martedì 27 settembre 2011

Alberi leggendari su e giù per l'Italia

http://mediterranews.org/2011/09/il-mondo-affascinante-delle-piante-le-leggende-dei-colossi-secolari-2/


Il mondo affascinante delle piante: le leggende dei colossi secolari


Gli alberi variano enormemente di dimensioni.
Un albero secolare come certi larici d’alta montagna, può essere alto appena cinque metri. Un altro di rapido accrescimento come il pioppo, è in grado di raggiungere in dieci anni i venti metri di altezza.
L’Italia, non è terra di grandi alberi secolari, eppure qualche pianta colossale e ultracentenaria si incontra ancora qua e là, nei posti più impensati della Penisola. Spesso mutilati dall’uomo o dalle intemperie, corrosi dal tempo e dal sole, resistono immoti.
Vi raccontiamo alcune delle loro storie vi piaceranno.

Il figlio del diavolo
Si trova a Macugnaga (Novara) e fu piantato, dice una tradizione, nel 1260.
Per alcuni secoli, sotto la sua grande ombra, il pretore di Vogogna, un paese della Valle Anzasca, amministrava la giustizia in estate. Attorno al tiglio si teneva ogni anno anche una grande fiera: i mercanti italiani vendevano le sete, i contadini svizzeri le ricotte e i formaggi. Nel novembre del l906, un nubifragiospezzò la parte superiore dell’albero.
Secondo una leggenda, invece, la colpa sarebbe stata di un carrettiere. Avendo ordinato, in una vicina locanda, pollo e vino, costui si sentì rispondere dall’oste, timorato di Dio ” Oggi é venerdì, ho solo uova e formaggio”. Ma il carrettiere pretese e ottenne il pollo. Poi, staccò dalla parete il crocefisso, lo scaraventò a terra e lo ricoprì di ossa spolpate. Improvvisamente, però, l’uomo si sentì male e capì che il demonio gli era entrato nel corpo; condannandolo a vagare per sempre fra i ghiacci del Monte Rosa. Uscito nella notte dalla locanda, fu afferrato dal vento, che lo scagliò contro il tiglio come un proiettile: e la cima dell’albero si spezzò.

Il Platano dei cento bersaglieri
Caprino Veronese possiede il platano più grosso d’Italia.
Il suo tronco, mostruoso e bitorzoluto, ha una circonferenza di circa 15 metri. E’ stato piantato, si dice, verso il 1730, quando Caprino Veronese era feudo dellafamiglia Malaspina, per testimoniare, secondo un’usanza oggi perduta, la fine della costruzione di una nuova casa.
Lo fiancheggia il torrente Tasso, che scende dal monte Baldo e sfocia nell’Adige. Nel legno del platano sono racchiuse, seppellite dalle successive crescite, alcune schegge di proiettili, esplose durante la battaglia di Rivoli, combattuta nel gennaio del 1797 fra le truppe di Napoleone I e gli austriaci del generale Alvinzy.
La vocazione guerriera dell’immenso platano è continuata nel nostro secolo: nel 1937 una intera compagnia di bersaglieri, che partecipava alle manovre dell’esercito, trovava rifugio sotto che sue fronde. Da allora, l’albero porta il nome di Platano dei bersaglieri.

La rovere della giustizia
Sorge su un breve pianoro, non lontano dal paese di Gradola(Como), in bellissima posizione panoramica
Nel dialetto locale viene chiamata regulon, che significa grande rovere, la sua età viene normalmente calcolata fra gli 800 e i mille anni. I documenti relativ alla pianta, dichiarata monumento nazionale, sono andati distrutti in un incendio che ha divorato, verso la fine del 1800, l’archivio parrocchiale di Porlezza, dove erano custoditi.
Si sa tuttavia con sufficiente certezza, che ogni primavera, durante il Medioevo, si radunavano sotto la sua chioma i Consiglieri dei Comuni delle vicine Valli per amministrare la giustizia e legiferare sula vita delle popolazioni. Pare che l’usanza, comune ad altri paesi d’Europa, sia durata sino alla fine del 1530, quando gli anziani di Girandola, Naggio e Boilate, di questo comune oggi esistono solo i ruderi, vi si diedero convegno per dirimere una controversia dei loro Comuni.

Il leccio del Frate Santo
E’ tuttora verdeggiante a Vico del Gargano (Foggia). La sua storia è stata raccolta dai frati Cappuccini del luogo.
Eccola. Il leccio fu piantato da padre Nicola, un umile frate di San Francesco, che qui passò buona parte della sua esistenza e morì in concetto di santità. Un giorno, recatosi nella Foresta Umbra, il frate scavò presso una fonte un piccolo abbeveratoio per il suo mulo. Ed ecco,ben presto spuntare dalla terra un minuscolo leccio. Padre Nicola prese la pianticella e la trapiantò presso il convento. Prima di effettuare l’operazione pregò il Padre Superiore di benedire la terra ed il giovane germoglio. Il frate si affezionò moltissimo alla pianta, ed ogni mattina, prima di recarsi al lavoro, la innaffiava con cura. Non si conosce la data esatta dell`avvenimento.
Si sa, tuttavia, che padre Nicola morì il l0 novembre 1729, quando il leccio era già abbastanza cresciuto. Si può quindi supporre che l’albero sia stato piantato verso la fine del 1600 e che ora conti circa tre secoli di vita. Attualmente il suo tronco ha una circonferenza di circa cinque metri.

lunedì 26 settembre 2011

A Verona anziana aggredita dalle api

L'Arena
IL GIORNALE DI VERONA
Venerdì 23 Settembre 2011 PROVINCIA Pagina 33
BOVOLONE. È stata dimessa ieri mattina l'ottantaseienne aggredita da insetti aggressivi


L'anziana aveva 300 punture su tutto il corpo


Salvata da suo figlio, è arrivata al pronto soccorso piena di gonfiori e sanguinante; all'ospedale curata con più dosi di antistaminici

È stata dimessa già ieri mattina la signora S.V., 86 anni, aggredita l'altro giorno nel suo giardino da uno sciame inferocito di cosiddette «api terraiole». Così le hanno chiamate i vigili del fuoco, quando sono intervenuti nell'abitazione della donna, ma a distanza di 24 ore non si esclude che gli insetti che hanno attaccato la pensionata possano essere stati «vespe scavatrici». Solo un esame più approfondito di un esemplare - cosa che non è stata ancora fatta - potrà chiarirlo. L'anziana è tornata a casa dopo una nottata passata al pronto soccorso, dove le sono state sommistrate flebo di antistaminici per contrastare l'effetto del veleno delle innumerevoli punture. Secondo il personale medico che l'ha soccorsa, la donna aveva 300 punture dis! seminate su tutto il corpo, alcune sanguinanti.
La signora è rimasta sotto osservazione per 15 ore: si è dimostrata una molto forte fisicamente perché, comunque, tutte quelle punture, anche in un soggetto non allergico, avrebbero potuto provocare serie conseguenze.
Quando i medici l'hanno presa in cura mercoledì pomeriggio hanno riscontrato un diffuso gonfiore, ma non hanno trovato alcun pungiglione degli insetti e proprio questo particolare fa pensare che a pungerla siano state vespe, che non rilasciano il pungiglione, iniettano meno veleno, ma possono pungere più e più volte. Le punture erano concentrate soprattutto sul capo e sul collo, e poi sulle braccia, ma non solo: alcune avevano raggiunto anche la schiena, infilandosi fin sotto alla maglietta e gli indumenti.
«Stamattina», racconta il figlio, «appena arrivata a casa, si è data da fare in faccende domestiche: è fatta così, non sa stare ferma. Ma si! è subito stancata e si è dovuta mettere a letto. Ha! molto dolore, malgrado le creme che le hanno prescritto. Ieri, se non arrivavo in tempo, poteva rischiare di morire, perché continuavano a pungerla e a pungerla. La pelle è martoriata, ma sa resistere al dolore. Pericolo è scampato: adesso aspettiamo che arrivi il freddo per scavare e dissotterrare la colonia di insetti che, pare, può scavare nidi a una profondità di un metro».




L'Arena
IL GIORNALE DI VERONA
Giovedì 22 Settembre 2011 PROVINCIA Pagina 29
BOVOLONE. La donna stava lavorando in giardino quando ha disturbato un nido sotterraneo

Un'anziana aggredita da uno sciame di api

La pensionata non è riuscita a reagire alle punture e si è seduta a terra in balia degli insetti terricoli Colpiti anche la nipote e il figlio, accorsi ad aiutarla

Una signora di 86 anni, S.V., è finita ieri pomeriggio all'ospedale dopo essere stata punta da un intero sciame di api inferocite, che l'hanno aggredita mentre metteva a posto i fiori nel giardino di una villetta bifamiliare in via Petrarca, 12 a Bovolone, dove vive con i figli, nuore e nipoti.
Vista l'età, la signora non ha avuto la forza e l'agilità di scappare quando si è accorta di aver rimosso lo sciame: era chinata per mettere a posto il giardino e, dopo le prime punture, si è ritrovata seduta a terra incapace di rialzarsi, avvolta da una nuvola di api molto aggressive. Ben presto l'ottantaseienne aveva, secondo il racconto dei soccorritori, gambe, braccia, collo e viso completamente ricoperti da api e la pelle martoriata dalle punture! , alcune delle quali sanguinavano vistosamente.
Sono passati alcuni istanti terribili per lei, prima che le sue grida di aiuto, peraltro sempre più flebili venissero sentite dai parenti. La prima ad accorrere è stata una giovane nipote che ha fatto un primo tentativo di trascinarla un po' più lontano dal nido d'api, ma senza successo: anche la ragazza è stata aggredita dagli insetti inviperiti ed è scappata. Sentendo le urla, a quel punto è arrivato in soccorso il figlio maggiore della anziana donna. «Ho visto mia madre a terra ricoperta di api, incapace di reagire e difendersi. Ho preso la canna per innaffiare e sono riuscito ad allontanare gli insetti con lo spruzzo di acqua quel tanto che basta per portarla in salvo. Mi sono preso una decina di punture anch'io, ma non è niente rispetto a mia madre ne avrà prese forse un centinaio, non so quante». Nel frattempo, qualcuno ha chiamato il 118 che ha mandato una ambulanza: ! l'anziana signora è stata soccorsa sul posto e poi ricove! rata al pronto soccorso dell'ospedale San Biagio di Bovolone dove è arrivata ancora cosciente.
Era molto provata tuttavia, per fortuna, non in stato di shock anafilattico e ancora vigile. L'anziana è stata sottoposta alle terapie del caso e per prima cosa le è stato somministrato del cortisone per contrastare gli effetti delle punture.
I parenti della donna erano ottimisti sul decorso della drammatica avventura, perché la signora non aveva mai manifestato allergie verso le api, cosa che le sarebbe stata fatale. Sul posto, in via Petrarca, sono arrivati i vigili del fuoco di Verona per un intervento di disinfestazione.
Dopo un primo sopralluogo, si sono resi conto però che nel circondario non c'era alcun un alveare, ma si trattava di api terricole, che fanno il loro nido nel sottosuolo e quindi sono insetti molto difficili da debellare se non con scavi profondi da effettuare in periodo invernale.
I pompieri sono intervenuti spruzzando del! le sostanze che hanno tramortito le api, ma purtroppo solo quelle in superficie perché, a quanto pare, il resto dello sciame si è messo in salvo, ben nascosto nelle cavità del giardino.

mercoledì 14 settembre 2011

Leggende d'amore "fastidiose" a Verona

L'ArenaIL GIORNALE DI VERONA
Lunedì 12 Settembre 2011 CRONACA Pagina 11

ANTICHE POLEMICHE. Ora è in vicolo cieco San Marco, potrebbe traslocare ma manca il placet della Sovrintendenza «Dateci il pozzo dell'Amore»I residenti non tollerano il via vai e il lancio di monetine, i negozianti si sono riuniti in un comitato che ha come unico scopo di spostarlo in piazzetta San Rocchetto

Dov'è non lo vogliono, qualcuno desidera portarlo in un'altra piazza ma pare che spostarlo, nonostante abbia solo 25 anni, non sia così semplice. E per poter dare al Pozzo dell'Amore una sistemazione diversa si attende solo il placet della Sovrintendenza.
Preso di mira dai ladri, non gradito ai residenti dei palazzi che si affacciano su vicoletto cieco San Marco, «resuscitato» sulla scia del mito di Giulietta e comunque méta continua di giovani innamorati che lanciano la monetina, si promettono amore eterno e davanti a quel benedetto pozzo si baciano. Negli anni il braccio di ferro tra chi lo desidera nel cuore della urbe romana, a due passi da piazza delle Erbe e dal Campidoglio, e chi non lo sopporta perchè il via vai è continuo e l'a! more, come gli schiamazzi, non conosce orari, ha avuto sempre lui come protagonista: il pozzo.Un pozzo lì forse nell'antichità non c'era (e questa «assenza» storica ha rappresentato il cavallo di battaglia per chi voleva sbarazzarsene), di certo l'influenza veneziana è forte e presente in questa parte nascosta della città che assomiglia a un campiello ma sta di fatto che quel manufatto venne posato nel 1986. E da un quarto di secolo su quel pozzo si concentrano attenzioni di amanti, residenti infastiditi, commercianti che lo vorrebbero inserito in un circuito «romantico» di quella Verona che, nel mondo, è conosciuta come la città degli innamorati. E tra liti, esposti, indicazioni stradali che spariscono e che ricompaiono, ora per «salvare» quel benedetto pozzo sul quale, ad un certo punto, sono spuntati anche i lucchetti e le scritte (perchè gli innamorati si adeguano alle mode), si è formato addiritt! ura un comitato. Già, perchè se dov'è dà f! astidio in un'altra piazzetta lontana cento passi, a San Rocchetto, dove non ci sono residenti, dove il passaggio è continuo e soprattutto dove c'è chi lo «ama», il pozzo dell'amore potrebbe trovare finalmente una collocazione definitiva. Ben visto e benvoluto da tutti.Anzi, desiderato al punto che una cinquantina di titolari di negozi hanno creato, con tanto di statuto, il «Comitato negozi per il centro» che non ha scopo di lucro, nulla c'entra con altre associazioni di categoria e che un solo scopo sociale: «favorire e sollecitare la pubblica amministrazione affinchè si possa predisporre e realizzare l'obiettivo di traslocare il monumento denominato „pozzo dell'amore‰ da vicolo cieco san Marco in Foro, dove oggi si trova, in via San Rocchetto».Insomma se lì dove si trova attualmente non lo tollerano perchè è un'attrazione che crea disturbo, piuttosto che venga tenuto nascosto, chiuso o peggio ig! norato, c'è chi sarebbe felice di prendersene cura. Anzi, lo ritiene «simbolo» da valorizzare perchè in tal modo si creerebbe una sorta di itinerario: da via Mazzini o da piazza Erbe, prima di andare sotto al balcone di Giulietta in via Cappello, una capatina davanti al pozzo dell'amore sembrerebbe quasi d'obbligo.Loro, i commercianti, sono disposti a sobbarcarsi ogni genere di onere, compreso quello di tenere in ordine e salvaguardarlo da chi, invece di scambiarsi la promessa con un bacio, decide che il suo amore lo dichiara col pennarello, ovviamente i pegni d'amore continuerebbero ad essere destinati al club di Giulietta. Ai proprietari e ai direttori dei negozi di via Pellicciai, San Rocchetto, via Quattro Spade e via Mazzini basta la presenza del pozzo.L'amministrazione, e nello specifico l'assessore al commercio Enrico Corsi e Matteo Gelmetti, presidente della prima Circoscrizione, non avrebbero nulla in contrario, anzi hanno fornito la più ampia disponibilità perchè in fondo su quel pozzo da troppo tempo si è aperto un contenzioso difficile da dirimere: da una parte la tutela dei residenti (e il rumore del lancio delle monetine ha provocato più di qualche volta reazioni scomposte, lettere ai giornali e esposti all'amministrazione) che hanno il sacrosanto diritto di riposare e non trovare grappoli di fidanzatini seduti sul pozzo, dall'altra la possibilità di aggiungere a una piazza dei Signori e alle vie pedonali che diventano un enorme cuore nella settimana di San Valentino una nuova «sosta». Manca il permesso di farlo traslocare.

domenica 11 settembre 2011

La leggenda del gigante scrittore, al Parco di Monza

tratto da:
http://www.ilcittadinomb.it/stories/Cultura%20e%20Spettacoli/230969_la_leggenda_del_gigante_scrittore/


Il parco, la luna e i suoi misteri
La leggenda del gigante scrittore

11 settembre 2011 Cultura e Spettacoli Commenta


Monza - Per tentare di scorgerne l'ombra avanzare lenta e composta tra gli alberi secolari del parco di Monza, il passo pesante e lo sguardo leggero, schivo, forse indifferente, uscito da chissà dove per ritrovare la sua lampada naturale appesa di nuovo al cielo, occorre aspettare la prossima luna piena. Il 12 settembre: sarà un martedì e si sarà appena esaurito il chiasso dei motori del gran premio di formula uno, sgombrato il parco dei turisti dell'automobilismo, delle luci artificiali, dei suoni e dei frastuoni del serraglio della velocità. Ecco, sarà quella notte: forse allora il gigante del parco di Monza uscirà dal suo nascondiglio per andare a sedersi alle spalle di villa Mirabello, sulla sua sedia enorme di un'enorme scrivania illuminata dal biancore della luna piena. Per scrivere o leggere, per raccontarsi una storia.

Una storia come quella che già qualcuno si racconta attorno al parco di Monza, dove nel 2005 è stato installato “Lo scrittore” di Giancarlo Neri, la gigantesca opera donata alla città da Rottapharm Madaus. Così si dice, o così dicono gli atti ufficiali, perché c'è anche chi è disposto a giurare che sedia e tavolo li abbia portati proprio il gigante per godersi le notti di plenilunio e scrivere e leggere con tutta la luce necessaria. Deve farne di strada per meritarsi il titolo di leggenda, o di racconto popolare, men che meno di mito: ma in fondo è così che nascono, le leggende, con storie vicine o lontane cui si aggiungono nuove voci e nuovi capitoli, con una narrazione antica che incontra un elemento contemporaneo e che poi, di bocca in bocca, diventa patrimonio collettivo. Che accada anche al gigante scrittore, difficile dirlo: ma il parco di storie ne ha raccontate tante, nel corso dei suoi secoli, raccogliendo parole e folclore d'altrove e dando loro nuova casa dentro i suoi quasi 700 ettari.

A ricordarli ai microfoni di MonzaBrianzatv è stato pochi giorni fa Corrado Beretta, del Consorzio della Villa reale e del parco, che ha rispolverato alcuni dei tanti racconti popolari che vivono nei suoi prati. Come la storia di un amore impossibile tra due monzesi che si incontrarono al “Bosco bello” e lì, verso il confine con il Comune di Lesmo, decisero di sposarsi. Lui e lei però vissero quell'amore soltanto all'ombra delle sue piante, perché fuori le loro famiglie lo rifiutarono, lo impedirono fino al giorno in cui gli amanti decisero di uccidersi nel bosco. Una leggenda di sapore shakespeariano, ricorda Beretta, e in fondo sempre oltremanica bisogna camminare per respirare le origini degli gnomi e dei folletti che popolano anche i prati del parco monzese, oppure delle fate - per trovare un luogo preciso - il cui trono è un grande e secolare ippocastano che trionfa alle spalle di villa Mirabello: lì le fate si danno appuntamento per festeggiare sempre quando è notte di plenilunio ed è lì che spesso, ancora oggi, i bambini lasciano qualche piccolo regalo per le fairies monzesi. Ma c'è anche un cavaliere fantasma, che abita le mura della fagianaia ed è rappresentato sullo stemma dell'edificio: allo stesso chiaror di luna è possibile sentire nei prati intorno il rumore degli zoccoli del suo cavallo e, talvolta, anche di vederne il profilo diafano.

Poi ci sono leggende che non solo hanno un corpo e una storia da raccontare ma anche un nome da tramandare. Quello della Mata Capina è uno: la donna enorme vestita di stracci che passava da Monza trascinando con sé un grande carro carico di oggetti e ferri vecchi, cianfrusaglie che sferragliavano e accompagnavano il suo passo incerto fino all'interno del parco. Una strega, una strega vera, spaventosa da vedere, ma un'erborista capace di trasformare i segreti delle piante e dei fiori in medicine: ed era a lei, di nascosto, sempre sotto i rami del bosco bello, il punto più lontano dagli occhi degli altri, che i monzesi chiedevano le cure per i figli, la famiglia, gli amici. Per cercare la strega, le fate e il gigante, non c'è che un modo: aspettare il 12 settembre, che sarà plenilunio, e poi cercare con lo sguardo nel buio, da lontano, se un'ombra enorme, l'inseguirsi delle luci, o un carro che arranca dietro a una donna vestita di stracci si mostrano tra le foglie del parco.
Massimiliano Rossin
Sarah Valtolina