I buriel antichi e potenti
Rito maschile che richiede doti di abilità e lavoro comune
di M.Antonietta Filippini
Con la Befana inizia il periodo dei falò, i buriei, enormi pire di legna secca e sterpaglie che vengono costruite e accese in molti paesi. Le fiamme ravvivano il buio e scaldano nel gelo della campagna; il successo dell'impresa è salutato con una festa a base di ceci lessi e vin brulè. Si comincia domani, fino al 17 gennaio, sant'Antonio. C'è persino chi sceglie la mezza quaresima. Il falò è un rito di grande fascino e potenza, la vecchia da bruciare può esserci o no, a volte è un Vecchione come al Capodanno di Bologna, o una coppia di vecchi. Ne parliamo con due studiosi mantovani di tradizioni popolari, Giancorrado Barozzi e Giancarlo Gozzi.
Barozzi, quali sono i buriel più antichi? «Il rito dei fuochi invernali è descritto già da Ovidio ne Fasti, nello specifico a Mantova abbiamo un documento del 1811 che riguarda Goito. Tra Asola e Canneto la data è il 17 gennaio, sant'Antonio, altrove il 6 gennaio». Uno dei più belli era a Sorbara di Asola, dove però il 17 gennaio 1986, morì Dario Saletti e altri tre rimasero feriti per un'esplosione durante i preparativi però non del burie. Comunque l'operazione comporta un certo rischio. «Costruire la catasta e darle fuoco richiede abilità, capacità di lavorare in gruppo. Gli uomini sono protagonisti, e quando un adolescente viene ammesso nel gruppo è quasi un rito di iniziazione». Le donne sono escluse? «Confezionano i pupazzi, ma la pira spetta ai maschi». Cosa significa il buriel? «Ci sono interpretazione date dagli antropologi: riti legati alla fecondità del terreno, per richiamare la primavera e purificare la comunità, eliminare le scorie del passato per prepararsi a un anno nuovo. Io ho interrogato i protagonisti: perchè fate il buriel? Qualcuno mi ha risposto: perché si è sempre fatto. Altri: perché a seconda di dove cade il falò o dove tira il fumo o cade la vecia, si traggono previsioni su come andrà l'annata agraria».
Gozzi cita il suo maestro Giovanni Tassoni, che nel 1964 scrisse 'Tradizioni popolari del mantovano'. «I monelli dell'Oltrepo, giunta la sera della Bifana, convenivano a frotte in piazza, dopo lo stracanarsi di tutto il pomeriggio intorno a una catasta di sterpi e rovi, e di lì muovevano compatti per le vie, con un fantoccio raffigurante una vecchia strega, strepitando come anime dannate e sbaccanando con corni, campanacci, rami di cucina, molle da fuoco, da levar di cervello anche i sordi. La baraonda continuava, avanti indietro, fino a quando imbruniva e veniva l'ora di legare la vecchia stria allo stollo del rogo preparato in fondo al paese. Le fiamme salivano alte nell'aria gelida della sera; i monelli facevano corona al gran falò crepitante, vi riddavano intorno, vi rumavano dentro con un bastone o, smorzatesi le vampe, vi saltavano sopra gridando di quando in quando: "A brusa la vècia ranpina, ch'la pians par na péna'd galina"». E ancora «A Roncoferraro, in ogni fattoria si fanno grandi falò di fascine e di canne di granoturco, per propiziare un buon raccolto di uva. I presenti battono con bastoni sul fuoco, da cui sprizzano innumerevoli scintille e gridano Carga! Carga! Carga!».
Gozzi, lei quale significato dà ai buriel? «C'è la purificazione dei campi, per prepararli e concimarli con la cenere. Addirittura lungo la via battuta dai Celti, i nomi dati a questi riti si somigliano dalla Francia all'Italia. Il fuoco epifanico poi ricorda il sole che con il solstizio d'inverno ricomincia a crescere sull'orizzonte. Il contadino che vuole accelerare la fecoldità dei terreni dopo la sterilità invernale accende i fuochi per aiutare simbolicamente il debole sole a vincere le tenebre invernali». Il Natale cristiano come data deriva - ci ricordano Barozzi e Gozzi, dal «Natalis solis invicti», la nascita del sole mai vinto al solstizio d'inverno.
Gazzetta di Mantova, 5 gennaio 2011
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