trenta, una pignatta di monete, che il padrone di casa non riuscì a vedere: «Gli operai che l´avevano trovata l´avevano venduta subito a Villafranca per qualche bottiglione di vino», spiega Pietro Spellini.
Segreti a parte, la corte è stata un crocicchio di letterati e nobili, amici dei proprietari. L´ha ritratta in versi Berto Barbarani e dipinta Luigi Zago. Ma la storia scritta da Spellini riepiloga anche l´evoluzione della vita di campagna e dell´agricoltura di fine Ottocento e del Novecento. Era un piccolo mondo antico, dove una ventina di bambini, figli di chi lavorava per la famiglia Spellini, giocava a piedi nudi tra il cortile ! polveroso e la campagna. Dove le stagioni erano scandite dai lavori agricoli. Dove si attendeva a primavera la festa di contrada. «Veniva il curato per il catechismo», racconta Spellini, «e il lunedì di Pasqua si faceva festa. “Canon" Martini suonava la cornetta, il “Cochi" Carlini la fisarmonica e il “Banda" cantava Ugo Tognelli». Era la metà del secolo scorso. L´epoca del «spaseso» per i bimbi, della polenta sulla «panara», dei detti dialettali per prevedere il tempo: «Nuvole rosse, o vento o gosse», «A San Valentin la lodola la fa el gnalin». Era il tempo delle trebbiature, della coltura del baco da seta e delle pannocchie. M.V.A.
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