martedì 19 marzo 2013

I misteri di Minerva a Marano di Valpolicella




L'Arena
sabato 16 marzo 2013


MARANO. Brunella Bruno invitata dagli accademici francesi al College de France per rivelare i misteri del luogo

Parigi chiede tutti i segreti
del sacro Tempio di Minerva


C'è da scoprire chi furono i committenti del monumento Pochissimi i finanziamenti per proseguire nelle ricerche

Gli accademici francesi invitano il funzionario della Soprintendenza di Verona a parlare della scoperta.
Nemmeno il tempo di riprendere gli scavi che il Tempio di Minerva di Marano di Valpolicella approda a Parigi. Lo scorso 1 marzo, infatti, la dottoressa Brunella Bruno, funzionario della Soprintendenza per i beni archeologici del Veneto che ha diretto le indagini, ha tenuto un intervento proprio sul tempio recentemente rinvenuto sul Monte Castelon nell'ambito di un seminario sui santuari di età romana al College de France.
L'invito è arrivato direttamente dalla Francia. «Alcuni insigni accademici francesi, studiosi di santuari e riti religiosi di età classica avevano avuto modo di sentire le novità degli scavi di Marano in occasione di un convegno tenutosi a Trieste a febbraio 2012. Sono stati loro stessi a invitarmi a Parigi», spiega Bruno come è nata l'occasione di far conoscere il Tempio di Minerva in Francia. L'intervento ha avuto luogo al rinomato College de France, all'interno di un seminario dedicato ad alcuni tra i principali luoghi di culto recentemente venuti alla luce nel territorio italiano.
«Durante il mio intervento, ho ripercorso le vicende della scoperta del tempio e i dati principali degli ultimi scavi avvenuti nel 2010: la definizione completa della planimetria del tempio di Minerva di età imperiale; l'individuazione di un tempio precedente, di età tardo-repubblicana e l'individuazione di un rogo votivo dell'età del ferro». L'esperta ha esposto a Parigi anche come il tempio di Marano racconti, da alcuni particolari rivelatori, la sua reale importanza nel contesto storico-politico dell'epoca. La strana planimetria del tempio, di età imperiale, e l'uso dell'opera reticolata, la decorazione pittorica della fase di età tardo-repubblicana, appartenente al primo stile pompeiano, confermano infatti la presenza di un santuario di grande importanza con un forte significato politico per l'epoca.
La portata della scoperta del Tempio, precedentemente descritto negli scritti dell'erudito veronese Orti Manara nel 1836, è rilevante in quanto l'uso dell'opera reticolata in una delle murature del tempio, segnala la presenza di un edificio importante, legato probabilmente, come il teatro romano di Verona, ad una committenza imperiale (Augusto o entourage augusteo). Rimane però un quesito: «Chi sono stati i committenti di questa impresa architettonica che ha portato alla monumentalizzazione, tra fine II sec. a.C. e inizi I secolo a.C., di un santuario all'aperto dell'età del ferro?», dice l'esperta.
A breve riprenderanno gli scavi e questi quesiti potrebbero trovare risposta. «Ad aprile, con finanziamenti limitatissimi e centellinati, cercheremo di fare chiarezza su alcuni aspetti delle tre fasi santuariali che non sono stati adeguatamente chiariti. Il nostro obiettivo è quello di poter arrivare ad una pubblicazione, un resoconto, entro l'anno o nei primi mesi del 2014». Quali sono dunque le prospettive future? Le incognite riguardo al destino del tempio sono fortemente legate alle disponibilità economiche che consentiranno ulteriori scavi e la realizzazione di un ipotetico parco archeologico, come rivela Bruno: «Il santuario di Marano è in un contesto eccezionale che merita di essere indagato, studiato e valorizzato. L'amministrazione di Marano e la Soprintendenza hanno gettato le basi perchè in futuro possa essere creato un sito archeologico aperto a tutti. Le prospettive, purtroppo, nell'immediato futuro, non sono rosee per l'assoluta carenza di finanziamenti». Vedremo dunque quale sarà il futuro del tempio 



«A breve
riprendono
gli scavi»
  
«Fra qualche settimana, riprenderemo gli scavi per approfondire l'estensione dei manufatti pertinenziali al Tempio di Minerva che l'ultima campagna di scavi, avvenuta nel 2010, ha posto in evidenza, a nord. Quando riavvieremo gli scavi, l'intero complesso verrà messo in luce, anche per renderlo visibile e visitabile nel corso di un prossimo convegno che si terrà al Santuario di Santa Maria Valverde, a pochi passi dal Tempio, dove verranno presentati i risultati delle ricerche e del loro elevato valore scientifico». Questo l'annuncio del sindaco.
Si aprono, dunque, per il Tempio di Minerva, importanti prospettive di divulgazione che implicano un ulteriore e considerevole investimento.
«Per il nostro Comune, questa iniziativa è di grande importanza e dal 2007 non abbiamo mai smesso di investire e di promuovere il sito: l'investimento è stato rilevante, sia per l'acquisto dei terreni, che per le operazioni archeologiche di scavo, talora piuttosto complesse. Lo sforzo però è stato ripagato da un'innumerevole quantità di scoperte, sia in termini di reperti ritrovati, che di informazioni storiche e sull'estensione del manufatto, ben più ampia di quanto le fonti storiche disponibili lasciassero prevedere», conclude il sindaco Simone Venturini.A.C.


Ufo sul Garda tra le armi di Hitler?


L'Arena
martedì 19 marzo 2013 

INEDITO. Domani sera l'intervista di Marco Berry allo storico veronese

Pellicola del '38 sugli Ufo va in onda su «Mistero»

L'ha scoperta il regista Quattrina girando  un documentario sulle fabbriche d'armi nel Garda

Cerca materiale per fare un documentario storico e trova una bobina con su scritto Ufo. È successo al regista Mauro Vittorio Quattrina, esperto in ricerche sulle guerre mondiali, contattato dalla redazione di «Mistero» che ha fatto le riprese. La trasmissione, con l'intervista del conduttore Marco Berry a Quattrina, andrà in onda domani su Italia 1 in prima serata. 

«La redazione di Mistero mi ha contattato per il mio documentario Tunnel Factories dove racconto in video per la prima volta le fabbriche di armi tedesche nelle gallerie del lago di Garda, sponda occidentale, ma ancora di più della Galleria Caproni di Torbole, sulla sponda orientale, dove venivano costruiti pezzi dei devastanti razzi V2 e degli aerei a reazione me262 e me163», racconta il regista veronese. «È una storia nota solo a pochi storici che, grazie al documentario, ha preso una certa notorietà. Non solo, ma il ritrovamento di un filmato particolare, che ho scoperto nell'archivio del museo dell'areonautica Caproni di Trento, con la scritta Ufo 1938, lascia un bel mistero: la sua visione in anteprima sarà unica». Tutte le notizie riguardanti le armi segrete di Hitler costruite sul lago di Garda si possono trovare sul sito: http://mauroquattrina.jimdo.com/doc-tunnel-factories-le-armi-segrete-di-hitler-sul-lago-di-garda-e-in-italia/ .

Si tratta di una bobina in pellicola a 16 millimetri, contenuta in una scatola gialla con su scritto a pennino «Ufo pista Breda» e la data 1938. «Si è cominciato a parlare di Ufo negli anni '40», continua Quattrina, «basti pensare al carteggio raccolto da Mussolini o ai velivoli sperimentali costruiti dai tedeschi in quegli anni, che studiavano oggetti volanti caduti». Sviluppando la pellicola, che secondo il regista è «un originale inedito» si vede «una tipica ripresa dell'epoca, non di ottima qualità, che riporta le condizioni meteo, l'aereo che ha filmato e per 10 secondi, ripreso dall'alto, un disco bianco vicino ad un hangar». Cos'era? Un mezzo sperimentale? Un oggetto volante caduto? Era un'arma segreta di Hitler? Domande senza risposta, appunto un mistero. Mistero senza risposta anche per gli esperti del settore, venuti dal Centro italiano di Ufologia che hanno studiato la pellicola. «Chi ha scritto sulla scatola gialla il termine Ufo», conclude il regista Quattrina, «era in ogni caso una persona che teneva in ordine gli archivi militari. Guardando attentamente la pellicola, c'è una ripresa dentro l'aereo in volo, una carrellata veloce che subito si allontana. Poteva essere un'arma segreta, che non doveva essere ripresa? Forse».G.G. 

domenica 17 marzo 2013

Gabriele D'Annunzio, un mistero fin dalla nascita



Bresciaoggi
martedì 12 marzo 2013

IL PERSONAGGIO. Un primo segno quando la famiglia cambiò cognome

Nato «nel mese fecondo
che da Marte si noma»

Introdotto al mistero da una parente badessa

di Attilio Mazza



Gabriele d'Annunzio nacque 150 anni fa, alle ore 8 di giovedì 12 marzo 1863, «con tante grida nel mese fecondo / che da Marte si noma, / entrando il Sole nel segno / dell'Ariete duro cozzante, / mentre passavan sul nostro / tetto col volubile nembo / i pòllini di primavera», scrisse nelle Laudi. 
Vide la luce nella casa paterna di Pescara in via Manthoné, terzogenito di Luisa de Benedictis andata in sposa il 3 maggio 1858 in Ortona a don Francesco Paolo d'Annunzio; la madre aveva 25 anni, il padre 26 anni. La casa dei giovani e abbienti coniugi era già stata allietata da due eventi: la nascita di Anna (1859) e di Elvira (1861); a completare la famiglia saranno poi Ernestina (1865) e Antonio (1867).
Alla madre, donna riservata, di tradizioni familiari signorili - e alla quale fu assai legato - Gabriele, barando sul giorno di nascita, attribuì il grido profetico: «Figlio mio, sei nato di marzo e di venerdì; chi sa quante grandi cose tu dovrai fare nel mondo!». Tra i giorni della settimana il venerdì è quello che meglio entra nei calcoli cabalistici e superstiziosi; così il poeta scelse di nascere di venerdì.
Anche il padre, amante della bella vita e delle belle donne, signorotto di provincia dai folti mustacchi e dal pizzetto curato, presentì in qualche modo che quel figlio era destinato a un grande futuro; e per festeggiarne la nascita si racconta abbia aperto la casa agli amici offrendo da bere a tutti, vuotando non poche damigiane di vino.
«Nomina sunt omina», dicevano i latini: i nomi sono presagi. Il primo «segno» si ebbe quando non era ancora nato. «Si sarebbe potuto cognominare Rapagnetta, come suo padre Francesco Paolo, come suo nonno Camillo; se non che il padre, adottato da uno zio per parte di madre, ne eredita i beni e il cognome: d'Annunzio. Il quale avrebbe dovuto, tuttavia appaiarsi con Rapagnetta, facendo il cognome Rapagnetta-d'Annunzio; ma non si conosce un solo documento, né di ufficio privato, in cui Francesco Paolo d'Annunzio figuri a un tempo Rapagnetta», scrisse Donatello d'Orazio. E solo il cognome d'Annunzio compare sul certificato di nascita di Gabriele. Giustamente osservò ancora d'Orazio: «Chi riesce a immaginare Laus vitae, poniamo, firmato anziché d'Annunzio, Rapagnetta?».

RITI SUPERSTIZIOSI. A una «fattura» fattagli dal nonno paterno, o meglio dalla consuetudine abruzzese di mettere nelle fasce del neonato monete d'argento (quattrocento), il poeta fece risalire la propria irrefrenabile prodigalità, scrisse al proprio editore Emilio Treves: «Ma lo sai che ero appena nato e mi corazzarono con quattrocento piastre d'argento? Come puoi dire che io non sappia il valore del danaro, se me lo misero tra le pieghe stesse delle fasce?» E sublimerà la propria travolgente prodigalità col motto «Io ho quel che ho donato» che volle inciso anche sul frontone triangolare della fontana al centro dei due principali portali d'ingresso del Vittoriale.
Una «fattura» di altro genere gli fece la nonna paterna donandogli un paio d'orecchini di brillanti: l'antica e gentile tradizione d'Abruzzo consente, infatti, di regalare ornamenti femminili al primo maschio di una coppia giovane, come auspicio e legame di felicità fino al giorno del matrimonio, quando cioè sceglierà la sposa e a lei offrirà quel dono. 
Chi crede nelle «fatture» potrebbe spiegare con questo episodio la componente femminea del carattere di d'Annunzio, da cui discenderebbero l'eterna malinconia, una certa passività, addirittura il suo inesauribile desiderio della donna: «se ne invoglia fino a quando non incontra in essa ciò che egli stesso possiede». Del resto, tra i numerosi pseudonimi, non disdegnò quello di Mimosa; alcuni biografi hanno anche rilevato la sua ambigua amicizia con celebri gay, come lo scrittore conte Robert de Montesquiou-Fezesensac a Parigi e alcuni fedelissimi a Fiume.

SAN GABRIELE. Ferruccio Ulivi ipotizza che sia stata la madre a pensare al nome nel ricordo del santuario di San Gabriele sulle pendici del Gran Sasso. «Ma dové intervenire anche l'assonanza che veniva a sigillare il cognome acquisito appena da una generazione: d'Annunzio». Già dai casati della madre, de Benedictis, e da quello del padre, D'Annunzio, si possono leggere i segni del destino; e al suo nome darà alte interpretazioni, creando giochi di parole: «Se io porto il nome dell'Arcangelo, ho nella mia mente il suggello sovrano dell'Arcangelo. Platone direbbe di me che sono una natura regale». Gli piacque ritenere la madre imparentata con Jacopo de Benedictis (o de' Benedetti), il grande poeta francescano Jacopone da Todi; tra i suoi avi ricordò anche, in una lettera, un antico tipografo: «Ho ritrovato un documento che dimostra come mia madre discenda da uno dei più insigni stampatori del primo rinascimento : Plato de Benedictis».
Tra le prime forti impressioni che gli rimasero impresse vi fu quella della casa materna di Ortona, vastissima «di architettura massiccia, tra il monastero e il fortilizio, tutta atrii anditi vestivoli cortili adornati di logge giardinetti murati corridoi lunghi a spartitura di stanze quasi celle». 
A Ortona, badessa del convento era una congiunta della madre, una Onofrii la cui famiglia ebbe in feudo Paganica. Il poeta raccontò l'introduzione ai misteri del destino che si leggono sulla mano avuta a nove anni dalla priora: «Dal parlatorio comune ella mi ammise nell'intimo della vita monastica: in privilegio di nepote. mi accoglieva talvolta nel segreto della cella quando s'adoperava a sapere le cose occulte e le venture con le sue arti divinatorie, se bene la divinazione sia stata sempre condannata dalla Chiesa mi prese le mani, me le voltò; e si mise ad esaminare i segni nell'una e nell'altra palma, mentre su le sue labbra vedevo disegnarsi parole non proferite. aguzzava ed eludeva la mia smania di sapere». Onufria lesse il destino di Gabriele inciso sulle mani e, raccontò in un libro, alla sua incredulità esclamò: «non dubitante ma ignorante sei. l'ignoranza nega il mistero perché non sa discernere i gradi del lume. tu sei mistero a te stesso, o figlio. qui, in questo tuo dittico vivente, son rivelati con brevi segni i segreti del tuo cuore e in bene e in male». 
E fu quella l'introduzione al mistero che dì Annunzio indagò nella vita e nell'arte. 

lunedì 11 marzo 2013

Il Badalisc al raduno delle maschere antropologiche


Bresciaoggi
venerdì 08 marzo 2013

CEVO. Andrista ha allargato gli orizzonti

Mostri etnografici
Una trasferta a Sud 
per il «Badalisc»

La maschera è finita in Basilicata

Tricarico è una cittadina della Basilicata legata alla «Federazione europea città del Carnevale», ma l'«evento mascherato» che ha ospitato nei giorni scorsi aveva poco del profano e molto del colto. E c'era anche un «mostro» della Valcamonica al secondo «Raduno delle maschere antropologiche» organizzato dalla Pro loco; un evento che ha visto partecipanti da mezza Italia. 
A rappresentare la Lombardia c'era il «Badalisc», la maschera mostruosa di Andrista di Cevo che ogni vigilia dell'Epifania viene «catturata» al termine di una caccia rituale e costretta a svelare agli abitanti del paese tutti i segreti e i gossip di cui è venuta a conoscenza nell'anno appena trascorso.
Ad «accudire l'animale» nel suo primo viaggio al di fuori della provincia di Brescia e ad arricchire il contenuto culturale della manifestazione c'erano Luca Giarelli e Marta Ghirardelli dell'associazione «LOntànoVerde», chiamati in Basilicata anche con lo scopo di presentare il volume da loro curato e intitolato «Carnevali e folclore delle Alpi. Riti, suoni e tradizioni popolari delle vallate europee». Il testo sarà nuovamente presentato a Malegno il 22 marzo.  

lunedì 4 marzo 2013

Tradizioni propizie per la primavera nel bresciano


Bresciaoggi
venerdì 01 marzo 2013
Lettere


In molti paesi bresciani la tradizione di propiziare l´arrivo della primavera ai primi di marzo

In molti paesi bresciani la tradizione di propiziare l´arrivo della primavera ai primi di marzo è ancora viva, soprattutto come memoria di altri tempi. Il "Tratto marzo" si svolgeva non solo nelle località ricordate ieri, ma anche a Leno, Mazzano, Valvestino, Vico di Capovalle. Inoltre le particolari consuetudini sono assai vive in altri paesi e meritano d´essere ricordate.
A Malonno era consuetudine entrare l´ultima sera di febbraio nelle stalle al grido "A´n dà fò fevru e nòm dà diter marsù", esce febbraio ed entra marzo: veniva così dichiarata la fine dell´inverno e augurata una buona primavera.
A Montichiari, all´inizio di marzo, se il cielo era limpido, due gruppi di uomini, appartenenti a due borgate diverse, si recavano all´imbrunire uno sul Colle San Pancrazio e l´altro sul Colle Santa Margherita per annunciare il nome delle ragazze da marito e di chi le voleva sposare. A Piazza di Corteno Golgi cori alternati dialogavano cantando canzoni amorose.
A Polpenazze si tramandano le "Ciocche di marzo", matrimoni impossibili pure annunciati dall´alto della collina. Gruppi di giovani, da due diverse località elevate sopra il borgo, si divertivano a tarda ora a preconizzare i futuri matrimoni burleschi e strampalati, accompagnando le urla con suoni prolungati di corni.
A Prevalle, sino ad alcuni lustri orsono, era in uso "Nà a ciamà sö l´erba", corteo che inscenava matrimoni burleschi tra le donne nubili e gli scapoli. Tale rituale era anche detto "Na´ a marida´ le pöte e i pöcc" oppure "Na´ a cioca´ le tole".
A Saviore dell´Adamello lo "Stratto di marzo" era occasione di giochi e di canzonature.
A Tignale, nelle ore serali dell´ultimo giorno di febbraio, il rito degli accoppiamenti del "Trato marso" veniva annunciato da uno squillo prolungato di corno subito seguito da altri provenienti da diverse direzioni.
A Tremosine due burloni, accompagnati dagli amici, raggiungevano due colli opposti e con grandi imbuti cominciavano a dialogare annunciando sempre accoppiamenti strampalati.