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Ercole fondatore di Brescia uccide l'Idra in Vallesabbia
SETTECENTO E DINTORNI. La leggenda sostenuta anche da numerose opere pittoriche
Da Palazzo Avogadro al Broletto a Palazzo Soncini rivive il mito
31/12/2011
«Ercole fra l'Eternità e la Fama» affresco sulla volta dello scalone in Palazzo Soncini
Tra le erudite disquisizioni sulle origini della nostra città, è testimoniata anche una mitica fondazione erculea. Il primo autore a sostenerla è il medico, nonché storico, bresciano Jacopo Malvezzi.
Egli narra che l'eroe intraprese la costruzione di un luogo fortificato sulla sommità del Colle Cidneo e, addirittura, raccoglie nel suo Chronicon brixianum una curiosa tradizione che sosteneva la presenza di Ercole in Valsabbia. Qui infatti sarebbe avvenuta l'uccisione della famigerata Idra, mostro a sette teste, da cui l'attuale specchio d'acqua valsabbino avrebbe ricevuto il suo nome.
Naturalmente la vicenda è frutto solo di leggenda, ma godette di ampia fortuna, tanto che ancora oggi si conserva nella chiesa di Sant'Antonio ad Anfo un affresco a monocromo raffigurante Ercole e l'idra a testimonianza di una remota presenza del semidio in quelle zone.
A circa due secoli dagli scritti del Malvezzi, Ottavio Rossi nelle sue Memorie Bresciane (1616) attribuisce la costruzione del tempio capitolino al culto di Ercole sulla base di ritrovamenti epigrafici venuti alla luce nell'area dello scavo archeologico da lui stesso condotto.
Anche la cultura artistica bresciana «accoglie» la figura del figlio di Zeus e Teti come comprimario o protagonista di cicli figurativi eseguiti per palazzi privati e pubblici. La sua raffigurazione sottende precisi rimandi simbolici ispirati dalla letteratura latina (in primis Ovidio) e codificati in repertori iconografici di età umanista (Alciati) e tardo cinquecenteschi (Ripa).
Così, già nel Cinquecento con il recupero della cultura greco-romana, Ercole era protagonista assoluto nel perduto ciclo per l'appartamento del Capitano in Broletto o negli affreschi di Palazzo Avogadro in corsetto Sant'Agata eseguiti da Lattanzio Gambara.
Nel Settecento prosegue il filone iconografico legato ad Ercole, finalizzato spesso a celebrare in chiave allegorica il prestigio dei committenti o a esaltarne il suo importante ruolo per l'origine e lo sviluppo del territorio bresciano.
Sulla volta dello scalone in Palazzo Soncini a Brescia è affrescato Ercole fra l'Eternità e la Fama, opera di autore ignoto del settimo decennio del Settecento. La divinità centrale simboleggia la Virtù Eroica e rappresenta la ragione che sottomette le passioni: oltre ai consueti attributi che tradizionalmente la identificano (clava e leontè), reca in mano i tre pomi portati dagli orti esperidi allusivi alle virtù della moderazione, della temperanza e al disprezzo dei piaceri.
La presenza di Ercole, che spesso occupa un posto di rilievo negli Olimpi dell'epoca, qui è doppiamente significativa in quanto due membri della famiglia Soncini, vissuti nel Settecento, erano omonimi del Dio: il giureconsulto morto nel 1721 e il nipote abate, compositore di corone poetiche.
Anche nelle incisioni che corredano le preziose e numerose edizioni a stampa settecentesche incontriamo in alcuni casi la figura dell'eroe tebano, 'densa' di rimandi simbolici, che solo una colta cerchia di lettori era in grado di decifrare.
Il frontespizio dell'opera Memorie istorico critiche intorno all'antico stato de' Cenomani ed ai loro confini, scritta dall'abate Antonio Sambuca e stampata nel 1750 da Gian Maria Rizzardi, reca un'allegorica scena, disegnata dal bresciano Francesco Savanni, dove al centro campeggia Minerva, a simboleggiare la prerogativa culturale della nostra città, mentre ai suoi lati sono esaltate altre due caratteristiche che hanno contribuito alla ricchezza bresciana.
La prima è la lavorazione dei metalli, personificata dall'alacre attività di tre fabbri nella fucina di Vulcano; la seconda è l'abbondanza di acque, rappresentata da un possente Ercole nell'atto di spezzare ad un toro un corno, dalla cui rottura si origina la nascita del fiume Mella. Avvertiamo in questa raffigurazione un reimpiego ed una «riformulazione in chiave bresciana» di una delle dodici fatiche di Ercole: il toro è quello cretese, inviato da Nettuno a Minosse, perché colpevole di avergli trascurato un sacrificio.
Come non citare infine la guida artistica di Giambattista Carboni, intitolata Le pitture e le sculture di Brescia che sono esposte al pubblico con un'appendice di alcune private gallerie, edita da Giambattista Bossini nel 1760, unica guida settecentesca a stampa della nostra città?
L'antiporta dell'opera presenta l'interno di un nobile palazzo dove Minerva, accompagnata dalla personificazione del Merito, invita il lettore a guardare oltre un tendaggio sollevato da un genietto alato. Sul fondo dell'incisione la statua di un Ercole, collocata entro una nicchia, solleva ugualmente il braccio per richiamare l'attenzione su ciò che si sta per disvelare oltre quel tendaggio.
Le due divinità abbinate ancora una volta rappresentano il virtuoso connubio fra sapienza e capacità governativa, unita alla forza dell'eloquenza, che l'ideatore dell'opera, il nobile Luigi Chizzola, vedeva espressi nei Deputati Pubblici della Città di Brescia, cui aveva dedicato l'agile pubblicazione.
BIBLIOGRAFIA: Simone Signaroli, Il mito di Ercole fondatore nella tradizione erudita bresciana, in Ercole il fondatore: dall'antichità al Rinascimento, Brescia 2011, pp.128-137, catalogo dell'omonima mostra svoltasi a Brescia, Museo di Santa Giulia 11 febbraio-12 giugno 2011
Riccardo Bartoletti
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