lunedì 28 gennaio 2013

Al Palazzon del diavolo un neonato sepolto


L'Arena
venerdì 25 gennaio 2013



SORGÀ. Emergono altri particolari sulle «presenze» all'interno della villa, di recente studiata da un gruppo di esperti

«C'è un bambino appena nato
sepolto al Palazzon del diaolo»



Onelia Foroni Recchia, sensitiva di Verona, visse dai 13 ai 18 anni nell'edificio e da subito avvertì «il dolore degli spiriti rimasti lì»

Se fosse un'indagine poliziesca, si direbbe che cominciano ad emergere sempre più particolari sul mistero delle presenze al «Palazzon del diaolo» di Sorgà. In realtà, a mano a mano che se ne parla, spuntano testimoni che per tempo si sono tenuti per sé i segreti scoperti nella villa perché, si sa, di queste cose - di persone morte che «vivono» in una casa - non solo non è facile parlarne, ma lo scetticismo mette in difficoltà gli stessi che hanno vissuto queste esperienze «paranormali». Il loro non è un mestiere, ma una capacità di captare e sentire che qualcuno possiede ed altri no.
La signora Onelia Foroni Recchia è una deliziosa e sorridente signora di 86 anni che «vede» le anime fin da quando era piccolissima. E, ancora oggi, è in contatto con esse, anzi, sono loro che la chiamano, dice. «Non evoco i defunti», precisa, «sono loro a presentarsi a me». In comune con altri sensitivi, anche le visioni della signora Foroni sono iniziate nell'infanzia e non l'hanno spaventata affatto. Da piccola giocava con i «bambini che arrivavano attraverso i muri», racconta, «poi mia nonna, anche lei medium, mi chiamava per la cena e mi diceva che era ora che li mandassi via e andassi a tavola». 
Poi di anni ne sono passati, ma non è mai passato, in lei, il suo straordinario senso percettivo.
Dai 13 ai 18 anni, Onelia Foroni dovette scappare dalla sua casa di Verona perché la città era assiedata dalle bombe della seconda guerra mondiale; si rifugiò nelle pertinenze della villa dei conti Murari-Bra, dove lo zio lavorava come fattore. «Avevano ampissimi possedimenti», racconta la signora, «e già allora c'era la diceria che il palazzon fosse abitato da spiriti. Un giorno sentii una fortissima negatività pervadermi: era dolore, e proveniva dal palazzo. Non vi entrai, però: allora la mia unica preoccupazione era partire prestissimo la mattina in bicicletta per andare a lavorare a Verona, come sarta, e tornare la sera».
Finché un giorno, inaspettatamente avvenne una rivelazione sul luogo dove era vissuta durante l'adolescenza: «Successe durante una seduta: un'entità mi disse che sapeva che avevo abitato accanto al palazzon del diaolo dai 13 ai 18 anni, e che lì dentro era stato sepolto un bambino appena nato. Quella villa è piena di presenze e stanno male, ecco perché sentii tutto quel dolore provenire da essa, perché queste anime non si rendono conto di essere morte, sono bloccate dentro se stesse, non hanno preso coscienza di sé e non si sono sciolti i sette corpi astrali che hanno ricevuto al momento della nascita di ognuno di noi. Quando si muore», spiega la sensitiva, «si perdono via via i sette corpi, senza sofferenza, ma se il decesso è violento, improvviso, questo processo può non avvenire o avvenire con molta lentezza, durare decenni. C'è da sperare, ma dubito, che quel neonato fosse già morto quando venne sepolto nel palazzo. Di certo è lì da almeno 100 anni. A mio parere, e per quello che ne so io, togliere la vita a un bambino è uno dei delitti più efferati e non solo per come lo percepiamo oggi in senso morale, ma perché prima che ognuno di noi nasca, gli «enteli», entità dell'altro mondo, preparano con cura la discesa dell'anima sulla terra e mostrano come sarà tutta la sua vita».
«Per esempio», prosegue per spiegare meglio una materia non così facile da accettare razionalmente, «se dei ragazzi muoiono in incidenti stradali, quasi sempre succede che loro non si accorgono di essere morti e credono di sognare, pensano di essere vivi: per questo certe presenze si comportano esattamente come quando erano in questo mondo».
Ma, al «palazzon» c'è il diavolo, come tramanda la leggenda? «No, non c'è il diavolo. Nell'aldilà c'è solo amore. Me lo dicono tutti, per primo mio marito, che mi sta sempre accanto dal giorno in cui morì. Mi ha parlato a lungo, dopo il suo funerale, e anche mio figlio, che morì a 21 anni in un incidente di moto».
A parlare con Onelia, la paura delle paure o, almeno, la più diffusa tra gli esseri umani - quella della morte - si dilegua. Secondo la sensitiva ci aspetta non solo un posto «pieno di amore ma anche un ritorno in terra, sotto altro aspetto o anche sesso. Ma questo non avviene subito, può capitare anche dopo decenni».
Di pre-visioni, la signora Onelia ne ha avute parecchie, insieme ai contatti con l'aldilà - uno fra tutti, con Dante Alighieri che a lungo le spiega quanto fosse innamorato di Beatrice ma, sposato, non osò mai toccarla - come quella dell'appartizione della sua casa, fin nei minimi particolari, e prima che fosse costruita.  

giovedì 24 gennaio 2013

recensione: "Il grande fiume Po"


Tra saggio e racconto, percorrendo una linea armoniosa che ondeggia tra la storia e le leggende fluviali: come il fiume in piena quando scende verso valle, Guido Conti attinge e trascina con sé tutto ciò che può per raccontare “Il grande fiume Po” e le sue correnti, che nei secoli insieme hanno spesso scritto indice e trama per uomini, popoli, viaggiatori, letterati e avventurieri che hanno abitato i suoi argini e sono transitati per queste terre.

L’autore inizia il suo viaggio da Plan del Re, dove il Po si mostra per la prima volta tra i prati; da qui ne percorre fisicamente il tragitto fino alla foce, dove l’acqua dolce si confonde con quella salata, per raccontare la geografia e la storia delle sue sponde. Ma soprattutto ne riesplora le storie, i miti, le narrazioni, che da sempre si sono identificate con l’Eridano, l’antico fiume narrato fin dagli albori della civiltà greca da Esiopo, e che tutt’oggi continuano a essere oggetto di ispirazione per autori e cantastorie contemporanei. Per Conti, parmigiano, non è solo un viaggio nella vita delle sue terre, ma lo è anche dentro se stesso, lungo le tracce che il Po lascia dietro e attorno a sé e che non possono certo lasciare indifferente chi vive in uno dei numerosi luoghi lambiti dal fiume. Posti differenti, città, affluenti, paesini, che possiedono ciascuno un proprio carattere. “Il Po che passa per Torino e accarezza il Parco del Valentino è diverso da quello dell’Oltrepò pavese e da quello che comincia a Piacenza, e non è lo stesso che solca la pianura fino a Mantova; da Ferrara al delta il fiume cambia di nuovo aprendosi come un fiore di canali verso il mare. Il Po è sempre se stesso ma è sempre diverso ogni volta che lambisce un territorio. Una metamorfosi continua”.



La storia di un fiume come il Po è fatta di letteratura e musica, delle Canottieri sportive ma anche delle guerre qui combattute e delle difficoltà affrontate per sopravvivere a dispetto del fiume stesso: Il desiderio di governare le acque del grande fiume, la realizzazione dei canali, degli argini, le bonifiche delle paludi con il prosciugamento del lago Gerundo intorno all’anno Mille: a nord del Po tutto questo ha il sapore della battaglia. Strappare la terra al fiume per prosciugare gli acquitrini. Vincere la malaria è stata una lotta millenaria che ha portato alla costruzione di complessi canali di bonifica, all’innalzamento degli argini, alla creazione di pennelli nel corso del Po per guidare la corrente che rode le sponde. È una lotta con un mostro, il grande fiume, che alza la schiena quando vuole, rompe gli argini e allaga la campagna ogni volta, mostrando agli uomini che la natura regna sovrana anche dove l’uomo progetta, costruisce e ordina con la sua intelligenza".

In oltre 400 pagine, che letteralmente “scorrono” e che possono essere anche sfogliate e lette secondo un proprio ordine e percorso, la memoria del fiume diventa la vera protagonista attraverso gli incontri, le letture, le fotografie, le cartine, le chiacchierate e i momenti di silenzio che a Guido Conti sono necessari per raccontare una storia semplice ma oscura, stratificata e mai banale, perché il fiume può essere silenzioso e a volte discreto, ma mai è indifferente: Una presenza-assenza che attraversa la città e la pianura verso il mare. Lui porta via anche le nostre storie e le voci del mondo, un fiume infernale, nel buio della notte”.


Simona Cremonini

giovedì 17 gennaio 2013

Sorgà, gli spettri del Palazzo del Diavolo


L'Arena
mercoledì 16 gennaio 2013 


SORGÀ. I «Ghost Hunters Team» sono rimasti esterrefatti per il gran numero di «presenze» che sono state rilevate al «Palazzon del diaolo»

«Uno spettro della villa ci ha parlato»

Il gruppo di esperti, oltre alle voci femminili in coro che provenivano dal pozzo, hanno avuto risposta da un certo Alfio: sarà il parroco della leggenda?

Del diavolo - che dà persino il nome al luogo - non hanno trovato traccia. Eppure dal «Palazzon del diaolo» sono usciti loro stessi esterrefatti. Si aspettavano, certo, di trovare «qualcuno», delle presenze, forti anche delle testimonianze arrivate da Sorgà su fenomeni strani che accadevano sia dentro la villa che nelle case accanto ad essa. Sapevano insomma, ma non che ci fossero così tante presenze e per giunta misteriosissime.
Mentre nel castello di Bevilacqua i fantasmi che si sono manifestati sia ai proprietari che agli ospiti del relais sono noti e appartengono alla nobiltà che viveva nel maniero, non così facile sarà comprendere chi siano coloro che hanno parlato con i «Ghost Hunters Team», gruppo di esperti che sono stati al palazzo di Sorgà a raccogliere elementi.
Quella più inquietante è senza dubbio la risposta che una di queste presenze ha dato agli appassionati di ricerche sul paranormale: «Noi poniamo sempre domande, quando gli strumenti registrano qualcosa che può essere una voce», dice infatti il sensitivo di Milano, Daniele Piccirillo, «chiediamo chi sia a parlarci. E quella sera abbiamo ottenuto un nome: Alfio. La risposta è stata udita da tutti noi. Al pari dei cori di canti sacri che venivano dal pozzo: voci femminili. Ma il vero mistero rimane quest'uomo che non si sa, per ora, chi sia».
Mirko Barbaglia, il responsabile del gruppo, conferma: «Non sappiamo chi sia, se sia il parroco di cui parla la leggenda, che tentò di riportare i fedeli in chiesa, sulla retta via, anziché partecipare a riti orgiastici e festini nel palazzo. Verranno condotte delle ricerche storiche, così sapremo chi fosse Alfio».
Ma altre risposte sono arrivate, inaspettatamente numerose, dalle segrete e dalle soffitte del Palazzo del diavolo: «Abbiamo ricevuto anche specie di minacce: qualcuno ha gridato chiaramente "andate via di qui", un altro ci ha insultati, ma non possiamo riferire come», prosegue Barbaglia, «e comunque i canti che arrivavano dal pozzo sono durati moltissimo, almento un quarto d'ora. Siamo entrati, ma a orecchio nudo non si sentiva nulla. Questi fenomeni si chiamano metanofonia e sono ultrasuoni che si possono percepire solo con particolari strumenti».
Questo per quanto riguarda le «voci». Ma non è tutto, perché nel palazzo si è verificato un altro fenomeno misterioso: «Ad un certo punto si è alzata una palla di luce che ha fluttuato sopra il pozzo, evidentemente delle anime che volevano manifestare la loro presenza», dice Piccirilli. Senza contare altri segnali, come dita che picchiettavano sul microfono, passi, e, infine, addirittura dei tentativi di «sabotaggio»: «Avevamo posizionato un microfono con l'asta stretta a mano. Per due volte lo abbiamo trovato completamente girato e non c'era assolutamente nessuno».
Ora ogni registrazione, sia su pellicola - per ora pare che nulla si sia impresso sulle foto - che su supporto audio, sarà inviato ad esperti che sanno come sviluppare ed interpretare correttamente ogni segnale catturato. 
«È certo che torneremo, questa primavera», dicono sia Piccirilli che Barbaglia, «perché c'è ancora molto da scoprire, da fare, lì dentro. Ma lo faremo in sordina per avere tutta la tranquillità necessaria per le nostre ricerche». 



«Scettica ma ho assistito
io stessa a tanti eventi»

Il padre è scettico, la figlia anche, ma non può proprio dire che non esista nulla. Giacomo Murari Bra, proprietario del «palazzon», proprio non ci crede ai fantasmi nella villa: «Sono totalmente scettico. Basta leggersi cosa dice il Comitato di controllo delle attività paranormali: niente è mai stato provato scientificamente. Non è la prima volta che vengono fatte ricerche di questo tipo qui. A parte questo gruppo di ragazzi che mi parevano più seri degli altri, c'è un sacco di gente scombinata che viene in villa: traccia la posizione delle stelle sul pavimento, fa riti. Ma non succede nulla. Anzi, dal 1993, da quando una parte del palazzo è stato concessa all'associazione Amici dei Nomadi, secondo me, se anche gli spettri c'erano, se ne sono andati tutti: hanno sentito il profumo del risotto col tastal e via». 
Ma mentre Murari Bra se la ride sotto i baffi, la figlia Caterina, 20 anni, studentessa, è incredula: da una parte non crede, ma dall'altra vede e sente. «Sì. Ho assistito personalmente a dei fenomeni che non si spiegano, in casa mia, vicino al palazzo», racconta la giovane. Ad esempio? «Eravamo in cucina io e mia madre e la ciotola del cane si è spostata da sola. Poi, una sera che era con noi il mio fidanzato, successe che perse le chiavi della macchina: non si trovavano e ad un certo punto caddero da soffitto. Ad un mio amico è uscito improvvisamente il portafoglio dalla tasca, senza che lui si fosse mosso».
Caterina ci è abituata. «Non ho affatto paura», dice la studentessa, «sono cose che succedono a casa mia e anche in altre case qui vicino. Essere un po' scettici va bene e pure non avere paura, anche se c'è qualcuno che invece si prende dei bei spaventi: molti gruppi si riuniscono per sedute spiritiche e ne escono davvero impressionati», conclude Caterina.D.A.  

La storia di un "papà del gnoco" in un libro


L'Arena
martedì 15 gennaio 2013



STORIA E TRADIZIONE. Il libro, edito da Delmiglio, sarà presentato venerdì alla società «Il Calmiere» alla presenza di monsignor Ballarini e del patron Luigi D'Agostino

Un ex Papà del Gnoco racconta come si diventa «sire»

Enrico Marchi in passato è stato re del Bacanal: «Una figura amata per la bontà e generosità verso tutti»

In clima carnevalizio arriva in libreria Il Sire, Semel in anno licet insanire di Enrico Marchi, Delmiglio editore.
Le memorie di un sovrano del Bacanal verranno presentate venerdì prossimo, alle 18, alla Società «Il Calmiere» di Piazza San Zeno. Il Papà del Gnoco è una delle più antiche maschere d'Europa e, per poter indossare i panni di questo sire occorre sottoporsi a una trafila lunga e complessa che passa attraverso una campagna elettorale ed elezioni popolari.
Enrico Marchi, ex Papà del Gnoco, racconta la sua storia personale, rievocando tra aneddoti e riflessioni i momenti tipici della preparazione e della realizzazione del carnevale.
Nella seconda parte del libro, l'autore tratteggia le origini e la storia dell'antica manifestazione scaligera e delle principali maschere cittadine.
«Il Papà del Gnoco, o Sire del Carnevale cittadino», scrive nella prefazione del libro monsignor Giovanni Ballarini, abate di San Zeno, «è una figura amata per la sua bontà e generosità, testimoniata nelle sue visite benefiche nelle case per gli anziani, nelle scuole dei bambini, nei centri per i disabili e gli sfortunati. Come ci ricorda un detto della sapienza rabbinica ebraica: "È saggio non chi sa più cose di altri, ma chi è pronto e disponibile a imparare da ognuno qualcosa di nuovo". Penso che vivere l'esperienza di Sire, possa dare ragione a questo modo di concepire la saggezza umana. E sono certo che chi legge troverà briciole di saggezza con cui arricchirsi in queste pagine, in un momento storico di degrado, di banalità, di volgarità, di vuoto di valori. È questo il mio auspicio per ogni lettore». 
Enrico Marchi, veronese, classe 1951, ha esercitato la propria attività professionale presso la società Cattolica Assicurazioni.
Esperto di informatica, ha tenuto il primo corso di questa materia al Centro Toniolo nel 1985. È stato eletto Papà del Gnoco nel 1992. Oltre che di tradizioni veronesi, è appassionato di musica e cucina.
Alla presentazione del libro, oltre all'autore, parteciperanno monsignor Ballarini ed il presidente del carnevale Luigi D'Agostino. 

Addio ad Arnaldo Begali, studioso di ufo



L'Arena
martedì 15 gennaio 2013



LUTTO. Fondò l'Osservatorio di ricerca sismica, collaborò per anni con il meteorologo Bellavite

L'addio ad Arnaldo Begali,
studioso di terremoti. E di ufo

Malesani: «Ha lasciato alla città un patrimonio immenso di dati»

La sua capannina con tutti gli attrezzi, gli strumenti di misurazione, i «ferri» del mestiere per sondare il cielo e la terra, lo spazio cosmico e l'atmosfera, sono ancora nella sua casa in Valpolicella, esattamente dove lui li ha lasciati. 
Arnaldo Begali si è spento sabato, dopo una dura lotta contro una grave malattia degenerativa, a 92 anni. Ma il patrimonio di dati raccolti e monitorati per anni dalla stazione radar sulle Torricelle, di conscenza e di curiosità coltivate con passione, rimane indelebile per la città.
Fondatore dell'Osservatorio di Ricerca Sismica a Verona, Begali ha collaborato per anni con L'Arena per le previsioni del tempo, lavorando a fianco con un'altra personalità famosa nel settore: il metereologo Emilio Bellavite, anch'esso recentemente scomparso.
Appassionato di Ufo, con cui cercò di mettersi in contatto per ben due celebri tentativi utilizzando i codici interplanetari, è stato un grande studioso di tutti quei fenomeni endogeni che si manifestano sul pianeta terra. Sul sito dell'Osservatorio sismico veronese, gestito da Giangaetano Malesani, è on line un'intera pagina dedicata a Begali, con foto e alcune delle ricerche portate avanti nel veronese negli ultimi quarant'anni.
«Insieme a Arnaldo, ho conosciuto tutti i meccanismi premonitori del terremoto, i segreti dei microsismi crostali, l'evoluzione meteo dell'area veronese la tecnica per costruirsi un sismografo. Di lui ricordo l'interessante personalità e l'amore per il prossimo», racconta Malesani, che aggiunge, «Verona e i veronesi devono molto a questo concittadino. Ricordo che, oltre 30 anni fa siamo rimasti svegli un'intera notte per monitorare alcuni mocrosismi e capire come agissero».
«Ci siamo conosciuti nel '77 e dagli anni '80 in poi abbiamo collaborato molto insieme. Alla città Arnaldo ha lasciato un patrimonio immenso di dati cartacei che sto salvando in un archivio informativo», spiega Malesani. Come funzionario del Ministero dell'Agricoltura, dalla stazione delle Torricelle a San Mattia, osservava e teneva monitorato il fenomeno della grandine. «In pratica, redigeva dati meteo in alfabeto morse», specifica Malesani. «La sua lunga ricerca è stata anche sui fenomeni ufologici e sismici».
«A volte, negli anni, gli abbiamo un po' rimproverato questa sua completa dedizione alla ricerca: passava più tempo sulle Torricelle che a casa. Poi ne abbiamo capito l'importanza. Ha costruito il primo sismografo; questa passione faceva parte della sua vita, come la sua famiglia», ricorda con affetto e commozione Nadia, la terza delle quattro figlie.
L'ultimo saluto a Begali verrà celebrato oggi pomeriggio, alle 15, nella parrocchia di San Pietro in Cariano.
Fra qualche settimana, a febbraio, avrebbe compiuto 93 anni. Da giovane partì soldato e fu mandato a Cefalonia; meta nefasta da cui molti non tornarono. A salvarlo, durante la guerra, fu proprio la sua passione per le radio e la conoscenza dei sistemi di comunicazione utilizzati al tempo. Fu, infatti, sottoufficiale alle trasmissioni.
Al suo fianco fino all'ultimo gli è rimasta la moglie Bertilla e le figlie, Ornella, Rosanna, Nadia ed Elena. Una famiglia numerosa a cui da qualche anno si erano aggiunte le due nipotine Alice e Sara. I.N. 

Canti di fantasmi nel Palazzo del Diavolo


L'Arena
martedì 15 gennaio 2013 


SORGÀ. Il gruppo ufficiale di ricerca sul paranormale della trasmissione «Mistero» nell'edificio «dedicato» al diavolo

I ghostbuster sentono cantare
nei sotterranei del «Palazzon»

Il «Ghost Hunters Team» ha rilevato cori sacri e una forte attività elettromagnetica Il sensitivo in «stato di disagio»

Nei sotterranei del «Palazzon del diàolo» sono stati rilevati canti corali, simili ai canti gregoriani che si sentono cantare nelle chiese e una forte attività elettromagnetica. 
È questo il primo risultato delle ricerche effettuate sabato notte dal gruppo comasco «Ghost Hunters Team», gruppo ufficiale di ricerca sul paranormale della trasmissione televisiva «Mistero» di Italia 1, coordinato da Mirko Barbaglia. «Abbiamo iniziato le ricerche verso le 20,30 terminandole poco prima dell'una di notte, sia nei sotterranei sia nel sottotetto. Specialmente nei sotterranei abbiamo riscontrato una forte attività elettromagnetica di fatto inspiegabile non avendo riscontrato la presenza di fonti artificiali elettriche nel luogo», racconta Barbaglia.
Successivamente, il fonico Fulvio Caimi ha posizionato dei microfoni panoramici sull'anello sommitale del pozzo «rasadòr». 
«Da questi microfoni, attraverso le cuffie, si sono sentiti, per qualche tempo, dei canti corali, simili ai canti gregoriani che si sentono nelle chiese», continua il coordinatore del gruppo di ricerca. «Siamo subito usciti all'esterno del palazzo per verificare che non ci fossero magari una radio o altri apparecchi che emettessero quei canti. All'esterno, nell'oscurità, il silenzio più assoluto circondava il palazzo. Si tratta di suoni o rumori che le nostre orecchie non avrebbero potuto percepire facendo essi parte degli infrasuoni e degli intrasuoni». 
Per quanto riguarda invece le immagini registrate e le foto scattate con strumenti a raggi infrarossi e ultravioletti, «a una prima analisi superficiale, non abbiamo riscontrato alcuna figura», osserva il responsabile del gruppo Ght. «Le foto saranno comunque inviate a Torino dove un esperto del settore che ci coadiuva nelle ricerche, Alessandro Cercara, le analizzerà approfonditamente nei suoi laboratori e ci darà una risposta». Brabaglia sottolinea che tutti i partecipanti alle operazioni di ricerca, durante la registrazione dei canti e dei rumori con le apparecchiature, in contemporanea hanno percepito delle strane sensazioni. 
«Dall'inizio fino alle 22,30, provammo delle sensazioni assai strane che è difficile descrivere: uno stato di disagio confermato anche dal nostro sensitivo Daniele Piccirillo. Tutto è sparito quando anche gli apparecchi hanno smesso di registrare i fenomeni». 
Nel pomeriggio sono accorsi a Sorgà numerosi ragazzi e ragazze, giovanissimi, non solo del luogo ma provenienti anche dai paesi limitrofi, oltre a diversi adulti, per assistere alle operazioni di ricerca dei fantasmi, che si dice lo abitino. Per la cronaca l'unica presenza accertata e reale è quella del club «Amici dei Nomadi» che ha la sua sede al piano rialzato dell'edificio cinquecentesco. 
Le operazioni sono iniziate con il volteggiare in cielo di un piccolo «drone», munito di telecamere, per riprendere dall'alto la scena entro la quale si inserisce il «palazzon del diàolo» per introdurre il servizio televisivo incentrato appunto sulla ricerca dei fantasmi. 
È stata l'unica operazione cui la gente ha assistito, rimanendo alla fine delusa. La delusione è presto chiarita. Le ricerche con i rilievi strumentali per captare rumori dovevano essere eseguite dopo le 20, col calar delle tenebre, a porte chiuse. Questa scelta, se da un lato ha aumentato l'alone di mistero che circonda il luogo, dall'altro ha una spiegazione, diciamo così, pratica. 
«Non è che i fantasmi o le loro “voci” si manifestino solo durante le ore notturne com'è nell'immaginario collettivo», osserva Barbaglia. «Semplicemente dobbiamo operare a porte chiuse e di notte perché le interferenze di rumori esterni sono ridotte la minimo e si evitano così sovrapposizioni nelle registrazioni che potrebbero falsarle». 
Le operazioni tecniche per registrare suoni, presunte voci e rumori, sono state effettuate da Fulvio Caimi, di Milano, fonico di professione, collaboratore esterno del gruppo comasco che utilizza dei microfoni panoramici a bassa frequenza e tutto il materiale viene salvato su una multitraccia digitale. 
Caimi aggiunge che il tutto verrà poi analizzato con appositi filtri mettendo in rilievo le frequenze che possono contenere una voce o un rumore. Alla fine i rumori ed i suoni eventualmente percepiti saranno catalogati come Evp (Electronic voice presence). 
Alle ricerche ha partecipato anche un sensitivo, Daniele Piccirillo, per scoprire se ci sono fenomeni paranormali o di magnetismo. Tra gli strumenti usati anche telecamere a raggi infrarossi e macchine fotografiche a raggi ultravioletti per «immortale» eventuali figure di fantasmi non visibili dall'occhio umano. 



LE CREDENZE. Molte le versioni tramandate. In comune pianti e urla provenienti dall'edificio

Secondo la leggenda Belzebù
nel '600 abitava quelle stanze

Fu cacciato dal parroco che benedì la casa durante una festa satanica

Il tentativo di svelare i misteri della leggenda secolare sul «palazzon del diàolo», messo in atto, sabato notte, dal «Ghost Hunters Team», ha un precedente amalogo. 
Il 4 novembre 2012 il gruppo «Hespery Crew», effettuò delle ricerche i cui risultati si possono vedere in un breve filmato messo in rete. Ma perché si chiama palazzo del diavolo? E qui nasce la leggenda che il maestro Renzo Colombini, morto nel 1966, appassionato di chiromanzia, astrologia, filosofia, parapsicologia, ipnotismo, scrisse e pubblicò sui «Quaderni di vita veronese», nel 1949, una raccolta di leggende popolari della Bassa veronese. 
Si racconta infatti che nel '600 il palazzo fosse sprofondato dopo che il parroco dell'epoca, alla testa di una processione di fedeli oranti, si recò davanti al palazzo durante lo svolgimento di una festa satanica, cospargendolo di acqua santa, con la benedizione, per scacciare appunto il diavolo che, secondo la credenza popolare, lo abitava. L'operazione ebbe l'effetto sperato tanto che il palazzo addirittura sprofondò di un piano. I fantasmi che la gente credeva lo abitassero, i pianti, le urla che si diceva si sentissero di notte, avevano una giustificazione molto più banale, come la storia del pozzo «rasadòr» (tagliatore), un pozzo che si trova nei sotterranei, ora riempito di terra, sul cui fondo si diceva ci fossero delle lame che tagliavano a pezzi chi vi veniva gettato dentro. 
«Poiché il palazzo fu costruito per conto del mago De Bursis», spiega Giacomo Murari Dalla Corte Bra, «si racconta che i nemici del mago venissero uccisi gettandoli nel pozzo “rasadòr” che però non risulta avesse delle lame». Ma circola anche un'altra versione della leggenda, stavolta illustrata in un quadro naif. A «raccontarla» con il pennello un pensionato sorgarese, Olirco Bozzini, ex meccanico, pittore naif da oltre 40 anni, che nel lontano 1982 ritrasse, in un quadro, le fasi salienti della misteriosa storia popolare. 
«Con quel quadro vinsi anche un premio a un concorso per pittori naif ad Arona, sul lago Maggiore», ricorda con orgoglio. Sottolinea subito che la sua versione della leggenda si discosta da quella scritta dal maestro elementare Renzo Colombini. Infatti Bozzini ricorda che, da ragazzino, sentiva raccontare la storia del parroco di Sorgà dell'epoca, agli inizi del 1600, che decise di benedire il palazzo dei Conti Murari Dalla Corte Bra, che si diceva fosse abitato dal diavolo, perché ormai i suoi parrocchiani non andavano più in chiesa ma correvano a frotte nel palazzo dove Belzebù organizzava, evidentemente gratis, orge e riti satanici con vergini pulzelle che poi uccideva gettandole nel famoso pozzo “rasadòr" e prendersi le loro anime dannate. Nel dipinto di Bozzini si vede infatti il prete seguito non da una processione di uomini e donne oranti, come raccontato dal maestro Colombini, ma soltanto da due donne, e lui (il prete, ndr) che benedice il demonio con una croce e non con l'aspersorio. Inequivocabili si vedono i segni della vendetta luciferina: fulmini che colpiscono il campanile della vicina chiesa parrocchiale, distruggendolo, e il palazzo, che poi sarebbe sprofondato, dove si notano giovani fanciulle nude che tentano di entrarvi: chi dalla porta principale, chi usando addirittura delle scale a pioli per accedere ai piani superiori, tutte ansiose di partecipare alle orge sataniche. Insomma un assalto per entrare nel palazzo dei peccati e della lussuria sfrenata. Con questa nuova versione il mistero del “palazzon del dialo” continua. Un mistero avvolto nella leggenda che, dopo tutto, ai sorgaresi forse non dispiace che rimanga tale a meno che i risultati delle ricerche del “Ghost Hunters Team" non riescano a metterci, una volta per tutte, la parola fine. 
Ma, a quanto sembra, il mistero continua. LI.FO. 

domenica 13 gennaio 2013

Seniga, una santella tra devozione e mistero

Giornale di Brescia, 2 gennaio 2013



La vecchia brucia in Piazza Bra a Verona


L'Arena
lunedì 07 gennaio 2013


FIAMME IN BRA. Le «falive» vanno verso Garda, grande folla in piazza ad ammirare l'antico rito propiziatorio di buone nuove

Il falò in Bra allontana
le negatività del 2012

Migliaia di persone davanti all'Arena. Il rogo accompagnato prima dai tamburi e poi dalle note del compositore Vangelis



Brucia, vecchia, brucia. Bruciano con te le preoccupazioni, le cose non dette, quelle fin troppo dette. Le aspettative disilluse, i dolori provati, le paure patite.
Scalda fuoco, scalda. Gli animi pietrificati dalla sofferenza, dai patimenti. E purifica, purifica dalle cattiverie, dalle malattie, da questa crisi che non lascia il nostro Paese.
Quanti pensieri sono volati in alto ieri pomeriggio alle 18, quando la pira costruita in piazza Bra ha preso fuoco. Prima la luce dei fuochi attorno a illuminare la scena, poi il castello, dato alle fiamme dal cuore, fino a lavare per decine di metri le fiamme. E il tepore delle fiamme a riscaldare le migliaia di persone arrivate in Bra per tradizione, per scaramanzia, perchè sì l'Epifania che «tutte le feste si porta via», si porti via con sè tutto quello che dell'anno appena passato non ci era proprio piaciuto.
Prima i tamburi, a ritmare quei guizzi rapidi, i crepitii, poi, quando le fiamme erano alte imponentissime e quasi spaventose, ecco partire la musica, (grazie ad Eventi) del grande compositore Vangelis con la colonna sonora del film «1492 la conquista del paradiso», che narra del viaggiatore Colombo verso le Americhe. Lui ha conquistato il nuovo mondo. A noi basterebbe migliorare quello in cui viviamo.
Un tempo erano campanacci, latte, trombe, ferri e catene, si faceva un rumore assordante per spaventare gli spiriti maligni che si aggiravano per i paesi e le campagne. Per cacciarli via per sempre, restituendo pace agli uomini. I cacciatori sparavano in aria tanti colpi di fucile, perché colpissero direttamente il cuore delle streghe, sperando di liberarsi una volta per tutte della loro presenza. Quando le fiamme avevano bruciato la cattiva Befana e si spegnevano lentamente, si diceva che, morta la crudele vecchia, da quel rogo rinascesse finalmente la Befana buona, portando un gran regalo per tutti.
Nel Medioevo, periodo ricco di racconti demoniaci e di magie, si dava molta importanza al periodo compreso tra il Natale e il 6 gennaio, un periodo di dodici notti dove la notte dell'Epifania è anche chiamata la «Dodicesima notte». È un periodo molto delicato e critico per il calendario popolare, è il periodo che viene subito dopo la seminagione; è un periodo, quindi, pieno di speranze e di aspettative per il raccolto futuro, da cui dipende la sopravvivenza nel nuovo anno. La festa della Befana ha origine da antichi elementi folclorici pre-cristiani, recepiti ed adattati dalla tradizione cristiana. In particolare questa figura è probabilmente da connettere a tradizioni agrarie pagane relative all'inizio dell'anno. In tal senso l'aspetto da vecchia sarebbe da mettere in relazione con l'anno trascorso, ormai pronto per essere bruciato per "rinascere" come anno nuovo.
Ieri sera le «falive» sono andate verso ovest, verso Garda.
«Se le falive va al garbin, parécia el caro pa 'ndare al mulin. Se le faìve va a matina, tol su el saco e va a farina. Se le faìve va a sera, la poenta impiega la caliera», recita un vecchissimo proverbio. Che sia per tutti un anno migliore. 

Al Palazzo del Diavolo gli esperti di fantasmi a Sorgà


L'Arena
venerdì 11 gennaio 2013

SORGÀ. Nell'edificio abbandonato entra il «Ghost hunter team» con attrezzature in grado di rilevare presenze strane

Nel «palazzon del diaolo»
arrivano gli esperti di fantasmi

Dopo alcune segnalazioni mirate la trasmissione tivù «Mistero» vuole documentare i fenomeni che si verificano nella villa

La Bassa terra di fantasmi? Se il primo esperimento di ricerca di anime di defunti, eseguito a novembre al Castello di Bevilacqua, ha confermato che nel maniero è rimasto, con somma gioia, lo spirito della contessina Felicita Bevilacqua, ultima discendente della nobile dinastia proprietaria del luogo, nonché di Guglielmo Bevilacqua, altro avo della stirpe, ora il sospetto che il territorio pulluli di fantasmi si fa più concreto. Basta cercarli.
Ed è quello che farà domani il «Ghost hunters team», un gruppo di esperti che fa questo mestiere in forma professionale. Normalmente si occupa di rilevare presenze soprattutto nella abitazioni. Ma, a differenza di Francesca Gargano, la sensitiva vicentina che esplorò il Castello di Bevilacqua e che si occupa anche di «liberare» i luoghi dalle anime («perché in realtà, la maggior parte è alla ricerca della propria strada, del loro luogo che non è la terra», disse la signora), il team che domani sarà a Sorgà cerca prove e documenta scientificamente le presenze ultraterrene.
In ogni caso, che ci si creda o meno, la loro visita al «Palazzo del diavolo» - è lì che sono stati chiamati ad operare - per chi ama mistero e paranormale, non può che incuriosire, e proprio a partire dal nome che si porta dietro la villa. Meglio conosciuto come «el palazzon del diaolo», la struttura evoca da secoli storie misteriose e ha dato origine a leggende tramandate fino ad oggi.
Un luogo simile non poteva non destare l'interesse di chi si occupa di paranormale. Così, domani, dalle 16, il «Palazzo del diavolo» sarà «esaminato» dal «Ghost hunters team», gruppo di ricerca che collabora con la trasmissione televisiva «Mistero» di Italia 1.
«Alcuni giorni fa ho ricevuto una telefonata dal responsabile del gruppo di ricerca Ght», racconta Giacomo Murari Dalla Corte Bra, figlio del Conte Vittorio, proprietario del palazzo disabitato, «che mi chiedeva l'autorizzazione per svolgere nel palazzo un'indagine ed un servizio per un loro nuovo progetto sulla ricerca di fantasmi. Ho accolto di buon grado la richiesta, seppur con scetticismo, e sono curioso di sapere come sono arrivati a Sorgà».
È presto detto. «In zona abbiamo dei referenti che ci hanno segnalato questo palazzo misterioso», dice Mirko Barbaglia, fondatore del gruppo. «Dalle informazioni avute, sembra che il palazzo fosse luogo di sacrilegi, di peccati di ogni sorta e che vi albergasse il diavolo dopo essere stato evocato con sacrifici umani. Nei sotterranei c'è anche un pozzo e dei cunicoli al cui interno si racconta ci fossero i demoni cui avevano immolato delle vergini sventurate. Si narra di luci che misteriosamente si spengono e si accendono, di strani rumori, di pianti ed ombre che aleggiano nei dintorni».
Barbaglia aggiunge che il lavoro del gruppo consiste nel cercare di rilevare, con strumenti tecnologici, parametri ambientali non spiegabili, quali cambiamenti di temperatura, campi elettromagnetici, con telecamere a raggi infrarossi o ultravioletti e registratori per captare ultrasuoni e infrasuoni non percettibili dall'uomo. Il risultato delle ricerche sarà messo a disposizione sul sito www.aliismundi.tv.
Il palazzo, edificato alla fine del '500, usato come deposito di granaglie, non è mai stato abitato, se non da famiglie di sfollati durante l'ultima guerra. Ma perché si chiama palazzo del diavolo? E qui nasce la leggenda che il maestro Renzo Colombini, morto nel 1966, appassionato di chiromanzia, astrologia, filosofia, parapsicologia, ipnotismo, scrisse e pubblicò sui «Quaderni di vita veronese», nel 1949, una raccolta di leggende popolari della Bassa veronese.
Si racconta infatti che nel '600 il palazzo fosse sprofondato dopo che il parroco dell'epoca, alla testa di una processione di fedeli oranti, si recò davanti al palazzo durante lo svolgimento di una festa satanica, cospargendolo di acqua santa, per la benedizione, per scacciare appunto il diavolo che, secondo la credenza popolare, lo abitava.
L'operazione ebbe l'effetto sperato, tanto che il palazzo addirittura sprofondò di un piano. I fantasmi che la gente credeva lo abitassero, i pianti, le urla che si diceva si sentissero di notte, avevano una giustificazione molto più banale, come la storia del pozzo «rasadòr» (tagliatore), che si trova nei sotterranei, ora riempito di terra, alle cui pareti pare ci fossero conficcate delle lame che tagliavano a pezzi chi vi veniva gettato, specie, si dice, le amanti del signore in origine proprietario del palazzo.
«Poiché il palazzo fu costruito per conto del mago De Bursis», spiega Giacomo Murari, «si racconta che anche i nemici del mago venissero uccisi gettandoli nel pozzo rasadòr». Fin qui la leggenda.
Ben diversa invece la realtà. Nel '600 le misere case, detti «casotti», dei popolani, erano a piano terra; non esistevano i seminterrati perché, essendo la zona paludosa, sarebbero stati invasi dall'acqua. «Il fatto di vedere un grande palazzo con mezzo piano fuori terra e mezzo sotto terra probabilmente», secondo Murari, «ha impressionato la gente che ha finito per credere che tutto ciò fosse opera del diavolo».
Per quanto riguarda Lucifero, i fantasmi e tutto il corollario di misteri che circolano sul «palazzon», pare siano stati invece originati da un trucco ben orchestrato da chi, di notte, in realtà gozzovigliava nei saloni del palazzo, con orge e riti anche satanici, e per evitare che la gente sapesse di queste feste, avevano sparso la voce che il palazzo fosse abitato dal diavolo. Da qui la paura ancestrale del demonio inculcata nel «popolino» da spaventarlo talmente tanto che, come calavano le tenebre, non usciva più di casa. Così nessuno vedeva quali oscuri riti e feste si svolgevano nel «palazzon del diaolo» dando così sfogo all'immaginazione per giustificare le proprie paure.




«Il diavolo in quella villa?
Io l'ho visto davvero»


Ma il «palazzon del diaolo» si chiama così perché davvero si voleva far circolare una leggenda che tenesse lontani i curiosi da festini più o meno licenziosi che vi si tenevano nelle sue sale, oppure un elemento di verità esiste? Insomma, è solo diceria oppure questo epiteto ha una vena di verità? La risposta, ovviamente, ognuno se la darà da solo, a seconda di quanto crede o immagina. Eppure decenni fa, un bambino che abitava vicino al palazzo - oggi adulto ma per niente scettico sulla sua esperienza - vide con i suoi occhi Belzebù davanti al cancello della villa.
«Andavo spesso a giocare nei paraggi del palazzo», racconta il testimone che non vuole rivelare la sua identità, «e un giorno lo vidi». Ma era proprio come la classica iconografia ce lo descrive? «Sì. Era così e tranquillamente si aggirava per la zona», conferma. «Mi spaventai, ovviamente, ma non l'ho mai dimenticato. Ancora oggi ho chiarissima la sua immagine negli occhi».D.A. 





IL SENSITIVO. Daniele Piccirillo è un«medium» ed ha accettato di presenziare all'indagine per «interesse storico»

Ci sarà anche il «cacciatore di anime»

«Vogliamo scoprire se davvero esiste questo pozzo e se vi siano state gettate persone»

Tutto è pronto per scovare gli invisibili che abitano «el palazzon del diaolo». Strumenti sofisticati, esperti ma anche un sensitivo che, lungi dal voler essere considerato un improvvisato spiritista, ci tiene a dire innanzitutto che «è raro che io accetti di visitare palazzi o castelli, si rischia di venir scambiati per macchiette. Il mio è diventato un mestiere serio nel tempo, fatto di studi, di viaggi, di approfondimenti». A parlare è il milanese Daniele Piccirillo, chiaroudente, come lui stesso si definisce. «Chiaroudente significa che riesco a sentire le voci interne che mi parlano. E a trasmetterle, a volte, con la scrittura automatica». Il «medium» Piccirillo è aiutato, in questo, dal suo spirito guida che si chiama Lorenzo. «È lui che mi indica come mettermi in contatto con le entità presenti e non è detto che siano i parenti che la gente ricerca, o gli amici, ma anche degli estranei. Infatti i miei interventi sono più frequenti in case che in palazzi o simili: è lì che spesso chi vi abita soffre le entità, sente rumori, passi, urla, si sente osservata, e non è piacevole. Anche se le anime sono buone e si palesano così perché non hanno preso coscienza di se stesse, non sanno che il loro stato è cambiato e continuano la vita che facevano prima, senza evolversi».
In qualità di sensitivo, Piccirillo ha accettato di presenziare all'indagine al Palazzo del Diavolo di Sorgà per «interesse storico, soprattutto: vorremmo scoprire se davvero esiste questo pozzo e se vi siano state gettate persone e se le loro anime sono ancora lì». Anche il chiaroudente Piccirillo viene spesso interpellato per liberare le case dalle anime che non si sono evolute: con preghiere, soprattutto. Lo farà anche al «palazzon del diaolo?». Ma il diavolo esiste? «Quello che chiamiamo così, sono fenomeni legati al male, a demoni: sì, quelli esistono», afferma il sensitivo.
«Vorrei chiarire che la nostra non è scienza, ma esperienza e non facciamo apparire, ma evochiamo. Certo, sono in tanti a non credere e infatti ad un certo punto anch'io cominciai a dubitare. Invece poi ho scelto di andare avanti, perché sensitivo lo sono da sempre, fin da bambino». Piccirillo racconta la sua primissima esperienza: «Dalla finestra di casa mia, di notte, vedevo un bambino che usciva da una casa e si dirigeva alle immondizie. Quel bambino non esisteva, ma io lo vedevo e nella mia fantasia infantile lo chiamai Spazzatura». Ciò che davvero convinse il chiaroudente a proseguire per la sua strada, senza timori e non ascoltando chi lo «denigrava», fu un episodio fondamentale nella sua esistenza: «Mio padre fu colto da infarto e stava per morire: andai da lui e gli promisi che se fosse vissuto da quel giorno avrei fatto del bene alla gente. Mio padre guarì e io rispettai la promessa».
Testimonianze, anche da parte di Mirko Barbaglia, ce ne sono moltissime: «A Trezzo d'Adda le nostre pellicole, che registano gli ultravioletti, riuscirono a imprimere una sagoma d'uomo, di profilo, nel buio completo. In genere le presenze si manifestano con cambiamenti repentini di temperature o di campi magnetici che interferiscono anche fino a far spegnere gli apparecchi, che non trovano spiegazione». Lo scrupolo dei Ghost vuole, infatti, che prima di analizzare un luogo, si accertino che non esistano, vicino, fonti di elettromagnetismo.  

venerdì 11 gennaio 2013

In Valcamonica a caccia del Badalìsc


Bresciaoggi
8 gennaio 2013 – LETTERE

Anche quest'anno ad Andrista di Cevo, in Valle Camonica, la notte tra il 5 e il 6 gennaio, i giovani del paese si sono recati nei boschi, secondo la tradizione, per catturare il Badalìsc, uno strano essere che abiterebbe nelle foreste. Dopo essere stato avvolto e legato, il fantomatico animale è stato portato per le vie dell'abitato, scortato da figure evocative: il Giovane, il Vecchio, la Vecchia, il Gobbetto e la Signorina. Quest'ultima, risvegliando le pulsioni erotiche del mostro, rappresenta il richiamo all'energia del rinnovamento e della fecondazione, in attesa della primavera. Poi il mostro entrando nei locali (nelle stalle) ha inveito contro gli ingenui, gli sprovveduti e i disonesti, portando alla luce ciò che durante l'anno è rimasto nascosto: quasi una purificazione laica delle coscienze. In piazza si è svolta la "'Ntifunada", il "Discorso del Badalìsc", in cui sono stati "svelati" segreti e tresche.
La tradizione tramanda che il "Badalìsc" sia un mostro simile a un drago erede di culti ancestrali. Con i suoi occhi infuocati, le lunghe corna, la bocca spalancata e il corpo rivestito da pelli di capra, da innumerevoli generazioni sconvolge l'immaginario di ogni bambino e incute timore agli uomini perché mette in piazza le loro miserie.
Il Badalìsc è una sorta di chimera, che assembla gli elementi demoniaci di gatto, caprone e serpente. È una divinità ctonia (sotterranea), legata alla terra e al culto dell'acqua: poco lontano da Andrista, incisa su una pietra, si trova una figura antropomorfa che lo richiama, con piccole corna e posta sopra una specie di calderone. 
La tradizione vuole che le donne spruzzino acqua santa nei cortili e nelle stalle prima del suo passaggio, per proteggersi dai suoi poteri malefici. E nel suo Bestiario, Leonardo da Vinci lo considerava la rappresentazione della crudeltà: "Il basalischio è di tanta crudeltà che quando colla sua venenosa vista non po occidere li animali, si volta all'erbe e le piante e fermando in quelle la sua vista, le fa seccare".